Responsabilità del direttore lavori e del titolare dell’impresa esecutrice per la morte del motociclista che urta il guardrail (Cass. pen. n. 21050/2013)

Redazione 16/05/13
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Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 24 giugno 2011, la Corte d’appello di L’Aquila confermava la sentenza emessa il 3 aprile 2008 dal Tribunale di Chieti che dichiarò G.P. e B.A. responsabili del delitto di cui all’art. 589, comma 1 cod. pen. commesso in (omissis) in danno di M.W., condannandoli per l’effetto alla pena di giustizia oltreché, in solido con i responsabili civili: ANAS s.p.a. e Prismo Universal Italiana s.r.l., al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili in ragione del 50% (avuto riguardo al concorso di colpa della vittima) da liquidarsi in separata sede, eccezion fatta per la provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 200.000,00, Agli imputati si addebitava di aver cagionato per colpa generica, la morte del motociclista M.W., con condotte tra loro indipendenti: il P. , in veste di direttore dei lavori ed il B. , in quella di titolare della impresa: “Prismo Universale s.r.l.”, quale appaltatrice dei lavori di installazione del guard-rail della (omissis), di fatto eseguiti lasciando ingiustificatamente un varco nella barriera di protezione metallica posta sul lato esterno della carreggiata lato destro (in direzione del centro abitato di (omissis)) all’altezza della progressiva chilometrica 9 + 300 in prossimità del tratto curvilineo volgente a sinistra di guisa che il motociclista, a seguito della caduta dal motoveicolo e del conseguente scarrocciamento sull’asfalto, urtando violentemente contro il piantone esterno posizionato a sostegno del guard – rail, dopo il varco lasciato in piena curva, ebbe a riportare ferite rivelatesi letali.
Ricorrono per cassazione, per tramite dei rispettivi difensori, entrambi gli imputati ed il responsabile civile ANAS s.p.a.. L’imputato P. articola tre distinte censure.
Con il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 604, comma 1 cod. proc. pen. per avere la Corte d’appello disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, dedotta con i motivi d’appello, ex artt. 521 e 522 cod. proc.pen., in cui era incorso il Tribunale per aver condannato l’imputato per un fatto diverso e non contestato ovverosia per la ritenuta pericolosità del posizionamento in quel punto del piantone di sostegno del guardavia (menzionato solamente nel capo di imputazione agli effetti della descrizione del sinistro) a fronte dell’incolpazione invece formulata a carico dei prevenuti per aver ingiustificatamente proceduto all’installazione della barriera metallica, lasciando un varco nella stessa.
Con il secondo motivo si duole il difensore dei vizi di violazione di legge e di difetto o contraddittorietà della motivazione in relazione all’inosservanza delle norme extrapenali disciplinanti l’attività dal P. in qualità di direttore dei lavori, presumendosi una di lui culpa in vigilando quale titolare di specifica posizione di garanzia. Ad avviso del ricorrente, l’imputato, non avendo partecipato, nella suddetta veste, alla fase di progettazione e di approvazione della perizia, ebbe ad agire in conformità alle specifiche disposizioni dettate dal Regolamento sui lavori pubblici di cui al R.D. n. 350 del 1895 (in vigore all’epoca dei lavori di installazione del guardavia), come dimostrato dalle risultanze istruttorie, al precipuo scopo di verificare la rispondenza alla perizia degli interventi di sostituzione del preesistente guard – rail a doppia onda e di posa in opera del nuovo dispositivo di sicurezza a tripla onda, di guisa da apparire inesigibile una diversa condotta,riferita all’omesso apprezzamento della pericolosità della situazione.
Con la terza censura. eccepisce il ricorrente 11 sopravvenuto maturarsi della prescrizione del reato in data 16 maggio 2011 e quindi anteriormente alla pronunzia della sentenza impugnata, tornando applicabile il più favorevole termine massimo di anni sette e mesi sei – previsto dalla vigente disciplina dell’istituto – decorrente dalla data del fatto: 19 luglio 2003, ancorché rimasto sospeso ex lege per 117 giorni dal 6 aprile al 31 luglio 2009 in dipendenza degli eventi sismici che colpirono l’Abruzzo.
