Ricorso per cassazione: vizio di motivazione (Cass. n. 17164/2012)

Redazione 09/10/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 31/8/2009 la Corte d’Appello di Brescia, rigettata la domanda di risarcimento dei danni lamentati dalla società Cedac s.r.l., in parziale accoglimento di quella ex art. 700 c.p.c. e L. n. 287 del 1990, art. 33 dalla medesima proposta, inibiva all’Agenzia del territorio di Brescia “di porre sul mercato il servizio di ricerca continua in via telematica secondo modalità diverse da quelle prescritte dalla L. n. 287 del 1990”, nonchè di praticare all’attrice “condizioni anche economiche incompatibili con il mantenimento di un adeguato livello di concorrenzialità e comunque non conformi ai criteri di cui alla Direttiva 2003/98/CE”, in relazione all’acquisizione di “dati” dei registri pubblici conservati presso le Conservatorie immobiliari e il Catasto terreni e fabbricati, da riutilizzare nella sua attività di gestione e fornitura ad operatori commerciali (banche e professionisti) di informazioni concernenti la consistenza e la variazione del patrimonio di soggetti presenti nelle formalità ipotecarie.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’Agenzia del Territorio propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la società Cedac s.r.l., che propone altresì ricorso incidentale sulla base di unico complesso motivo,, cui resiste con controricorso l’Agenzia del Territorio.

Già chiamata all’udienza del 28/10/2011, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione della L. n. 311 del 2004, artt. 367, 368, 369, 370, 371 e 372, L. n. 287 del 1990, art. 3, art. 82 Trattato U.E., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito l’abbia erroneamente ritenuta un’”impresa”, laddove ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 61, comma 1, essa è un ente pubblico non economico che nell’espletamento (anche) dei compiti istituzionali di formazione, conservazione e gestione dei pubblici registri “non opera secondo le regole e i criteri del privato imprenditore e non persegue alcun fine di lucro”, ma “incassa solo il tributo fissato dalla legge (tasse ipotecarie e tributi speciali catastali) che riversa al bilancio dello Stato”.

Lamenta risultare a tale stregua nel caso inapplicabile “la disciplina comunitaria in tema di concorrenza, non essendo ipotizzabile alcun abuso di posizione dominante”.

Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 287 del 1990, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la corte di merito ha erroneamente escluso l’applicabilità nella specie dell’esenzione prevista dalla L. n. 287 del 1990, art. 8, comma 2, a favore di imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare, sia nell’ambito della disciplina nazionale (L. n. 287 del 1990) che di quella comunitaria (artt. 82 e 86 trattato CE, ora art. 106 trattato UE; Direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003) della concorrenza, la nozione d’impresa ricomprende, diversamente da quanto sostenuto dall’odierna ricorrente, qualsiasi soggetto esercitante in modo organizzato e durevole un’attività economica sul mercato, al di là del relativo status giuridico, e della definizione che di essa danno i singoli ordinamenti nazionali.

Ne consegue che l’Agenzia del territorio – sebbene ai sensi della L. n. 311 del 2004 sia un ente pubblico affidatario di compiti d’interesse generale relativi alla formazione, conservazione e gestione dei pubblici registri ipotecar e catastali – è soggetta alla disciplina antimonopolistica in ordine al mercato dell’utilizzazione economica delle informazioni commerciali, tratte dalla consultazione di detti registri.

Consultazione che in base allo Statuto l’Agenzia stessa è abilitata a consentire ad altri soggetti, previa stipula di convenzioni, alle condizioni da essa stabilite e dietro pagamento di tributi e tasse.

Trattasi infatti di attività altra e diversa da quella istituzionale di carattere pubblicistico di tenuta e pubblicità dei dati da tale ente svolto, ulteriore rispetto a quest’ultima e di carattere senz’altro economico, concernente il “riutilizzo” dei dati in argomento.

Riutilizzazione espressamente definita all’art. 2, n. 4 della citata Direttiva 2003/98/CE come “uso dei documenti in possesso di enti pubblici da parte di persone fisiche o giuridiche a fini commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale nell’ambito dei compiti di servizio pubblico per i quali i documenti sono stati prodotti”.

Come posto in rilievo dalle Sezioni Unite, correttamente la corte di merito ha nell’impugnata sentenza avuto riguardo alla previsione statutaria che abilita l’Agenzia del territorio a fornire servizi, consulenze e collaborazioni nelle materie di propria competenza anche su base contrattuale, ossia a svolgere un’attività che evidentemente va oltre quella della raccolta primaria e della mera tenuta dei dati a fini di pubblicità, e che inevitabilmente appare tale da porre la medesima in competizione economica con altri soggetti, pubblici o privati, che offrono analoghi servizi, consulenze o collaborazioni sul mercato del riutilizzo di quei dati (v. Cass., Sez. Un., 30/12/2011, n. 30175).

