Reato di dichiarazione fraudolenta mediante artifici nei confronti del titolare di un’agenzia immobiliare che sottofattura (Cass. pen. n. 2292/2013)

Redazione 16/01/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 07/12/2011 la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 03/12/2010 di condanna di S.A. per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, per avere, quale socio accomandatario della “******* di ************** & ******”, al fine di evadere le imposte sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, consistita nell’indicare ricavi delle vendite e delle prestazioni notevolmente più bassi utilizzando fatture fiscali per importi notevolmente inferiori al valore della prestazione e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento (mancata registrazione dei preliminari di vendita o registrazione dei preliminari in cui non venivano indicati i valori reali e richiesta ai clienti di corrispondere la differenza tra valore reale e importo indicato in contanti), indicato nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2004 elementi positivi di reddito inferiori per complessivi Euro 1.461.232,00.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato tramite il proprio difensore. Con un primo motivo sindacante la motivazione carente ed illogica, premette che con l’atto d’appello si era eccepito che gli atti notarili di compravendita degli immobili, riportanti un prezzo inferiore a quello effettivamente versato, erano privi di ogni rilevanza ai fini fiscali giacchè non utilizzati nè ai fini della dichiarazione dei redditi nè ai fini della redazione delle scritture contabili (l’atto notarile di importo inferiore, cioè, sarebbe una conseguenza della sottofatturazione e non viceversa), con conseguente mancanza, nella condotta esaminata, della connotazione della fraudolenza nei suoi elementi specifici. Su tale complessiva prospettazione, tuttavia, la sentenza impugnata non avrebbe dato alcuna risposta. Inoltre, se anche gli atti notarili non vi fossero stati, i verbalizzanti avrebbero dovuto ugualmente, come hanno fatto, sentire gli acquirenti in ordine al prezzo effettivamente corrisposto, senza che dunque il sistema ideato sia stato idoneo ad ostacolare gli accertamenti.

Con un secondo motivo, di lamentata violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, deduce la mancanza del quid pluris necessario per integrare il reato giacchè non sarebbe sufficiente la mera sottofatturazione e la registrazione di fatture inferiori all’effettivo per realizzare la fattispecie. In particolare: a) la mera indicazione di un prezzo in fattura inferiore al reale non costituisce reato; b) il contratto preliminare non è soggetto a registrazione d’obbligo, trattandosi di corrispettivi soggetti ad ***; c) il rogito notarile non fa parte delle scritture contabili obbligatorie e non viene inserito in contabilità. Nella specie i rogiti non servivano per accertare i corrispettivi reali posto che ciò che ha consentito di accertare l’evasione sono stati i compromessi con valore reale reperiti dalla Guardia di Finanza.

Motivi della decisione

3. Risulta dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e rimasta non contestata dal ricorrente, che, con riguardo alle compravendite di una serie di villette a schiera costruite dalla “******* s.a.s.”, e da questa poi alienate, appunto, a terzi, erano dapprima stati sottoscritti dei contratti preliminari di compravendita nel quali era indicato il prezzo che gli acquirenti avrebbero dovuto corrispondere; contestualmente alla stipulazione del compromesso, i promissari acquirenti avevano versato alla ******* s.a.s. delle somme in contanti a titolo di acconto; a fronte di tali pagamenti, non era stata emessa alcuna fattura (ma, al più, una sorta di quietanza consegnata a mani del compratore); nell’atto pubblico di compravendita era stato indicato un prezzo notevolmente inferiore a quello concordato tra le parti; il prezzo indicato nel rogito era stato corrisposto dagli acquirenti alla ******* s.a.s. con mezzi di pagamento certi (quali bonifici bancari o assegni circolari) e, a fronte di tali pagamenti, la società aveva rilasciato fattura; l’ulteriore differenza tra il prezzo reale e il valore dichiarato in atto era poi stata pagata per contanti alla ******* s.a.s., che, in relazione a tali introiti, non aveva emesso alcuna fattura. Le fatture emesse erano state regolarmente inserite nelle scritture contabili obbligatorie. Infine, nella dichiarazione dei redditi percepiti nell’anno 2004, la ******* s.a.s. aveva indicato tra gli elementi attivi solamente le somme risultanti dai rogiti e non anche le ulteriori somme percepite in contanti dagli acquirenti, in tal modo sottratte ad imposizione. Tale modus operandi aveva quindi condotto in definitiva a sottrarre ad imposizione per detto anno la somma complessiva di Euro 1.461.232,00.

