Reati tributari: l’accertamento con adesione limita il sequestro per equivalente (Cass. n. 45847/2012)

Redazione 23/11/12
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Svolgimento del processo

1. Il Tribunale distrettuale del riesame di Firenze, con ordinanza del 30.1.2012, decidendo sull’appello avverso ordinanza di rigetto di una istanza di dissequestro emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 15.11.2011, proposto, ai sensi dell’art. 322 ter c.p.p., da Z.M., indagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, – per aver indicato nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2007, al fine di evadere la relativa imposta, elementi attivi pari a soli Euro 783,00 e, pertanto, in misura inferiore di Euro 350.000,00 al reddito effettivamente conseguito a seguito di cessione della sua licenza di taxi – ha accolto l’impugnazione disponendo la restituzione all’indagato della somma di Euro 114.942,92.

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro per equivalente della complessiva somma di Euro 143.498,00, considerando profitto del reato l’illecito risparmio fiscale.

Ciò posto, osserva che i giudici del riesame erroneamente avevano considerato che l’accoglimento, da parte dell’Agenzia delle entrate, della proposta di accertamento con adesione formulata dall’indagato e basata su un diverso calcolo dell’ammontare dell’imposta evasa in base al regime della tassazione separata, pur non facendo venir meno la sussistenza del reato, assuma rilievo al fine di una riduzione della somma in sequestro, in considerazione del principio di corrispondenza tra l’entità del profitto ed il quantum del sequestro per equivalente.

Aggiunge che la decisione non può ritenersi giuridicamente corretta, in quanto assunta considerando che l’imputato aveva versato all’erario, in ragione della procedura suddetta, la somma di Euro 114.942,92, di cui disponeva la restituzione ed osserva che, nella fattispecie, il Tribunale era andato ben oltre il principio richiamato, avendo restituito all’indagato non solo il corrispettivo dell’imposta evasa, ma anche quello relativo alla sanzione tributaria, non considerando la natura sanzionatoria della confisca per equivalente. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 11.10.2012, l’indagato ha fatto pervenire memoria a sua firma a sostegno delle proprie ragioni e con la quale chiede il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente ricordare che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi pacifico che, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca “per equivalente”, possa essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, in ragione dell’integrale rinvio alle “disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.”, contenuto nella L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, (Sez. 3^ n. 17465, 10 maggio 2012; Sez. 3^ n.35807, 6 ottobre 2010).

Con specifico riferimento ai reati tributari, si è precisato che detto sequestro va riferito ali ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale riconducibile alla nozione di “profitto”, costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale di cui certamente beneficia il reo (così Sez. 3^ n. 1199, 16 gennaio 2012) La quantificazione di detto risparmio è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributano (Sez. 5^ n. 1843, 17 gennaio 2012).

Si è inoltre evidenziata la necessità, da parte del giudice del merito, di una valutazione sul valore dei beni sequestrati, al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario (Sez. 3^ n. l7465/2012, cit.; Sez. 3^ n. 41731 25 novembre 2010).

Il sequestro non può, conseguentemente, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato (Sez. 3^ n.1893, 18 gennaio 2012, Sez. 3^ n.10120, 11 marzo 2011, citata anche in ricorso; conf. Sez. 5^ n. 2101, 18 gennaio 2010, 5^ anche Sez. 3^ n. 30140, 27 luglio 2012).

4. Date tali premesse, ritiene il Collegio che il Tribunale abbia fatto buon uso dei principi dianzi richiamati, ancorchè con motivazione estremamente sintetica riconoscendo la necessità di ridimensionare il quantum del sequestro tenendo conto delle somme conferite all’Erario, a nulla rilevando le osservazioni contenute in ricorso, circa la natura del vincolo cautelare quale strumento per assicurare al fisco la riscossione delle somme evase, poichè le ragioni del sequestro finalizzato alla “confisca per equivalente” è, come si è detto, quello di privare l’autore del reato dei benefici economici derivanti dalla sua illecita attività anche nel caso in cui vi sia l’impossibilità di aggredire l’oggetto principale (lo ricorda, ad es., SS.UU. n. 38691, 6 ottobre 2009).

Nella fattispecie, il versamento delle somme indicate all’Erario ha dunque fatto venir meno la ragione d’essere della misura cautelare applicata.

Con specifico riferimento ai reati tributari, si è precisato che detto sequestro va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di “profitto”, costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (così Sez. 3^ n. 1199, 16 gennaio 2012). La quantificazione di detto risparmio è comprensiva del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (Sez. 5^ n. 1843, 17 gennaio 2012).

Si è inoltre evidenziata la necessità, da parte del giudice del merito, di una valutazione sul valore dei beni sequestrati, al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario (Sez. 3^ n. 17465/2012, cit.; Sez. 3^ n. 41731, 25 novembre 2010).

Il sequestro non può, conseguentemente, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato (Sez. 3^ n. 1893, 18 gennaio 2012, Sez. 3^ n. 10120, 11 marzo 2011, citata anche in ricorso; conf. Sez. 5^ n. 2101, 18 gennaio 2010, 5^ anche Sez. 3^ n. 30140, 27 luglio 2012).

4. Date tali premesse, ritiene il Collegio che il Tribunale abbia fatto buon uso dei principi dianzi richiamati, ancorchè con motivazione estremamente sintetica, riconoscendo la necessità di ridimensionare il quantum del sequestro tenendo conto delle somme conferite all’Erario, a nulla rilevando le osservazioni, contenute in ricorso, circa la natura del vincolo cautelare quale strumento per assicurare al fisco la riscossione delle somme evase, poichè le ragioni del sequestro finalizzato alla “confisca per equivalente” è, come si è detto, quello di privare l’autore del reato dei benefici economici derivanti dalla sua illecita attività anche nel caso in cui vi sia l’impossibilità di aggredire l’oggetto principale (lo ricorda, ad es., SS.UU. n.38691, 6 ottobre 2009).

Nella fattispecie, il versamento delle somme indicate all’Erario ha dunque fatto venir meno la ragione d’essere della misura cautelare applicata.

5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

Redazione