Dalle Sezioni Unite di questa Corte non si è accolta altresì la tesi, dall’odierna ricorrente riproposta (anche) nel ricorso in esame, secondo cui tale attività rientra fra i servizi di interesse economico generale (ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 8 esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina in questione), da intendersi come quelli strettamente connessi all’adempimento di specifici obblighi affidati all’impresa.

Si è posto in rilievo come gli argomenti al riguardo dedotti dall’Agenzia siano invero riferibili non già alla funzione primaria da essa svolta (di formazione, conservazione e gestione dei pubblici servizi ipotecari e catastali) bensì all’attività, cui afferisce l’abuso di posizione dominante imputatole, concernente il trattamento commerciale dei dati ricavati dalla consultazione di detti registri.

Nè risulta dalla medesima dimostrato l’indefettibilmente i necessario nesso funzionale, nel rispetto del criterio di proporzionalità del sacrificio delle esigenze concorrenziali, tra il servizio di formazione, conservazione e gestione dei registri pubblici (da un lato) e (dall’altro) le limitazioni che essa è abilitata a porre nella successiva utilizzazione economica dei dati da parte di altri soggetti, nascenti dalla possibilità per i privati di superare tale divieto solo previa stipulazione di apposite convenzioni, alle condizioni stabilite dall’Agenzia del territorio e dietro pagamento di tributi e tasse per ciascun atto di riutilizzazione, con obbligo di eliminazione di ogni archivio privato una volta scaduta la relativa convenzione.

Con conseguente impossibilità di ritenersi nel caso integrata la deroga di cui al suindicato L. n. 287 del 1990, art. 8 (così Cass., Sez. Un., 30/12/2011, n. 30175).

Con il 3 motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, artt. 367, 368, 369, 370, 371 e 372, L. n. 287 del 1990, art. 3, della Direttiva 2003/98/CE, recepita con D.Lgs. n. 36 del 2006, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ravvisato sussistere un contrasto tra la L. n. 311 del 2004 e la Direttiva 2003/98/CE, laddove la parità deve essere garantita esclusivamente tra gli “utilizzatori” dei dati pubblici, non anche “tra le Amministrazioni e i riutilizzatori”, essendo anzi la “diversità di posizioni tra le Amministrazioni titolari dei dati ed i soggetti riutilizzatori… assolutamente prevista e consentita”.

Il motivo è infondato.

Atteso che come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto occasione di precisare (facendo richiamo alla pronunzia Corte Giust., 17/2/2011, C-59/9, Teliasonera), essendo l’Agenzia del territorio attrezzata a svolgere attività d’impresa anche sul mercato dell’informazione commerciale senz’altro configurabile è invero in tale ambito l’abusività di determinati suoi comportamenti determinanti effetti discorsivi della concorrenza su detti mercati, vale osservare che il termine riutilizzatori di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 370-372 (come sostituiti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 386) va inteso in senso ampio e comprensivo, ad esso dovendo ricondursi tutti i soggetti che in tale settore operano, inclusa quindi anche l’Agenzia odierna ricorrente.

Con il 4 motivo la ricorrente in via principale denunzia omessa o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che “è privo di ogni logica” attribuirle “l’intenzione di duplicare le attività svolte da società private del tipo di quella dell’attrice”, sfuggendole la ragione per la quale “il servizio di ricerca continua per via telematica… debba costituire una rielaborazione dei dati in possesso dell’Agenzia del Territorio”, laddove esso “costituisce solo una modalità con la quale l’Agenzia del Territorio mette i dati in proprio possesso a disposizione dei riutilizzatori”.

Il motivo è infondato nei termini di seguito indicati.

Come questa Corte ha avuto ripetutamente modo di affermare, il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Esso postula dunque che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico.

Il vizio di contraddittorietà della motivazione, in particolare, ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti che non consentano di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, sicchè non sussiste motivazione contraddittoria allorchè dalla lettura della sentenza non emergano incertezze di sorta in ordine alla volontà del giudice (v. Cass., 27/1/2012, n. 1256; Cass., 28/12/2011, n. 29458).

Non è, dunque, contraddittorio ritenere corretta la tesi prospettata da una delle parti e poi rigettare la domanda sulla base di una diversa affermazione ritenuta decisiva.

Tale vizio non consiste nemmeno nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Nè il vizio di motivazione può essere utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può d’altro canto imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Orbene, i suindicati principi risultano non osservati dall’odierna ricorrente in via principale, che non chiarisce invero sotto quale profilo formula la doglianza, limitandosi a generiche ed apodittiche affermazioni.

