Reato di omessa versamento dell’IVA per il legale rappresentante di una società, anche per la violazione del semplice dovere di vigilanza /Cass. pen. n. 27902/2013)

Redazione 26/06/13
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Svolgimento del processo

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – L’ordinanza del Tribunale qui impugnata ha respinto la richiesta di riesame avanzata dall’odierno ricorrente avverso il decreto di sequestro conservativo disposto a suo carico in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, per avere omesso, nella sua qualità di legale rappresentante prò tempore della soc. Nautiwork, di versare l’IVA per l’anno di imposta 2007, entro il termine previsto, per un ammontare di 359.959 Euro.

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite difensore, deducendo:

1) erronea applicazione della normativa in tema di competenza territoriale. Si fa, infatti, notare che, sia il G.i.p. che il Tribunale, hanno commesso il medesimo errore di considerare la competenza in base al luogo di accertamento e non a quello di commissione. Il primo, stabilito dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, però, opera solo in via sussidiaria rispetto all’art. 8 che fa riferimento al luogo della commissione.

Nella Specie, quest’ultima (corrispondente alla data entro cui il tributo avrebbe dovuto essere corrisposto) va individuata nel dicembre 2008, epoca in cui la sede sociale era ancora a Napoli.

2) vizio motivazionale da ravvisare nel fatto di aver ritenuto la solidarietà passiva tra la società e chi per essa ha agito, vale a dire, il dr. L., rappresentante legale della società obbligata verso l’Erario.

La decisione, si dice, è errata perchè va ad incidere sui beni di una persona fisica per debiti di una persona giuridica ed anche questa S.C. (4,2.08, n. 2588) ha stabilito che per effetto delle disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è venuta meno la responsabilità solidale del rappresentante legale di una società per le violazioni di quest’ultima;

3) vizio motivazionale con riferimento al fumus ed al periculum in mora. In particolare, quest’ultimo deve ritenersi escluso anche solo riflettendo sulla anteriorità della costituzione del fondo patrimoniale rispetto alla data di contestazione perchè dimostra che l’imputato non ha alcuna propensione a disperdere le garanzie del proprio credito.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

3. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito specificate.

3.1. Le argomentazioni poste a sostegno di questo primo motivo non sarebbero del tutto ingiustificate se non fosse che sono state rappresentate nella sede errata.

Ed invero, non ha torto il ricorrente quando ricorda che il criterio per individuare la competenza territoriale è in primis rappresentato dal luogo di commissione del reato, così come stabilito dall’art. 8 c.p.p. mentre quello dell’accertamento (di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18) interviene solo in via sussidiaria.

Nella specie, trattandosi di omesso versamento dell’IVA per l’anno di imposta 2007, la data di suo versamento era il dicembre 2008 epoca nella quale è indiscusso che la società di cui l’indagato è amministratore aveva ancora la propria sede a (omissis).

Di qui, la pretesa, non infondata, di invocare la competenza dell’A.G. di tale ultima città.

Il problema, però, discende dal fatto che, trattandosi di decreto di sequestro conservativo, a mente dell’art. 317 c.p.p., esso deve essere emesso dal “giudice che procede” e siccome, nel caso in esame, il procedimento pendeva dinanzi al Tribunale di Messina, il decreto di cui trattasi risulta formalmente emesso dal giudice giusto.

Pertanto, salva la possibilità, per l’interessato, di rinnovarla dinanzi al Tribunale di Messina (per poi impugnare una eventuale reiezione), di certo, l’eccezione di incompetenza, in questa sede, non può trovare accoglimento.

3.2. Decisamente infondata è, invece, la seconda doglianza.

Il principio secondo cui (a meno che non dimostri di essere soltanto un “uomo di paglia”) il legale rappresentante di una società risponde della contravvenzione di omessa presentazione della dichiarazione ai fini IVA, “anche per violazione del semplice dovere di vigilanza (sez. 3^, 2.2.99, piazza, Rv. 212734), è pacifico e non viene smentito dal precedente di giurisprudenza indicato dal ricorrente (peraltro, evocato in termini tali da non corrispondere al principio illustrato nel gravame).

Semmai, il dubbio si pone per l’ipotesi contraria (vale a dire per la possibilità di aggredire i beni della società per il reato tributario commesso dal suo amministratore – da ult. Sez. 3^, 23.10.12, Gimeli, Rv. 254739); ma l’eventualità qui non interessa.

3.3. Anch’esso ai limiti dell’inammisibilità è l’ultimo motivo di doglianza perchè si risolve in considerazioni di merito che non possono essere qui portate all’attenzione.

Ed infatti, dai poteri della Corte di Cassazione, esula quello di una rilettura, degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, che, in via esclusiva, è riservata ad altri giudici, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, vantazione delle risultanze processuali o procedimentali (sez. 6^, 8.5.09, n. 22445, RV. 244181);

Pertanto, ciò che questa S.C. deve controllare nella motivazione impugnata non è la possibilità teorica che i medesimi fatti si prestino a differenti interpretazioni e conclusioni, bensì solo se la soluzione adottata sia aderente alle acquisizioni fatte e queste ultime siano state commentate in modo logico e compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile opinabilità di apprezzamento” (tra le ultime, sez. 6^ 17.10.06 Ouardass, Rv. 235506).

In ciò solo si esaurisce il vaglio in sede di legittimità.

Nella specie, sotto tale punto di vista, le conclusioni cui i giudici di merito sono pervenuti all’esito del loro ragionamento logico giuridico sono incensurabili.

Essi, infatti, dopo avere sottolineato la sussumibilità della condotta ipotizzata nell’alveo della norma contestata, hanno osservato che la teorica possibilità di emettere decreto preventivo per la medesima fattispecie non costituiva preclusione alla adozione del diverso sequestro conservativo ed hanno, in particolare, bene lumeggiato il pericolo di dispersione delle garanzie soffermandosi a commentare la mancata trascrizione del fondo patrimoniale costituito il 26.11.07 su tutti i beni immobili oggetto di sequestro conservativo osservando che “l’operazione in sè considerata vale a rendere particolarmente attuale il rischio di dispersione delle garanzie del creditore mostrando il concreto tentativo del L. di sottrarre numerosi cespiti immobiliari al proprio patrimonio in pregiudizio dei propri creditori”.

L’esame del Tribunale si estende anche ad analizzare l’alienabilità di altri beni immobili (contrassegnati dai numeri 4 e 5) e perviene, quindi, alle proprie conclusioni in modo argomentato e logico che non può certo essere scalfito dalle mere smentite del ricorrente o da tentativi di prospettare a questa S.C. la medesima realtà fattuale sotto una diversa angolazione.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visto l’art. 615 c.p.p. e ss., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2013.

Redazione