Reato di concussione per costrizione per un funzionario dell’Agenzia delle entrate (Cass. pen. n. 28431/2013)

Redazione 01/07/13
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Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza emessa il 04.01.2013 il GIP di Catania applicava a C.S. la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 317 cp., per avere, mediante abuso dei poteri di impiegato all’Agenzia delle entrate di (omissis), costretto S.M., gestore di due palestre in (omissis) a versargli 200 Euro, prospettandogli la possibilità di evitargli l’accertamento che sarebbe scaturito da un esposto anonimo relativo ad asserite inadempienze fiscali.

2.- Con la ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale di Catania, decidendo in sede di riesame avverso l’ordinanza del GIP, sostituiva la custodia carceraria con quella domiciliare.

3.- Propone ricorso per cassazione il prevenuto a mezzo del difensore, deducendo:

a. – l’incompetenza territoriale dell’autorità procedente, essendosi il reato consumato già con la promessa di pagamento, avvenuta nel circondario di (omissis);

b. – che il fatto ascritto all’indagato, essendosi concretizzato nella prospettazione del male giusto derivante dall’accertamento fiscale conseguente all’esposto anonimo, deve oggi essere inquadrato nella ipotesi di induzione di cui all’art. 319 quater cp., quale introdotto dalla legge 190 del 2012;

c. – l’insussistenza delle esigenze cautelari, stante la avvenuta sospensione dell’indagato dal servizio, l’unicità dell’episodio illecito e la prevedibilità della concessione della sospensione condizionale della pena in ordine alla ipotesi di cui all’art. 319 quater c.p..

Motivi della decisione

4. – L’eccezione di incompetenza è infondata. Premesso in fatto che nel caso in esame, mentre la promessa di pagamento è avvenuta nel circondario di (omissis), la consegna della somma è avvenuta nel circondario di (omissis), si osserva che il delitto di concussione rappresenta una fattispecie a duplice schema, nel senso che si perfeziona alternativamente con la promessa o con la dazione indebita per effetto dell’attività di costrizione o di induzione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, sicchè, se tali atti si susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell’ultimo, venendo così a perdere di autonomia l’atto anteriore della promessa e concretizzandosi l’attività illecita con l’effettiva dazione, secondo un fenomeno assimilabile al reato progressivo. (Sez. 6, n. 31689 del 05/06/2007, ******, Rv. 236828; conformi: N. 10851 del 1996 Rv. 206224, N. 47289 del 2005 Rv. 233992).

5. – Relativamente all’inquadramento giuridico del fatto, si osserva che, sugli estremi della concussione, secondo la definizione datane nel testo dell’art. 317 c.p., antecedente alla L. n. 190 del 2012, la giurisprudenza aveva stabilito i seguenti principi di diritto:

a. – elemento essenziale della fattispecie criminosa è l’abuso di potere, per effetto del quale la volontà del soggetto passivo si determina sotto l’influenza del c.d. metus publicae potestatis (Cass. 10.10.1979, ********), il quale deve consistere non nella generica posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, ma bensì nel concreto abuso della veste pubblica, idoneo a far sì che la indebita promessa o dazione da parte del privato sia collegata alla pressione ad esso abuso connessa (Cass. 20.11.2003 n. 6073, *******) e alla correlata posizione non paritaria con il pubblico ufficiale e, quindi, di soggezione nei suoi confronti in cui il privato si sia venuto a trovare (Cass. 18.04.1994, *****);

b. – le modalità del comportamento concussorio sfuggono alla possibilità di una rigorosa delimitazione in chiave descrittiva attraverso predeterminate regole comunicative (Cass. 17.01.1994, *******), potendo lo stesso estrinsecarsi attraverso qualsiasi atteggiamento, anche implicito (Cass. 22.10.1997, *********), che sia comunque in grado, tenuto conto anche delle particolari condizioni in cui si svolge, di turbare o diminuire la libertà psichica del soggetto passivo che ne sia destinatario (Cass. 13.11.1986, ********), indipendentemente dalla verifica della sua idoneità potenziale a produrre i medesimi effetti nei confronti di qualsiasi altro soggetto (Cass. 09.02.1996, ******);

