Responsabilità professionale – Prova nel giudizio civile – Valutazioni (Cass. n. 3137/2013)

Redazione 08/02/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.R., C.M., C.G., C.C., C.A. e Ca.Cl. convennero dinanzi al Tribunale di Padova il notaio G.M. chiedendone la condanna ai danni subiti a seguito degli errori da lui commessi nell’occuparsi della pratica relativa alla successione di Ca.Gi., di cui gli attori erano eredi, che avevano originato da parte dell’Amministrazione finanziaria un atto di accertamento di ricalcalo di maggiori imposte e di irrogazione delle relative sanzioni. Il convenuto eccepì la nullità dell’atto di citazione e, nel merito, oppose che eventuali ritardi nella presentazione dell’inventario dell’eredità, accettata con beneficio da parte degli eredi, erano attribuibili alla mancata tempestiva consegna da parte dei clienti della documentazione necessaria per la sua redazione. Chiese quindi ed ottenne di chiamare in causa a titolo di garanzia la propria società di assicurazione Lloyd’s of London, che rimase contumace. Con sentenza del 2009 il Tribunale ritenne provato che la dichiarazione di successione era stata presentata in ritardo dal notaio, in quanto, avendo questi depositato l’inventario dopo la scadenza del termine di legge, i suoi clienti non potevano usufruire del termine più vantaggioso derivante dall’accettazione beneficiata, ma andavano considerati eredi puri e semplici, rilevando che ciò aveva provocato da parte dell’Amministrazione finanziaria il ricalcalo delle imposte in base alla legge meno favorevole dettata dal D.Lgs. n. 346 del 1990, in luogo della normativa di cui alla L. n. 342 del 2000, applicabile alle successioni aperte dopo il 30 giugno 2000; affermò quindi la responsabilità professionale del G., che condannò a titolo di risarcimento dei danni al pagamento della somma di Euro 71.904,18. L’interposto gravame da parte del notaio venne parzialmente respinto dalla Corte di appello di Venezia, che con sentenza n. 295 del 21 febbraio 2011 riformò la decisione impugnata solo relativamente alla mancata pronuncia sulla domanda di manleva avanzata dal convenuto nei confronti della Lloyd’s of London, che accolse adottando la conseguente statuizione di condanna. Il giudice di secondo grado, rilevata la validità dell’atto introduttivo del giudizio sotto il profilo del rispetto dei requisiti richiesti dall’art. 163 c.p.c., nn. 4 e 5, e altresì la legittimazione degli eredi alla proposizione della domanda risarcitoria, essendo essi tutti obbligati in solido al pagamento della pretesa fatta valere dall’Amministrazione finanziaria, affermò che il notaio doveva ritenersi responsabile del maggior esborso sopportato dagli attori a tale titolo per avere predisposto l’inventario tardivamente soltanto in data 4 giugno 2001, laddove, apertasi la successione il 7 giugno 2000 e compiutasi l’accettazione beneficiata il 4 dicembre 2000, esso avrebbe dovuto essere redatto nel termine di legge di tre mesi, che scadeva il 4 marzo 2001, aggiungendo che nessuna prova era stata addotta dal notaio per dimostrare che detto ritardo sarebbe stato causato dalla non tempestiva consegna dei documenti necessari.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 5 aprile 2012, ricorre G.M., affidandosi a quatto motivi.
Resistono con controricorso B.R., C.M., C.G., C.C., C.A. e C. C., che hanno depositato anche una memoria, mentre la società ***** of ****** non si è costituita.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto fondamentale della controversia, lamentando che la Corte di merito, tenuto conto che soltanto ****** si era rivolto al notaio ed aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario, non abbia dichiarato il difetto di legittimazione attiva delle altre parti, che non avevano avuto alcun rapporto con il professionista. Si aggiunge che, nel caso in cui la affermata responsabilità del notaio fosse da ritenersi di natura extracontrattuale, la legittimazione alla relativa pretesa risarcitoria dovrebbe essere riconosciuta soltanto in capo alla B., che era la sola erede ad avere provveduto al pagamento delle richieste avanzate dall’Ufficio finanziario.
Il motivo non merita accoglimento.
La prima censura, che, richiamando l’aspetto soggettivo del mandato professionale, solleva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva degli attori, fatto salvo il solo Ca.Cl., che sarebbe stato l’unico ad aver conferito formalmente l’incarico al professionista, è inammissibile perchè nuova, non risultando nè dalla sentenza impugnata nè dallo stesso ricorso che essa sia stata sollevata nei giudizi di merito. La doglianza è pertanto inammissibile, essendosi sul punto relativo alla legittimazione degli attori, sotto il profilo considerato, formatosi ormai il giudicato.