Il difensore di A..B. articola un primo motivo di ricorso sostanzialmente sovrapponibile alla prima censura dedotta dal coimputato P. , di cui già si è detto.
Con la seconda censura, denunzia il ricorrente vizi di violazione di legge e vizi di contraddittorietà e di illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello ravvisato la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al B. , quale titolare della ditta esecutrice dei lavori effettuati nel 1998 su di un tratto di strada trasferito nel 2001 (ovvero due anni prima dell’incidente per cui è processo) dall’ANAS s.p.a., all’Amministrazione provinciale di Chieti,mancando in realtà, in capo all’imputato, il potere di fatto di impedire l’evento mortale. In netta contraddizione con tale assunto si porrebbe poi, secondo il ricorrente, il ritenuto concorso di colpa della vittima in ragione del 50% giacché, una volta affermato che il motociclista ebbe a concorrere nella produzione dell’evento viaggiando a velocità troppo elevata e distraendosi nella guida, non sarebbe stato possibile, giudicare responsabile dell’evento né il proprietario della strada né il titolare dell’impresa esecutrice della installazione del manufatto.
Il responsabile civile ANAS s.p.a., con il primo motivo di ricorso denunzia, negli stessi termini già dedotti dagli imputati,l’inosservanza dell’art. 604 cod. proc. pen. per l’omessa pronunzia sull’eccepita nullità della sentenza di primo grado ex artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello per aver confermato la condanna degli imputati per fatto diverso da quello contestato.
Con il secondo motivo articola vizi di motivazione per avere la Corte d’appello giudicato irrilevante, con argomentazioni apparenti ed apodittiche, l’eccepita carenza di legittimazione dell’ANAS s.p.a., in conseguenza del fatto che il tratto di strada teatro dell’incidente era divenuto di proprietà dell’Amministrazione provinciale di …, in anni precedenti la data del sinistro. Con il terzo motivo, denunzia il ricorrente la sopravvenuta estinzione del reato per maturata prescrizione in data 16 maggio 2011, non avendo incidenza l’ulteriore causa di sospensione di gg. 60 “dichiarata all’udienza del 31 maggio 2007” allorché, contrariamente a quanto erroneamente attestato nella sentenza impugnata, ebbe luogo, nel corso del giudizio di primo grado, l’escussione di sei testimoni.

Considerato in diritto

Deve preliminarmente rilevarsi, in accoglimento delle conformi eccezioni proposte dai ricorrenti P.G. ed ANAS s.p.a., la sopravvenuta estinzione per prescrizione del delitto di omicidio colposo previsto dall’art. 589, comma 1 cod. pen., punito con pena edittale massima di anni cinque di reclusione, una volta giunto a definitivo compimento il termine massimo di anni sette e mesi sei applicabile, nel caso di specie, sulla base della previgente come dell’attuale disciplina normativa dell’istituto. Ciò va detto alla stregua del disposto sia degli artt. 157, commi 1 n. 4, 2 e 3, 160, comma 3 cod. pen. (nel testo originario) atteso l’avvenuto riconoscimento agli imputati delle attenuanti generiche con la sentenza di primo grado, integralmente confermata in grado d’appello che degli artt. 157, comma 1, 161 cod. pen. (nel testo novellato), in linea teorica applicabili nel caso di specie giusta quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 47008 del 2009, risultando emessa in data 3 aprile 2008 la sentenza di condanna di primo grado.
Concludendo sul punto si osserva che, applicato detto termine di anni sette e mesi sei,con decorrenza dalla data del fatto: 19 luglio 2003 e tenuto conto del periodo di sospensione compreso tra il 6 aprile ed il 31 luglio 2009 in considerazione degli eventi sismici che colpirono l’Abruzzo, la prescrizione del reato risulta definitivamente maturata in data 16 maggio 2011 (e quindi anteriormente alla pronunzia della sentenza d’appello emessa il 24 giugno 2011), restando effettivamente esclusa l’operatività dell’ulteriore causa di sospensione di giorni sessanta “dichiarata all’udienza 31 maggio 2007”, erroneamente rilevata dalla Corte d’appello, posto che alla suddetta udienza, tenutasi nel corso del giudizio di primo grado, non fu disposto alcun rinvio, come accertato in atti.
