Riscossione oneri di urbanizzazione: eccezione di prescrizione e fideiussione (Cons. Stato, n. 5880/2013)

Redazione 09/12/13
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SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 3206 del 2002, proposto da: Cooperativa Marisa Scarl, in persona del legale in carica, rappresentante rappresentata e difesa dagli avvocati ***********************, ***************, *************** e ***********************, con domicilio eletto presso C/O ************************ in Roma, via Bocca di *****, n. 78;
contro
Comune di Crotone, in persona del sindaco pro tempore rappresentato e difeso dall’avvocato *************, con domicilio eletto presso *************** (Studio Guarino) in Roma, piazza Borghese, n. 3;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, SEZIONE II, n. 1514/2001, resa tra le parti, concernente ingiunzione di pagamento oneri per interventi di edilizia residenziale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Crotone;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2013 il Cons. **************************** e udito per l’appellante l’avvocato ***************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La controversia all’esame del Consiglio trae origine dal ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sez. distaccata di Catanzaro, dalla COOPERATIVA MARISA scarl per l’annullamento delle determinazioni dirigenziali nn°164 e 165 del 28.3.201, con le quali veniva ingiunto alla ricorrente il pagamento della somma rispettivamente di £. 26.06.852 e di £. 454.648.500.
2. Il primo Giudice con sentenza in forma semplificata n. 1514/2001 in parte accoglieva ed in parte respingeva il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annullava il provvedimento n°164/2001 e, nei limiti indicati in motivazione, il provvedimento n°165/2001.
2.1. Con un’articolata pronuncia il TAR riteneva fosse fondata l’eccezione di prescrizione, sollevata dalla parte ricorrente con riferimento all’ordinanza n. 164/200, con la quale l’Amministrazione Comunale, aveva contestato alla Cooperativa Marisa di aver pagato in ritardo due rate del complessivo debito di importo pari a £. 39.100.286, scadute rispettivamente il 27.2.84 ed il 27.6.85 ed onorate solo in data 1.5.84 ( la prima) ed in data 12.6.1986 (la seconda). Secondo la sentenza gravata l’art. 28, L. 24 novembre 1981 n. 689, che fissa in cinque anni il termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme di danaro dovute a titolo di sanzione amministrativa, è, infatti, applicabile anche alle sanzioni pecuniarie conseguenti al ritardato pagamento dei contributi di concessione edilizia. Pertanto, poiché il termine suddetto, da computare a partire dal momento dell’esigibilità della pretesa creditoria, ancorata dalla stessa Amministrazione al 27.2.84 ed al 27.6.85, risultava ampiamente decorso al momento dell’adozione dell’ordinanza 164/201, il relativo diritto alla riscossione delle somme liquidate con il richiamato provvedimento doveva ritenersi estinto per intervenuta prescrizione. Da ciò derivava l’illegittimità della suddetta ordinanza, che procedeva ad annullare con assorbimento degli ulteriori motivi di gravame.
2.2. Quanto alle residue doglianze, circoscritte alla determina dirigenziale n°165/2001, disattendeva la censura fondata sulla pretesa violazione dell’art. 7 della legge 241/90, poiché il provvedimento sanzionatorio è atto vincolato emesso all’esito di un procedimento che presenta una disciplina speciale rispetto a quella della l. 241/90. Del pari, riteneva priva di pregio l’ulteriore eccezione incentrata sulla violazione del dovere di buona fede, dovuta alla mancata escussione, in via preventiva, del fideiussore, potendo il creditore rivolgersi indifferentemente ad uno dei due. Ancora escludeva la pretesa valenza novativa delle intervenute modifiche della convenzione originaria, smentita dall’accessorietà dei profili oggetto di modifica, in ogni caso non coinvolgenti l’oggetto del rapporto debitorio posto a fondamento delle sanzioni de quibus.