La seconda censura appare invece infondata. Da un lato perchè il riconoscimento implicito della legittimazione degli attori in ragione del rapporto contrattuale intercorso con il professionista, costituisce titolo per il risarcimento del danno da essi preteso a causa dell’inesatto adempimento attribuito alla controparte.
Dall’altro lato in quanto merita adesione il rilievo svolto dalla Corte distrettuale, secondo cui il fatto materiale del pagamento della pretesa tributaria da parte della sola B. non incide sulla legittimazione degli altri eredi a chiedere il risarcimento del danno costituito da tale esborso, atteso che la loro veste di obbligati in solido li obbliga comunque alla rifusione dei tributi versati in proporzione alle rispettive quote.
Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto fondamentale della controversia, investe il giudizio di responsabilità formulato dal giudice di merito nei confronti del professionista, ritenuto colpevole di avere presentato l’inventario dei beni ereditari in ritardo. Sul punto si lamenta che il giudice distrettuale non abbia considerato che le prove testimoniali escusse e le risultanze documentali avevano dimostrato che il notaio aveva redatto l’inventario il 4 giugno 2001 e presentato la dichiarazione di successione il 6 giugno 2001 a causa del ritardo con cui gli pervenne da parte degli eredi la documentazione necessaria. In particolare la Corte veneziana avrebbe del tutto trascurato di valutare il verbale assembleare del 27 aprile 2001 della società Calcestruzzi Riviera, da cui risultava che Ca.Cl., presentatosi quale erede del socio Ca.Gi., non era stato ammesso all’assemblea perchè non aveva denunziato nè provato tale propria qualità, fatto che dimostrava che gli eredi non si erano in precedenza attivati per procurarsi i documenti relativi alla partecipazione societaria del de cuius, che invece erano indispensabili per la redazione dell’inventario; si aggiunge che la Corte ha anche colpevolmente ignorato le dichiarazioni rese dai testi L. e T., all’epoca collaboratori dello studio notarile, che avevano confermato sia i solleciti del notaio per ricevere la documentazione sia che essi erano stati presentati con estremo ritardo, dando per contro rilievo ai testi della controparte, che avrebbero invece dovuto essere considerati inattendibili in quanto, avendo operato nella vicenda come consulenti dei C., erano interessati ad attribuire le colpe al G..
Il motivo è fondato.
L’esposizione di fatti di causa indica univocamente che uno dei punti decisivi della controversia era costituito proprio dalla addebitabilità del ritardo con cui il notaio aveva presentato l’inventario dei beni caduti in successione, che gli attori attribuivano a negligenza del professionista, mentre quest’ultimo ascriveva alla mancata tempestiva consegna da parte degli stessi eredi, nonostante i solleciti ad essi rivolti, della documentazione necessaria. Su tale aspetto, che appariva all’evidenza decisivo ai fini dell’accertamento della responsabilità professionale nel caso di specie, la Corte veneziana si è invece limitata ad affermare, senza null’altro aggiungere, che la versione al riguardo fornita dal notaio non era stata provata. La motivazione appare del tutto sommaria ed inadeguata, dal momento che, non esponendo gli elementi su cui il giudicante ha fondato il proprio convincimento, non permette di comprendere le ragioni della decisione. Del tutto trascurata appare, in particolare, la valutazione delle prove documentali e testimoniali dedotte dal convenuto, così come riassunte nel ricorso e che, in omaggio al principio di autosufficienza, risultano in esso trascritte, che appaiono, per il loro contenuto, rilevanti ai fini del decidere, potendosi sul punto ritenere che, se esse fossero state considerate, avrebbero potuto portare ad una decisione diversa. E’ noto, invero, che se il giudice di merito è libero di formare il proprio convincimento sulla base degli elementi di prova che ritiene più attendibili, egli tuttavia, stante l’obbligo di decidere la controversia sulla base delle prove prodotte in giudizio e di motivare la propria decisione, deve dar conto di avere esaminato il complesso del materiale probatorio acquisito nel processo e di non avere quindi ignorato elementi di prova astrattamente decisivi ai fini della ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.
Per tali ragioni il secondo motivo di ricorso deve essere accolto.
Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 31, e dell’art. 487 c.c., comma 2, e art. 1227 c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto fondamentale della controversia.
Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto fondamentale della controversia.
I due motivi, che investono questioni consequenziali all’accertamento della responsabilità per colpa del professionista, si dichiarano assorbiti.
La sentenza va quindi cassata in relazione al secondo motivo, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2013.

Redazione