Emerge allora evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della medesima, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, sì risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dai medesimi operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., detta ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento degli stessi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Con unico complesso motivo la ricorrente in via incidentale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che erroneamente la corte di merito ha ritenuto non provato l’ammontare del danno subito, laddove essa ne ha invero “dato ampia prova documentale… di cui non si è tenuto alcun conto in modo palesemente illogico”.

Si duole che “in ogni caso non è stata data alcuna giustificazione circa la non idoneità del doc. n. 31 dedotto ed allegato a costituire una prova per presunzioni2.

Il motivo è fondato e va accolto p.q.r., nei termini di seguito indicati.

Risponde a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimità che il vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella manifestazione della motivazione apparente, ricorre quando il giudice di merito ometta di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando tali elementi, non proceda ad una relativa approfondita disamina logico- giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (v. Cass, 17/7/2012, n. 12217; Cass., 21/7/2006, n. 16762; Cass., 27/1/2006, n. 1756; Cass., 18/1/2006, n. 890).

Si è altresì precisato essere senz’altro ammissibile che la sentenza pronunziata in sede di gravame contempli una motivazione per relationem, purchè il giudice dell’appello, facendo proprie le argomentazioni del giudice di prime cure, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto.

La sentenza d’appello deve essere viceversa cassata allorquando la laconicità della motivazione adottata, o la relativa formulazione in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 20/5/2011, n. 11138; Cass., 12/8/2010, n. 18625; Cass., 11/6/2008, n. 15483; Cass., 2/2/2006, n. 2268).

Orbene, la corte di merito ha, nell’impugnata sentenza disatteso i suindicati principi.

In particolare là dove, dopo aver ritenuto “fondata la domanda sulla violazione delle norme sulla concorrenza”, afferma di non poter accogliere la domanda “di risarcimento del danno in quanto non provata nella sua entità”.

Ancora, là dove respinge le istanze istruttorie formulate dalla parte facendo mero rinvio a “tutte le argomentazioni contenute nella propria ordinanza del 9 ottobre 2008 con la quale ha rigettato l’istanza a causa della mancata allegazione di idonea documentazione sulla quale svolgere l’indagine”, nonchè limitandosi a qualificare non pertinente il “doc. n. 32”, in quanto riferibile alla “diversa società ITS Novum Emerge invero evidente come trattisi di affermazioni del tutto generiche ed astratte, apodittiche e prive di specifico riferimento alle circostanze concrete del caso, come tali pertanto inidonee a far comprendere l’operato vaglio critico delle emergenze processuali; la compiuta disamina delle critiche mosse; le ragioni che hanno delle medesime giustificato il superamento o la reiezione.

In altri termini, l’iter logico-giuridico seguito per pervenire all’adottata decisione.

Pur in presenza della ravvisata sussistenza dell’an del danno risarcibile, la corte di merito ha infatti rigettato la domanda, argomentando dalla ritenuta mancata prova del relativo quantum, in termini tali da non consentire a questa Corte di prenderne contezza e di considerare quanto valutato e affermato nella richiamata ordinanza istruttoria. In particolare, quali siano stati i documenti e le prove in tale sede prese in esame (avuto specificamente riferimento al “documento n. 31”, alla “diffida… doc. 16 nota deposito fase di merito”, ai “prospetti riepilogativi riferiti agli anni 2005 e 2006”, ai bilanci societari e al “conto economico del 2006”, al “doc. 14 nota di dep. Fase di merito” relativo alla avvenuta cessazione dell’attività”, indicati dalla ricorrente in via incidentale), e le ragioni della ritenuta relativa “in idoneità”.

Nè motivazione alcuna si evince in ordine alla mancata ammissione della richiesta CTU contabile, laddove questa Corte non ha mancato di porre in rilievo come il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito – incensurabile in sede di legittimità – vada contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito a questione tecnica rilevante per la definizione della causa.

Con la conseguenza che quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere; mentre se la soluzione scelta come nella specie non risulti adeguatamente motivata, la decisione è sindacabile in sede di legittimità sotto l1anzidetto profilo (v. Cass., 3/1/2011; Cass., 4/6/2007, n. 12930; Cass., 27/10/2004, n. 20814).

Senza sottacersi che nell’impugnata sentenza non risulta invero speso argomento alcuno (anche) in ordine alla evidentemente ravvisata impossibilità di farsi nel caso applicazione della prova presuntiva del danno patrimoniale (cfr., da ultimo, Cass., 19/7/2012, n. 12463), e della relativa valutazione equitativa ex art. 1126 c.c..

La fondatezza nei suesposti termini del motivo comporta l’accoglimento in relazione del ricorso incidentale, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Brescia che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale, rigettato il principale.

Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione.

Redazione