c – la differenza fra le due forme di realizzazione del fenomeno concussorio è data dal mezzo usato per il conseguimento del risultato, nel senso che, nella “concussione costrittiva”, è l’esercizio di una minaccia o intimidazione, concretizzantesi in genere nella prospettazione di un male ingiusto, che va a incidere in misura grave sulla volontà del soggetto passivo, mettendolo di fronte a una drammatica alternativa e determinandolo, in tal modo, a effettuare la dazione o la promessa indebita, mentre, nella “induzione”, la risoluzione della vittima è l’effetto di forme più blande di pressione, caratterizzate in particolare da profili di persuasione, suggestione e fraudolenza, attraverso cui, e utilizzando sempre la propria posizione di preminenza, il pubblico agente riesce a “convincere” il destinatario e a ottenere così la soddisfazione delle proprie pretese, magari neppure apertamente esplicitate (Sez. 6^, 5 ottobre 1998, dep. 26 ottobre 1998, n. 11258; Sez. 6^, 8 novembre 2002, dep. 8 gennaio 2003 n. 52; Sez. Sez. 6^, 14 novembre 2002, dep. 27 marzo 2003, n. 14353; Sez. 6^, 19 giugno 2008, dep. 25 agosto 2008, n. 33843; Sez. 6^, 11 gennaio 2011, dep. 28 giugno 2011, n. 25694; Sez. 6^ 7 marzo 2012, dep. 24 settembre 2012, n. 36);

d. – l’elemento discriminante della concussione rispetto alla corruzione è costituito dalla presenza, nella prima, di una volontà prevaricatrice del pubblico ufficiale, condizionate la volontà del privato (Cass. 03.11.2003 n. 4898, PG c. Di *******), per effetto della quale quest’ultimo versa in stato di soggezione di fronte alla condotta del pubblico ufficiale, mentre nella corruzione i due soggetti vengono a trovarsi in posizione di sostanziale parità (Cass. 01.02.1993, ********), accordandosi, con manifestazioni di volontà convergenti, sul pactum sceleris (Cass. 13.01.2000, PG c. *********);

e. – la circostanza che l’atto, oggetto del mercimonio, del pubblico ufficiale sia illegittimo e contrario ai doveri di ufficio non comporta per sè la degradazione del titolo del reato da concussione in corruzione, neppure quando il soggetto passivo versi già in illecito e sia consapevole dell’illegittimità dell’atto, posto che ciò che occorre e basta ai fini della sussistenza della concussione è che rimanga inalterata la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale sull’intimorita volizione del privato (Cass. 01.02.1993, ********), indotta dall’abuso delle qualità o delle funzioni del primo (Cass. 09.03.1984, ******), tale da escludere che la volontà del secondo si sia liberamente determinata (Cass. 04.05.1983, *******).

6. – L’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012 n.190 ha scomposto il delitto di concussione in due autonome figure di reati, la “concussione per costrizione”, da un lato, rimasta sotto l’art. 317 c.p., e la “induzione indebita a dare o promettere”, dall’altro, trasfusa nel nuovo art. 319 quater c.p., per la quale ultima è stata prevista, per l’inducente, una pena edittale inferiore rispetto alla “concussione per costrizione” (comma 1) e, per la prima volta (con ovvia inestensibilità ai fatti pregressi), anche la punibilità del soggetto indotto (comma 2). Da tanto consegue la necessità di dare una corretta qualificazione giuridica dei fatti alla luce della nuova normativa.

Bisogna, quindi, procedere alla individuazione degli elementi costitutivi delle due fattispecie dopo l’illustrato “spacchettamento” delle due figure di reato.

In primis, va rilevato che i precetti che definiscono tali figure sono formulati con le identiche “parole” usate nella fattispecie originaria. Al di là della misura delle pene, uniche vistose differenze sono quella per cui il soggetto attivo della “concussione” costrittiva può essere ora solo il pubblico ufficiale, e la già ricordata scelta del legislatore di punire anche colui che ha “ceduto all’induzione”, collaborando con la propria condotta alla verificazione dell’evento del reato.

Mentre la restrizione soggettiva della nuova concussione per costrizione appare indifferente per la portata oggettiva della fattispecie (determinando solo l’ipotizzabile riconduzione dell’analoga attività posta in essere dall’incaricato di pubblico servizio alla fattispecie dell’estorsione aggravata), è in riferimento alla innovativa scelta di punire anche il soggetto passivo nella “induzione indebita a dare o promettere” che ci si può chiedere se l’ambito applicativo di tale reato ne sia stato in qualche modo influenzato.

Al riguardo sembra potersi senz’altro affermare che la configurazione della fattispecie, per quanto concerne la condotta del pubblico agente, non ha mutato la sua essenziale struttura plurisoggettiva, nel senso che, sia prima che dopo la riforma, il reato richiede comunque la “collaborazione” del soggetto indotto.

Anche nella concussione, quale (già) unificata nelle due forme alternative della costrizione e della induzione, del resto, la volontà dei due soggetti protagonisti dell’actio criminis è solo ab origine divergente, mentre diventa, all’esito della dialettica interna che caratterizza le opposte condotte, inevitabilmente convergente, pur nello squilibrio della diversa forza e delle diverse ragioni dell’incontro delle volontà.