Né presentano i proposti ricorsi profili di inammissibilità a tanto ostativi (preclusivi della declaratoria di prescrizione quali cause originarie di inammissibilità) come pacificamente emerge dai motivi dedotti dai ricorrenti e riassunti in narrativa (cui si rinvia) in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di L’Aquila nell’impugnata sentenza. I gravami prospettano invero doglianze concernenti tematiche non solo relative a vizi motivazionali ma anche a vizi di erronea interpretazione od applicazione della legge penale e di norme extrapenali (da questa presupposte), in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso eziologico ed all’affermazione di penale responsabilità dei prevenuti.
Né sussistono, peraltro, le condizioni di legge per la sussumibilità del caso nella previsione dell’art. 129, 2 comma cod. proc. pen..
Il sindacato di legittimità ai fini dell’eventuale applicazione dell’art. 129, secondo comma cod.proc. pen. resta invero circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti, ictu oculi, evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 cod. proc. pen., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, prevale l’esigenza della definizione immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui già risulti una causa di estinzione del reato, financo la sussistenza di una nullità (pur se di ordine generale) non è rilevabile nel giudizio di cassazione, “in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva” (in tal senso, ex plurimis: ***** n. 1021/2001; ***** n. 35490/2009).
Come pure è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti, agli effetti penali, finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione (sia con riferimento alle valutazioni del compendio probatorio, sia con riferimento al vaglio delle altre deduzioni). L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata senza rinvio, ai fini penali, per essere il reato estinto per prescrizione.
La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta, ex art. 578 cod.proc.pen. l’obbligo di esaminare compiutamente i motivi di impugnazione, e, di conseguenza, anche il materiale probatorio acquisito, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (in tal senso, ex plurimis, ***** n. 35490/2009, **********). Né può giungersi alla conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno (sancita dal Giudice di prime cure e condivisa dalla Corte d’appello) in ragione della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2 cod.proc.pen..
A tali fini civili i ricorsi devono essere rigettati, per l’infondatezza delle censure dedotte.
Quanto al primo motivo di doglianza – comune al tre ricorsi – con il quale si censura la violazione degli artt. 522 e 604, comma 1 cod. proc. pen., ne rileva il Collegio, la sostanziale irrilevanza, alla luce di quanto poc’anzi osservato. Trattasi, da un lato, di questione di nullità della sentenza penale (peraltro relativa) chiaramente superata e non più esaminabile in questa sede, attesa la sopravvenienza della causa estintiva del reato (cfr. ***** n. 35490/2009). Dall’altro, la stessa non ha alcuna influenza agli effetti della pronunzia sui motivi di impugnazione dedotti con i ricorsi, ormai limitata al solo versante civilistico. In ogni caso, per completezza giova aggiungere che la Corte d’appello, con argomentazioni assolutamente corrette in fatto ed in diritto (fgl. 6 della sentenza impugnata) ha respinto l’eccezione sollevata con i motivi d’appello rimarcando che,ai fini del concreto e proficuo esercizio del diritto di difesa (alla cui tutela sostanziale presiede la previsione di nullità della sentenza in caso di immutazione del fatto contestato), la pronunzia di condanna di primo grado aveva ravvisato la penale responsabilità degli imputati in conformità al “nucleo essenziale della contestazione”, ovverosia in relazione alla errata installazione (cui entrambi ebbero a contribuire con condotte colpose indipendenti) del guardavia “con il varco ed il piantone” posto al centro della curva sinistrorsa rispetto al senso di marcia della vittima, peraltro in corrispondenza con il punto di maggior ampiezza del raggio della curva e quindi in corrispondenza del punto di più intensa incidenza della forza centrifuga;donde l’incrementata, intrinseca pericolosità in caso di fuoriuscita dalla sede stradale, del pilastrino di sostegno posizionato In quel punto, dopo un’interruzione della barriera di mt. 2,90. In sostanza si trattava di “una spada” infissa nel suolo “puntata contro coloro che stavano eseguendo la curva”. A siffatto elemento “costruttivo”, infisso nel terreno nella banchina latistante il manto stradale con funzioni di sostegno e di appoggio del tratto di guardavia che da detto piantone aveva inizio fa invero specifico riferimento il capo di imputazione.