4. Ciò posto, i motivi di ricorso, entrambi volti, sia pure sotto il diverso aspetto della giustificazione argomentativa della sentenza impugnata, il primo, e della violazione di legge il secondo, a contestare l’integrazione del reato contestato sul fondamentale presupposto della mancanza della connotazione fraudolenta necessaria per legge, sono inammissibili, risolvendosi nella riproposizione di censure già puntualmente e motivatamente disattese dalla Corte torinese. Infatti, affinchè possa configurarsi il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, di connotazione residuale rispetto alla fattispecie dell’art. 2, è necessario che ricorrano essenzialmente, a fronte del chiaro dettato normativo, i requisiti della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, dell’impiego di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e, infine, a completamento della condotta, della presentazione di una dichiarazione falsa. Ora, in riferimento alla ricorrenza, nella specie, di ciascuno di tali elementi, il Tribunale dapprima (con sentenza infatti espressamente richiamata da quella di secondo grado) e la Corte d’Appello successivamente hanno offerto esaustiva motivazione senza incorrere in violazioni di legge di sorta. Così deve dirsi, anzitutto, con riguardo al primo elemento, nel quale ciò che rileva è la divergenza, nella specie indiscutibilmente avutasi, tra la realtà e le risultanze contabili posto che è stato chiaramente posto in rilievo, sulla base degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza, che nelle scritture contabili obbligatorie vennero inserite fatture per importi inferiori a quelli effettivamente corrisposti. Nè, con sequenzialmente, potrebbe porsi legittimamente in discussione l’elemento della presentazione di una dichiarazione falsa, emergendo dalla sentenza impugnata che, appunto, per l’anno di imposta 2004, vennero dalla ************** indicate, tra gli elementi attivi, solamente le somme risultanti dai rogiti, e non anche, come avrebbe dovuto essere, le ulteriori somme percepite in contanti dagli acquirenti, in tal modo sottratte ad imposizione.

5. Neppure, infine, per venire a quello che pare il senso globale di una censura che appare sostanzialmente lamentare, in diritto, l’inidoneità di una mera condotta di “sottofatturazione” ad integrare il reato di specie, possono muoversi doglianze in ordine alla ricorrenza dell’ultimo elemento, ovvero quello della adozione da parte dell’imputato di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento.

Va anzitutto chiarito, con riguardo alla nozione, non esplicitata dalla norma, di “mezzo fraudolento”, che, se è vero che tale elemento appare indiscutibilmente dotato, nella struttura del reato, di una propria autonomia, è evidente che lo stesso non può certo identificarsi in mere condotte di mendaci indicazioni di componenti attivi, già considerate dalla norma all’interno della “falsa rappresentazione”. Allo stesso tempo, non parrebbe possibile qualificare come mezzo fraudolento nemmeno la condotta di sottofatturazione dei ricavi, ricorrente allorquando venga, come nella specie, emessa una fattura avente un corrispettivo inferiore a quello reale: non è inutile in proposito ricordare qui l’elaborazione giurisprudenziale che, già nella vigenza della L. n. 516 del 1982, art. 4, n. 7, ed anteriormente alla sua sostituzione con l’art. 4, lett. f), aveva condotto a ritenere come, successivamente alla declaratoria di illegittimità costituzionale parziale della Corte cost. n. 35 del 1991, la mera sottofatturazione di corrispettivi di cessioni di beni non potesse rivestire gli estremi del delitto di frode fiscale in questione per difetto di una condotta fraudolenta (Sez. 3, n. 9486 del 12/05/1999, *******, Rv. 214076; Sez. 3, n. 201 del 10/12/1991, ********, Rv. 188878; Sez. 3, n. 3273 del 25/02/1991, *****, Rv. 186573). Del resto, anche con riferimento all’attuale art. 3, questa stessa Corte ha precisato come la semplice violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione, pur se finalizzata ad evadere le imposte, non è sufficiente, di per sè, ad integrare il delitto in esame, dovendosi invece verificare, nel caso concreto, se essa, per le modalità di realizzazione, presenti un grado di insidiosità tale da ostacolare l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 13641 del 12/2/2002, ******, in motivazione). E’ allora necessaria, per la realizzazione del “mezzo fraudolento”, la sussistenza un quid pluris che, affiancandosi alla falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili e nella dichiarazione, consenta di attribuire all’elemento oggettivo una valenza di insidiosità, derivante dall’impiego di artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile ed a costituire ostacolo al suo accertamento. Ancor più chiaramente, si è detto che integra il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici qualsiasi comportamento del contribuente, maliziosamente teso all’evasione delle imposte ed accompagnato da una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie (Sez. 3, n. 1200 del 02/12/2011, ****** e altro, Rv. 251894). Ora, un tale quid pluris, la cui necessità è stata, conformemente a legge, ritenuta implicitamente anche dai giudici di merito, è stato correttamente individuato dalla sentenza impugnata; ivi si sottolinea infatti che, nella specie, era stato predisposto dall’imputato un articolato e complesso sistema di mistificazione del vero finalizzato ad impedire l’individuazione dei maggiori introiti ricavati dalle vendite, in esso in particolare, tra gli altri accorgimenti, essendo stato imposto agli acquirenti il pagamento in contanti di una parte del prezzo ed essendosi sistematicamente omessa la registrazione dei contratti preliminari riportanti il prezzo reale. Nè tali elementi sarebbero neutralizzabili per effetto della considerazione, contenuta in ricorso, di un’assenza, nella legge, di obblighi di registrazione dei preliminari o di pagamenti, all’epoca, con modalità tracciabili; l’affermazione, già resa da questa Corte, nella vigenza della normativa ex L. n. 516 del 1982, secondo cui i mezzi fraudolenti possono anche consistere in comportamenti di per se stessi leciti, che acquistano natura illecita solo per il contesto di mendacio contabile a cui sono collegati e per lo scopo fraudolento di impedire agli uffici fiscali la scoperta di detto mendacio (Sez. 3, n. 1725 del 27/09/1995, *******, Rv. 202947), va infatti ribadita anche con riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3.

6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e del pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Redazione