2.3. Infine, il Giudice di prime cure riteneva fondata la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 2° lett. c) della legge 47/85, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità, valutando l’importo della sanzione applicata con l’ordinanza n°165/201, pari a £. 454.648.500, erroneamente determinato. In particolare, il TAR concludeva per la legittimità del provvedimento oggetto di gravame, in quanto l’importo complessivo di £. 227.324.250 costituisce la sanzione massima applicabile per il rilevato ritardo nel pagamento degli oneri convenzionali. Viceversa, qualificava come del tutto ingiustificato l’ulteriore aumento del 100%, operato dall’Amministrazione fino a raggiungere l’importo definitivo di 454.648.500, conseguentemente annullava, in parte qua, il provvedimento 165/201.
3. Con atto d’appello depositato il 22 aprile 2002 la Cooperativa Marisa Scarl insorgeva avverso la sentenza di prime cure, articolando i seguenti motivi: 1) ai sensi dell’art. 28 L. 689/1981, la prescrizione è quinquennale, quindi opera anche per la determinazione 165/2001. Né potrebbe opporsi che la prescrizione è stata eccepita per la prima volta in sede d’appello, perché nel giudizio amministrativo a differenza di quello civile si cumulano gli aspetti dell’appello quale revisio prioris istantiae e di novum judicium. Prescrizione che sarebbe, comunque, maturata, poiché la volontà di riscuotere le somme è del 1995, mentre la sanzione è del 2001. Pertanto, Il potere di ingiunzione ex art. 16 l. 47/85, sarebbe stato esercitato in carenza di potere, perché l’art. 28, l. 689/1981 è norma generale, pertanto il dies a quo è da individuarsi nel 10 maggio 1994 decorsi 240 giorni dalla scadenza dei 24 mesi dal rilascio della concessione edilizia avvenuto il 10 settembre 1991; 2) erronea sarebbe la sentenza nella parte in cui non ha rilevato la violazione dell’art. 7, l. 241/90, che esprime un principio generale applicabile anche nella fattispecie. Infatti, nonostante la natura vincolata del provvedimento deve considerarsi che il ritardo con il quale l’amministrazione ha agito, ha fatto sorgere nel destinatario un affidamento che meritava tutela anche sul piano procedimentale con il suo coinvolgimento nel procedimento in questione; 3) non sarebbe corretto il ragionamento svolto dal primo Giudice, che non avrebbe adeguatamente valutato che la polizza fideiussoria è a prima richiesta senza obbligo di escussione del debitore principale ed ha ad oggetto il pagamento delle tre rate maggiorate del 20% per il ritardo nel pagamento, ma il Comune lasciava decorrere il termine di 120 giorni prima di avanzare richieste così da poter applicare la sanzione massima del 100%. In questo modo il Comune agiva violando i principi di buona fede e di diligenza ex artt. 1175, 1375, 1227 c.c. aggravando la situazione debitoria dell’appellante. Pertanto ex art. 1206 c.c. non vi sarebbe obbligo di pagare la sanzione nella misura massima; 4) anche a non ritenere fondate le precedenti censure non sarebbe dovuto sfuggire al primo Giudicante che le modifiche alla convenzione urbanistica intervenute nel 1991, 1993 e 1994 certificavano la volontà della p.a. di non procedere, nonostante i mancati pagamenti, a dichiarare la decadenza del diritto di superficie con azzeramento anche dal punto di vista dei termini del rapporto tra concedente e concessionario. La stessa concessione di variante in corso d’opera del 23 marzo 1992 avrebbe natura innovativa e non confermativa. Pertanto, da qui andava computato il dies a quo con la conseguenza che ai sensi dell’art. 3 lett. b, l. 47/1985, il Comune avrebbe potuto richiedere solo un incremento del 50%. Inoltre, il TAR avrebbe errato in ordine al termine ultimo per la dazione della terza rata, che secondo l’art. 3 della convenzione poteva essere versata prima del rilascio del certificato di inizio e di fine dei lavori, quindi alternativamente tra i 24 mesi dal rilascio della concessione edilizia o al tempo della fine dei lavori.