Con il secondo motivo, dedotto con i rispettivi atti di impugnazione, i ricorrenti P. e B. contestano, in estrema sintesi, sub specie del vizio di violazione di legge e del vizio di motivazione, l’affermazione di colpevolezza cui sono giunti entrambi i Giudici di merito.
Ne appare opportuna una congiunta trattazione.
Giova innanzitutto, premettere che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale di questa Suprema Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996); Id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Il vizio di motivazione deducibile In sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall’art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da “altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”. Il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità in particolare dedotto dal difensore del B. -, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti ai suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. ***** n. 30 del 1995).
Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – di cui si dirà tra poco – forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai queslti concernenti la vicenda oggetto del processo. La trama argomentativa della sentenza impugnata si sottrae, perciò, ai lamentati vizi di illogicità, tantomeno manifesta, cioè rilevabile immediatamente, ictu oculi; essa da logica contezza non solo della insussistenza della prova evidente della innocenza degli imputati (per quanto possa rilevare ai fini penali, per come sopra si è detto), ma anche della sussistenza di elementi di giudizio di evidente ed univoco segno contrario, giustificativi delle rese statuizioni civilistiche.
I Giudici di seconda istanza hanno affermato sussistere, in esito al corretto e coerente apprezzamento dell’acclarato stato di fatto, la responsabilità commissiva (e non per fatto omissivo) di entrambi gli imputati per avere gli stessi, nel rispettivi ruoli rivestiti, colposamente contribuito alla produzione dell’evento, sia pure in presenza dell’indiscusso concorso di colpa della vittima che impattò contro il micidiale pilastrino di sostegno del guardavia, posizionato nel punto più pericoloso della curva avuto riguardo al senso di marcia del motociclista, dopo un rilevante tratto di interruzione della barriera. L’indubbio concorso di colpa trovò causa nell’eccessiva velocità cui procedeva W..M. tale da precludergli di governare correttamente il motoveicolo,anche per la assai verosimile condotta disattenta di guida. È peraltro del tutto pacifico che il pur accertato concorso della vittima, come tale, non può aver prodotto l’effetto di elidere l’incidenza, agli effetti della produzione dell’evento, delle condotte attive degli imputati, alle quali deve farsi risalire l’imprescindibile contributo (di pari rilevanza quantitativa, come ritenuto dai Giudici di merito) in difetto del quale l’evento non si sarebbe verificato od avrebbe avuto conseguenze meno gravi, ove verificatosi. È sufficiente ipotizzare in estrema sintesi che ove il guardavia non avesse presentato pericolosissime ed insidiosissime interruzioni seguendo al contrario, senza soluzione di continuità l’intero andamento del limite esterno della curva sinistrorsa (rispetto al senso di marcia del motoveicolo) e quindi se non fosse stato installato nel punto più pericoloso il micidiale pilastrino, il mezzo condotto dalla vittima avrebbe impattato lateralmente e tangenzialmente contro il guardavia, progressivamente decrementando la velocità fino ad arrestarsi dopo pochi metri, sempre restando all’interno della sede stradale percorsa. In tal caso il motociclista avrebbe quindi evitato il violento urto contro il pilastrino, quasi “una spada” puntata contro coloro che uscivano di strada e fonte, com’è ovvio delle gravissime lesioni alla parte destra del corpo (frattura esposta del femore e traumi addominali vari) che lo condussero a morte all’istante.
