Ricorso per l’esecuzione del giudicato: non è utilizzabile per l’esecuzione delle pronunce di rigetto (Cons. Stato n. 1675/2013)

Redazione 26/03/13
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FATTO e DIRITTO

1.- I ricorrenti, qualificatisi ex dipendenti del Ministero della Difesa, Arma dei Carabinieri, riferiscono di essere stati collocati in quiescenza con la liquidazione dell’indennità di buonuscita e di aver proposto a suo tempo un ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana per veder ricompresa nella base contributiva utilizzata per la determinazione dell’indennità predetta anche l’indennità operativa percepita in costanza di rapporto. Riferiscono che il Tar ha riconosciuto il loro diritto al computo della suddetta indennità pensionabile nell’indennità di buonuscita con sentenza 27 settembre 1993, n. 791, peraltro riformata con sentenza del Consiglio di Stato 13 novembre 1999, n. 1868, sulla base del rilievo che l’indennità operativa per il personale militare non poteva essere computata ai fini dell’indennità di buonuscita, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado.

I ricorrenti si dolgono che l’Inpdap, a seguito della sentenza di secondo grado abbia richiesto la restituzione delle somme precedentemente erogate in esecuzione della pronuncia di primo grado, nonché gli interessi su tali somme e che sia, in seguito, rimasta inerte a fronte della loro richiesta di restituzione dei pagamenti effettuati a titolo di interessi e ritenuta di acconto.

Sull’assunto che il recupero di somme ulteriori a quelle effettivamente percepite in buona fede dagli odierni ricorrenti si sostanzi in un’aperta violazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 1868 del 1999, che si era limitata a riformare integralmente la sentenza di primo grado, senza nulla riconoscere in ordine agli interessi e al credito d’imposta, e che spetti loro il diritto alla corresponsione retroattiva, dalla data di illegittima trattenuta, degli interessi e della rivalutazione monetaria, i ricorrenti chiedono che sia ordinato all’Inps di ottemperare a detta sentenza e, così, a restituire le somme trattenute in violazione del giudicato.

Essi chiedono, per il caso di mancato accoglimento della domanda, che siano forniti chiarimenti, ai sensi dell’art. 112, comma 5, cod. proc. amm., in ordine alle modalità di ottemperanza della sentenza n. 1868 del 1999.

Resiste l’Inps che obietta la non pertinenza nella specie dei principi applicabili all’istituto della ripetizione dell’indebito, trattandosi di restituzione a seguito dell’annullamento, da parte del giudice di secondo grado, della sentenza in precedenza posta in esecuzione dalla parte allora risultata vittoriosa.

La causa è stata posta in decisione alla camera di consiglio del 30 ottobre 2012.

2.- Il ricorso è inammissibile.

Per orientamento ripetutamente seguito dal Consiglio di Stato e dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, “il ricorso per l’esecuzione del giudicato – strumento processuale previsto dall’ordinamento per l’esecuzione coattiva delle pronunce passate in giudicato – non è utilizzabile per l’esecuzione delle pronunce di rigetto, anche in mancanza di un’espressa regola che circoscriva l’ottemperanza alle sole decisioni di accoglimento” (in tal senso Cons. Stato, VI, 13 dicembre 2001, n. 6532; cfr., inoltre, Cons. Stato, VI, 1° settembre 2009, n. 5114).

E’ stato, infatti, chiarito, a tale riguardo, che, relativamente alle decisioni del giudice amministrativo, sono le statuizioni preordinate ad una pronuncia di accoglimento a far nascere per l’amministrazione destinataria un obbligo di ottemperanza, che può dirsi adempiuto solo se vengono posti in essere atti completamente sattisfattivi rispetto a quelle statuizioni.

Viceversa, la pronunce di rigetto lasciano invariato l’assetto giuridico dei rapporti precedente alla radicazione del giudizio, rimanendo indifferente che la sentenza di rigetto sia stata pronunciata in primo grado ovvero in appello, con una sentenza di riforma della pronuncia di accoglimento emessa dal primo giudice.

Come, invero, già sostenuto dal Cons. Stato, VI, 19 settembre 2008, n. 4523, non assume rilievo, in senso contrario, il principio desumibile dall’articolo 336, comma 2, cod. proc. civ. secondo cui “la riforma o la cassazione della sentenza estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”, in quanto la disposizione, come anche evidenziato dalla richiamata sentenza n. 6532 del 2011, riguarda i provvedimenti e gli atti del giudice e comunque non fornisce alcuna indicazione riguardante le modalità attraverso le quali far valere gli effetti della riforma sui provvedimenti amministrativi (ovvero sugli adempimenti di obbligazioni pecuniarie), posti in essere in esecuzione della sentenza di primo grado.

Ciò comporta che non può essere disposta in via coattiva nella presente sede di ottemperanza l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto coerente con l’assetto dei rapporti esistente anteriormente al giudizio.

Non essendovi, in presenza di pronuncia di rigetto, l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza, neppure sussistono i presupposti per l’esame della richiesta di chiarimenti sulle modalità di tale ottemperanza.

Per le esposte ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Si ravvisano, in considerazione delle particolarità e del carattere interpretativo della controversia giustificate ragioni di compensazione della spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 5124 del 2012, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2012

Redazione