4. Con l’atto di costituzione il Comune di Crotone invocava quanto alla possibilità di eccepire la prescrizione in appello, il divieto di jus novorum ex art. 345 c.p.c. Nel merito, invece, precisava che la sanzione irrogata non è punitiva di un illecito, ma conseguenza della mora debendi ex art. 1218 c.c., quindi non si applicherebbe l’art. 28, l. 689/1981, ma la prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. Prospettazione legittimamente operata anche in assenza di appello incidentale, perché sul punto il TAR sarebbe intervenuto con un mero obiter dictum ed anche in primo grado si era individuata la presenza di numerosi atti interruttivi della prescrizione. Ancora, l’appellato contestava la possibilità di applicare l’art. 7, l. 241/90, sia per l’automaticità dell’atto de quo, sia per la circostanza che il destinatario ne era ben a conoscenza tanto da chiedere delle rateizzazioni. Inoltre il Comune precisava che l’art. 1227 c.c. non sarebbe applicabile ogni qualvolta all’inadempimento sia collegata una penale prefissata, svincolata dalla prova del danno. L’inerzia del creditore non può limitare la responsabilità del debitore, ed al fine di escludere la responsabilità del debitore va esaminata solo la condotta del creditore successiva all’inadempimento del primo ed al verificarsi del danno. Inoltre, non vi sarebbe prova che la richiesta al fideiussore avrebbe con certezza evitato le sanzioni nella misura massima, ottenendo l’incasso prima dello spirare del termine di 180 giorni fissato dall’art. 3, l. 47/1985. Ai sensi del comma 5 dell’art. 3, l. 47/1985, le garanzie previste per il pagamento dei contributi vengono in rilievo solo in caso di omesso pagamento otre i termini di cui alla lett. c). Inoltre, la garanzia a prima richiesta non obbligherebbe l’amministrazione a chiedere prima al garante a pena di non poter ricevere la somma nella maggiore misura fissata dall’art. 3, l. 47/1985. Infondato, infine, sarebbe anche l’ultimo motivo con il quale si sostiene l’intervenuta novazione, che del resto avrebbe impedito l’invocata prescrizione, poiché nella fattispecie la modifica ha riguardato solo aspetti accessori.
5. Con successiva memoria l’appellante ribadiva le proprie argomentazioni. All’udienza del 29 ottobre 2013 la causa veniva trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e deve essere respinto.
2. In via preliminare il Collegio osserva che l’eccezione di prescrizione, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante non può essere proposta per la prima volta in sede di gravame. Il suddetto limite non è valido soltanto per i giudizi d’appello introdotti all’indomani dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ma anche per quelli che soggiacciono alla disciplina processuale. Infatti, se la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha già a più riprese chiarito che: “L’eccezione di prescrizione non è rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 2938 Cod. civ. e quindi non può essere proposta per la prima volta in grado di appello ai sensi dell’art. 345 comma 2 Cod. proc. civ., applicabile anche al giudizio amministrativo e dell’art. 104 D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104.” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 3 novembre 2010, n. 7753; Sez. III, 8 agosto 2012, n. 4535); analoga conclusione aveva raggiunto anche nella vigenza della pregressa normativa con orientamento confortato dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, 29 dicembre 2004, n. 14, secondo la quale l’art. 2938 Cod. civ. è una norma di carattere generale, riferita alla tutela di tutti i diritti soggettivi, che vieta al giudice, ordinario o speciale che sia, di rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta, in qualunque grado il giudizio si trovi; cosicché ove la parte non l’abbia dedotta in primo grado, le è precluso di farla valere per la prima volta in grado di appello.
