Rifiuto del permesso di soggiorno, durata del soggiorno in Italia, rilevanza

Redazione 10/02/14
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FATTO e DIRITTO

1. Con decreto del 18 ottobre 2010 il Questore di Genova disponeva l’archiviazione della richiesta di permesso di soggiorno relativa alla cittadina ecuadoriana -OMISSIS- – avanzata ai sensi dell’art. 1 ter del d.l. n. 78 del 2009, convertito nella legge n. 102 del 2009, sulla emersione delle posizioni di lavoro di cittadini extracomunitari che svolgono attività di assistenza e di sostegno alle famiglie – risultando nei confronti dell’interessata condanna ostativa, ai sensi della richiamata disposizione, al perfezionamento del procedimento.

Avverso la determinazione di segno negativo la sig.ra -OMISSIS- proponeva ricorso avanti al T.A.R. per la Liguria assumendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili.

Con sentenza in forma semplificata n. 1460 del 2011 il T.A.R. adito respingeva il ricorso, sottolineando che “risulta per tabulas che la ricorrente è stata condannata dalla Corte d’Appello di Genova il 3 marzo 2009 per il delitto previsto e punito dagli artt. 56, 624 e 625, comma 2, c.p. sicché sussiste causa ex lege ostativa al rilascio ed al rinnovo del permesso di soggiorno”.

Avverso la predetta sentenza la sig.ra -OMISSIS- ha proposto atto di appello e a confutazione delle conclusioni del primo giudice ha dedotto:

– che il reato ascritto non è ostativo al perfezionamento del procedimento di emersione della posizione lavorativa;

– che l’autorità di pubblica sicurezza non doveva limitarsi con carattere di automatismo al riscontro del precedente penale, ma attivare una valutazione complessiva del grado di inserimento dello straniero nel contesto sociale, della durata della permanenza in Italia, della sua condizione familiare e del grado di pericolosità sociale;

– che in prosieguo è intervenuta sentenza di riabilitazione del 15 giugno 2011, del quale non ha tenuto conto il primo giudice;

– che non è stata data preventiva comunicazione, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, delle ragioni ostative all’adozione del provvedimento di rilascio del permesso di soggiorno.

In sede di note conclusive l’appellante ha fatto richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 172 del 2012 che, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, ha dichiarato l’incostituzionalità del citato art. 1 ter, comma 13, lett. c), “nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronunzia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 cod. proc. pen. permette l’arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato”.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in resistenza formale.

2. Dalla sentenza del Tribunale di Chiavari n. 592 del 2006 versata in giudizio emerge che l’odierna appellante è incorsa in una condanna penale per furto, con l’aggravante di aver commesso il fatto con violenza sulle cose, prevista dall’art. 625, comma 1, numero 2, prima ipotesi.

La condanna per furto con l’aggravante di cui sopra rientra fra i reati per il quali l’art. 380 c.p.p. prevede l’arresto in flagranza.

Il Questore di Genova ha, quindi, rilevato la condizione ostativa al perfezionamento del procedimento di sanatoria della posizione di lavoro secondo quanto previsto dall’art. 1 ter, comma 13, della legge n. 102 del 2009, che esclude dal beneficio i lavoratori extracomunitari “che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunziata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 del medesimo codice”.

La decisione della Corte Costituzionale n. 172 del 2012, cui la ricorrente fa richiamo in sede di note a difesa, ha preso in considerazione, ad esclusione dell’ automatismodel rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno in favore del lavoratore extracomunitario, solo le figure di reato di minore gravità elencate all’art. 381 c.p.p., per le quali l’arresto in flagranza è facoltativo.

Nella posizione dell’odierna ricorrente emergono, tuttavia, aspetti che avrebbero dovuto indurre l’ Amministrazione ugualmente ad una motivata valutazione, con riguardo al caso singolo, della sussistenza degli estremi di pericolosità sociale ostativi all’ingresso ed alla permanenza in Italia.

Quanto precede è del resto in linea con l’indirizzo di massima che emerge dalla sentenza della Corte Costituzionale in precedenza richiamata che, pur se riferito ad individuate figure di reato, esprime l’intento di prevenire ogni rigido automatismo in sede di esame delle domande di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno, che prescinda cioè da parametri obiettivi quali: la pregressa durata del soggiorno in Italia; la stabilità dell’inserimento nel contesto sociale e lavorativo; l’esistenza di rapporti familiari con altri soggetti legittimamente residenti; l’assenza di vulnus della presenza dello straniero all’ordine pubblico ed alla sicurezza dello Stato.

Nel caso di specie la condanna penale sofferta della ricorrente è stata inflitta per reato la cui consumazione risale al gennaio 2003. Nel periodo successivo non emergono altre mende nei confronti dell’interessata.

E’ in prosieguo intervenuto provvedimento di riabilitazione che, anche se emesso in data successiva al diniego di permesso di soggiorno e, quindi, in base al principio tempus regit actum non influente sulla statuizione adottata dal Questore, testimonia tuttavia che la sig.ra -OMISSIS-, per tutto il periodo di osservazione previsto dall’art. 179 cod. pen., ha serbato una buona condotta improntata all’osservanza delle regole di convivenza civile ed al rispetto delle leggi dello Stato.

La -OMISSIS- è, inoltre, presente in Italia da lungo periodo e la richiesta di regolarizzazione ai sensi dell’art. 1 ter della legge n. 102 del 2009 per compiti di assistenza e sostegno alla famiglia testimonia uno stabile inserimento nell’ambito lavorativo con radicamento sul territorio.

In siffatto contesto soccorre il principio sancito dall’art. 2 del d.lgs. n. 5 del 2007, che in caso di rifiuto del permesso di soggiorno impone di tener conto anche della durata del soggiorno in Italia.

La prospettiva di un’ utile integrazione sociale e lavorativa dello straniero ed il favor del diritto vivente verso l’esclusione di un rigido automatismo delle statuizioni espulsive in presenza di aspetti afferenti alla posizione dello straniero che bilanciano, in positivo, la condanna per reato risalente nel tempo ed in prosieguo estinto negli effetti penali dal provvedimento di riabilitazione, rendono fondato il motivo con il quale si censura il decreto di reiezione della domanda di regolarizzazione, perché fondato sul solo riscontro dell’esistenza di una condanna preclusiva dell’ingresso e della permanenza in Italia senza procedere alla motivata valutazione della sussistenza nello specifico di estremi di pericolosità dello straniero per l’ordine e la sicurezza pubblica (cfr. sui principi Cons. St. Sez. VI, n. 683 del 10 febbraio 2010; n. 2683 del 29 aprile 2009).

Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto, restando assorbito ogni altro motivo, e per l’effetto va accolto il ricorso di primo grado e va annullato il decreto del 18 ottobre 2010 con esso impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’ Amministrazione.

In relazione agli specifici profili della controversia spese ed onorari del giudizio vanno compensati fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato.

Redazione