La trasformazione, nella attualmente separata forma della induzione, del soggetto passivo, da vittima in soggetto passibile di sanzione per la cooperazione alla condotta del pubblico agente, non ha direttamente inciso sul versante di tale ultima condotta, ma ha solo inteso responsabilizzare, con una scelta di politica legislativa ispirata all’intento di favorire un freno e un controllo diffuso e dal basso dei soprusi dei rappresentanti della p.a., la posizione del privato “cooperante”. Tale scelta – che non può influire certo sul mantenimento della qualità di persona offesa già rivestita in precedenza dalla vittima (non potendosi ritenere trattamento “penalmente” più favorevole, come tale retroattivamente applicabile all’imputato, il fatto che nella nuova versione dell’art. 319 quater, il soggetto “indotto” sia a sua volta passibile di pena e non possa più, quindi, per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della nuova norma, rivestire la qualità di persona offesa) – giustifica anche la collocazione sistematica della separata figura della “induzione” a ridosso delle ipotesi corruttive.

Va da sè che la separazione e il diverso trattamento delle due condotte, prima unitariamente disciplinate, della costrizione e della induzione, richiede ora una maggiore attenzione nell’individuare in concreto la ricorrenza dell’una o dell’altra, laddove in passato la distinzione era praticamente superflua, tant’è che le contestazioni e le descrizioni scivolavano facilmente dall’una all’altra locuzione.

Per questa ragione, è evidente che, agli effetti dell’inquadramento delle fattispecie “pendenti”, non possono ritenersi in alcun modo vincolanti le definizioni e le descrizioni anteatte (in termini di costrizione o induzione), valendo solo la qualificazione che risulti pertinente e corretta in relazione alla concreta realtà dei fatti, quale emergente dalla ricostruzione effettuata in sede di merito.

7.- Venendo al caso di specie, rilevasi che i giudici di merito hanno ravvisato, nel rapporto fra lo S., gestore di palestra, e il C., impiegato dell’Agenzia delle entrate di (omissis), una situazione di evidente squilibrio prevaricatorio. Dalla ricostruzione dei fatti compiuta sulla base delle risultanze procedimentali è in particolare emerso che l’indagato, esibendo lo scritto anonimo che denunciava inadempienze fiscali, prospettò allo S. le gravi conseguenze cui sarebbe andato incontro con i controlli fiscali che sarebbero stati avviati e portati avanti per anni e che egli avrebbe potuto, grazie al suo potere, evitare, in cambio di denaro.

Non c’è dubbio che i fatti, così come accertati, caratterizzati dalla prospettazione allo S., da un lato, dei gravi rischi cui sarebbe andato incontro per i controlli fiscali che si sarebbero protratti per anni e, dall’altro e contestualmente, della possibilità per l’indagato, il cui concreto potere derivava dalla circostanza che i problemi sul tappeto attenevano alla sua sfera di competenza, di risolvere il tutto previa una gratificazione economica, appaiono chiaramente inquadrabili nella figura della concussione, quale unitariamente disciplinata nel previgente art. 317 c.p., e, dopo lo sdoppiamento di tale figura conseguente alla L. n. 190 del 2012, nella concussione di tipo “costrittivo”: e tanto in ragione del fatto che, col suo comportamento, particolarmente insidioso e penetrante per il riferimento a una sottoposizione pluriennale a controlli e nel contempo assai determinato nel pretendere un “compenso” quale condizione per un intervento risolutore, reso possibile dalla posizione rivestita in senso alla p.a., il C. suscitò nello S. il grave e concreto timore di una persecuzione fiscale che avrebbe potuto seriamente danneggiarlo in termini economici e psicologici, e che – ove non avesse trovato il coraggio e la fermezza di rivolgersi alle forse dell’ordine ù sarebbe stata evitabile solo piegandosi a corrispondere quanto gli veniva richiesto.

8. ù In ordine alle esigenze cautelari, il Tribunale ha reso una motivazione congrua e logica, evidenziando la spregiudicatezza della condotta dell’indagato, indicativa di una chiara propensione a delinquere, incompatibile con una prognosi positiva sulla concessione della sospensione condizionale della pena, già per sè improbabile alla luce delle caratteristiche del fatto e del suo inquadramento giuridico. Quanto alla asserita sospensione dal servizio, trattasi di rilievo in fatto non apprezzabile in questa sede e di cui non si conoscono comunque i presupposti, in riferimento in particolare alla indipendenza o meno dall’avvenuta applicazione della misura cautelare.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013.

Redazione