3. Destituita di fondamento è la doglianza inerente la violazione dell’art. 7, l. 241/90, anche in ragione dell’affidamento ingenerato nell’appellante. Al riguardo, va rilevato che l’eventuale partecipazione dell’interessato al procedimento sfociato con l’irrogazione dell’impugnata ordinanza non avrebbe potuto giovare in alcun modo all’odierno appellante, stante il carattere di stretto automatismo che ne caratterizza l’adozione ed in ragione della perfetta conoscenza in capo al suo destinatario sia delle regole previste per l’adozione del provvedimento, sia del maturarsi delle condizioni dell’adozione del provvedimento sanzionatorio. Né a tal fine ha rilievo il presunto affidamento, che in concreto non consente di sostanziare la pretesa partecipativa dell’appellante.
4. Non sussiste, infine, la violazione dei principi di buona fede e di diligenza ex artt. 1175, 1375, 1227 c.c., risultando chiara l’erronea impostazione dell’appellante che confonde l’obbligo gravante sul garante che ha ad oggetto il mancato adempimento dell’obbligo pecuniario convenuto con il Comune, con il profilo sanzionatorio e, più in generale, l’obbligo di pagamento con la sanzione amministrativa allo stesso collegata. Si tratta di profili, invece, del tutto distinti e già scandagliati dalla giurisprudenza di questo Consiglio che ha accertato come “in materia di obbligazioni pecuniarie, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo (salva l’esistenza di apposita clausola in tal senso). Si deve, quindi, ritenere che abbia agito correttamente il Comune che, nell’applicare ad una società, la sanzione prevista dall’art. 3 comma 2 lett. a), L. n. 47/1985, per ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione, non ha proceduto, prima dell’applicazione delle sanzioni, alla preventiva richiesta alla banca garante, obbligatasi, con la società, a pagare quanto dovuto dietro semplice richiesta scritta” (Cons. St., Sez. V, 16 luglio 2007, n. 4025). Nello stesso senso anche Cons. St., Sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4419 secondo la quale: “Nel caso di mancato pagamento delle rate di contributi di concessione, non può considerarsi rilevante la circostanza che il Comune non si sia attivato per la riscossione nei confronti del fideiussore che ha concluso il contratto di garanzia a prima richiesta. Il contratto di garanzia a prima richiesta, infatti, ha aggiunto una posizione debitoria a quella dei debitori principali, i quali, a seguito del loro inadempimento, sono risultati tenuti a pagare senz’altro le differenze dovute ai sensi dell’art. 3 L. n. 47/1985, senza che questo, però, comporti la doverosità della contestazione della pretesa preventivamente nei confronti del garante”.
5. Non colgono nel segno neanche le due censure proposte con l’ultimo motivo d’appello. Al riguardo va rilevato che la novazione per assumere rilevanza all’interno del rapporto obbligatorio deve avere ad oggetto il titolo, ossia la causa, ovvero l’oggetto del rapporto obbligatorio. Nelle fattispecie, l’esame degli atti denuncia, però, la presenza di modifiche che non possono che qualificarsi come accessorie, da qui l’impossibilità di individuare quell’elemento oggettivo, come quell’animus novandi, che consentirebbe di valutare la presenza di un diverso termine per la configurazione dell’illecito. Da respingere, da ultimo, è anche l’esegesi proposta dall’appellante dell’art. 3 della convenzione, secondo la quale la terza rata poteva essere versata prima del rilascio del certificato di inizio e di fine dei lavori, quindi alternativamente tra i 24 mesi dal rilascio della concessione edilizia o al tempo della fine dei lavori. Infatti, una corretta interpretazione della norma citata consente di concludere che l’art. 3 della convenzione non prevede termini alternativi. Quello del rilascio è un termine ultimo entro il quale va pagata la terza rata anche si lavori vengono ultimati prima dei 24 mesi dalla data di rilascio della concessione.
6. Per tutte le sopraesposte motivazioni l’appello deve essere respinto. Le spese del presente grado di giudizio seguono il principio di soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la Cooperativa Marisa Scarl al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio a favore del Comune di Crotone che liquida in euro 3000,00 (tremila), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2013

Redazione