Ciò posto, in punto responsabilità, era elemento indiscusso che il P. , in qualità di direttore dei lavori, curò e sovraintese all’esecuzione dei lavori di sostituzione del preesistente guardavia con riposizionamento del pilastrino di sostegno nel medesimo punto; lavori materialmente eseguiti dalla ditta appaltatrice “s.r.l. Prismo Universal”, di cui il B. era titolare. Va detto che la Corte d’appello ha già sostanzialmente ” risposto ” alle censure in questa sede dedotte, evidenziando in particolare, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, che del tutto prevedibile appariva la intrinseca pericolosità del posizionamento del paletto di sostegno in quel punto e quindi pacificamente evitabile era l’evento qualora gli imputati, ciascuno nell’ambito delle facoltà e dei poteri riconnessi ai ruoli rivestiti, avessero adottato gli opportuni accorgimenti. Sul rilievo della previsione di “una progettazione non dettagliata” della perizia redatta da altro tecnico (elemento di fatto acclarato in sede di merito e quindi non altrimenti “rivisitatine” nel presente giudizio di legittimità) la Corte d’appello ha poi rimarcato che in particolare il P. , acquisita la indiscutibile consapevolezza della intrinseca pericolosità della situazione, avrebbe chiaramente dovuto rappresentare alla stazione appaltante, la necessità di una diversa posa in opera del guardavia e del relativo pilastrino di sostegno fino a rifiutarsi ovviamente di dare esecuzione all’intervento cosiccome progettato, attesa l’estrema pericolosità che da esso derivava per gli utenti della strada. Egualmente il B. , anch’egli ben conscio della pericolosità derivante da tale stato di fatto, non poteva andare esente dal colpa per aver dato corso ad ordini altrui; ordini ai quali avrebbe dovuto sottrarsi in previsione dei pregiudizi che obiettivamente sarebbero derivati a chi percorreva quel tratto di strada. Mette conto di aggiungere che l’occasione contingente della sostituzione del guard – rail a doppia onda con quello a tripla onda avrebbe dovuto ragionevolmente Indurre coloro che di tale intervento furono, a vario titolo incaricati, a riconsiderare criticamente, in sede non solo esecutiva, le modalità di “andamento” della barriera stessa sul margine latistante la curva e la necessità pratica di ovviare alla pericolosissima interruzione della stessa, causa della posa in opera dell’ancor più pericoloso pilastrino di sostegno nel punto di maggior ampiezza del raggio della curva rispetto alla direzione del motociclista, senzachè alcuna diversa esigenza tanto potesse plausibilmente giustificare e senzachè avesse alcun rilievo il mancato, pregresso verificarsi di incidenti in quello stesso tratto di strada, come rilevato dalla sentenza impugnata.
Né hanno pregio,anche nei limiti imposti alla presente trattazione, le ulteriori censure esposte con il terzo motivo di ricorso dal responsabile civile ANAS s.p.a. sul rilievo dell’avvenuto trasferimento della proprietà della strada all’Amministrazione provinciale di (omissis), a far tempo dai due anni anteriori all’evento, come pacificamente dimostrato dall’istruttoria espletata. Anche a tale doglianza la Corte distrettuale ha già dato congrua “risposta” evidenziando che tuttalpiù l’aver “mantenuto” il pericolosissimo stato di fatto del guardavia in quello stesso tratto di strada avrebbe potuto configurare una responsabilità concorrente, ma non certo avrebbe eliminato quella di coloro che contribuirono a dar luogo all’origine, a tale situazione. Il ragionamento ovviamente deve esser esteso a sostegno di eventuali responsabilità concorrenti in capo a chi si rese autore della progettazione della barriera, prevedendone il pericolosissimo riposizionamento nello stesso punto ivi inclusi varco e pilastrino iniziale di sostegno.
Al rigetto del ricorso agli effetti civili consegue la condanna dei ricorrenti in solido nonché del responsabile civile PRISMO UNIVERSAL s.r.l. alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.G. e di B.A. perché il reato loro ascritto è estinto per prescrizione.
Rigetta i ricorsi del predetti e del responsabile civile ANAS s.p.a. quanto alle statuizioni civili e condanna le medesime parti nonché il responsabile civile PRISMO UNIVERSAL s.r.l., In solido, alla rifusione in favore delle parti civili che liquida In Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

Redazione