Rapporti fra prescrizione dell’azione di ripetizione ed esercizio dell’azione di nullità del contratto di apertura di credito (Trib. Brindisi, sez. distacc. di Ostuni, 18/2/2012) (inviata da A. I. Natali)

Redazione 18/02/12
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1. L’accertata nullità del negozio giuridico, in esecuzione del quale sia stato eseguito un pagamento, dà luogo ad un’azione di ripetizione di indebito oggettivo il cui termine di prescrizione inizia a decorrere, non già dalla data del passaggio in giudicato della decisione, che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso.

 

2. Avendo l’azione di nullità, in quanto azione dichiarativa o di mero accertamento, effetti retroattivi, al fine dell’esercizio dell’azione di ripetizione non è necessario che l’accertamento della nullità del titolo avvenga con efficacia di giudicato, essendo all’uopo, sufficiente un accertamento incidentale della stessa.

 

3. Una richiesta di ordinanza ex art. 186 quater per somme, non dovute, perché legate a titoli giustificativi affetti da nullità, é accoglibile anche in virtù di un accertamento solo incidenter tantum delle ragioni di nullità dedotte in giudizio, deponendo in tal senso anche la piena attuazione del principio di indefettibilità ed immediatezza della tutela delle posizioni giuridiche, di cui pure è individuabile un fondamento costituzionale nell’art. 24 Cost.

 

 

FATTO E DIRITTO

Deduce l’attore che, con sentenza n. 188/2003 emessa in data 22.7.2003, il Tribunale di Brindisi sezione distaccata di Ostuni, dichiarava la nullità delle singole clausole del contratto di conto corrente n. 6101/4 stipulato dal ********* con la Banca di C. C. (già C.R.A.).
In particolare, veniva dichiarata la nullità della clausola determinativa degli interessi convenzionali, che faceva riferimento al cosiddetto “uso piazza”, nonchè la clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi oltre che quella dell’addebito di spese e commissioni.
In conseguenza delle predette nullità, il conto corrente intestato al sig. P. A., presentava alla data di chiusura del conto un saldo creditore in favore del correntista di €. 29.968,38, per cui veniva revocato il decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti del P..
La predetta sentenza, nulla disponeva in merito alla restituzione delle somme a credito in favore del P..
Avverso la predetta decisione proponevano appello sia la B.A. spa, sia la Banca di C.C. oltre che Banca Sella,
quest’ultima acquirente della filiale della Banca di C.C. ove si era radicato il rapporto di conto corrente, mentre la prima, quale cessionaria del credito; tutti quanti gli appellanti chiedevano la riforma della sentenza impugnata.
La Corte di Appello di Lecce con sentenza resa in data 16.2.2009, rigettava l’appello e confermava in toto la sentenza impugnata.
La B.A., non interponeva ricorso per Cassazione, per cui la stessa doveva ritenersi passata in cosa giudicata.
Esponeva l’attore che, in virtù della predette circostanze, doveva ritenersi creditore nei confronti della banca, di tutte quelle somme versate indebitamente alla Banca nel corso del rapporto di conto corrente contraddistinto dal n. 61/09, a titolo di interessi non dovuti convenzionali e capitalizzazione trimestrale, spese tenuta conto e commissioni.
L’attore deduceva, altresì, di avere diritto al riconoscimento del danno da svalutazione monetaria sulle somme a liquidarsi, atteso che, all’epoca della chiusura del conto era un imprenditore commerciale, per cui l’impiego delle somme non dovute avrebbe comportato un loro reinvestimento in attività imprenditoriale.
La convenuta si opponeva all’accoglimento della domanda, eccependo, in via preliminare, l’intervenuta prescrizione.

In primis, deve essere accolta proprio tal ultima eccezione di prescrizione, almeno per quanto concerne l’azione di ripetizione di quanto sarebbe stato indebitamente pagato.
Assume l’attore di aver versato, in favore della convenuta (in realtà degli istituti di credito a cui la B.A. è succeduta per acquisto di ramo di azienda e/o credito) somme in eccedenza, rispetto alle somme dovute, e tanto in virtù della dedotta nullità di clausole negoziali relative alle modalità di determinazione dei tassi di interessi, nonché alla loro capitalizzazione trimestrale ecc. ecc.
Orbene, come noto, l’azione di ripetizione di indebito si prescrive in 10 anni dalla data di esecuzione dell’indebito versamento, sempre che lo stesso possa qualificarsi in termini di pagamento, ovvero di atto estintivo, in tutto o in parte, di una pretesa debitoria preesistente.

1. La decorrenza della prescrizione in relazione all’azione di ripetizione: Le Sezioni Unite e la legge interpretazione n. 10 del 2001

Da tale data, infatti, è possibile far decorrere il dies a quo dal quale esercitare il diritto, in omaggio all’art. 2935 c.c..
Come hanno avuto modo di precisare le Sezioni Unite del 2.12.2010, in armonia con i principi generali in materia di adempimento e di ripetizione d’indebito, e con quelli relativi alla causa delle operazioni bancarie regolate in conto corrente, si rende necessario individuare quando il versamento del correntista costituisca un pagamento e lo stesso possa essere definito indebito.
Per quanto concerne, specialmente, l’apertura di credito, quale tipologia contrattuale di peculiare diffusione, la stessa, come desumibile dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte, la disponibilità, eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli.
E’ ovvio che, se, in pendenza dell’apertura di credito, il correntista non abbia operato alcun versamento, non è configurabile alcun pagamento da parte sua, se non quando, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato.
In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto quanto giuridicamente dovuto a causa dell’addebito di somme non dovute (come interessi anatocistici o superiori al tasso legale), l’eventuale azione di ripetizione d’indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione.
Qualora, nel corso dello svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, questi ultimi potranno essere considerati come pagamenti, idonei a fondare il diritto alla
ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effettodi uno spostamento patrimoniale in favore della banca.
Ciò accadrà solo qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo, cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, oppure siano stati superati i limiti dell’accreditamento.
Per contro, quando il passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, i versamenti da questi posti in essere fungeranno unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere (cfr. Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413,Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; o Cass. 23 novembre 2005, n. 24588).
In tale ipotesi, il versamento non ha funzione solutoria del mutuo, ma bensì di mera riespansione della misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista.
Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d’indebitamento del correntista; e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.
In tal caso, la fattispecie dell’adempimento, sub specie di pagamento, sarà configurabile soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi somme e competenze non dovute.
Ne consegue che la decorrenza della prescrizione deve essere individuata: a) nel versamento (nell’ipotesi di conto in passivo, senza affidamento, così come di superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento, effettuato in pendenza di rapporto, abbia funzione meramente ripristinatoria dell’affidamento).
Peraltro, per quanto sia censurabile, sotto il profilo della compatibilità con il sistema costituzionale, non può sottacersi l’intervento del Decreto Milleproroghe (e della correlata legge di conversione), con cui il legislatore ha deciso di far decorrere il dies a quo ai fini dell’esercizio dei diritti connessi all’annotazione del versamento, da una circostanza di fatto (l’annotazione in conto) che esula dalla sfera conoscitiva del cliente, il quale è reso edotto delle movimentazioni del proprio conto, solo con la ricezione dell’estratto conto (primo atto con cui si attua il valore della conoscibilità delle competenze annotate in proprio favore dalla Banca).
In relazione alla predetta norma è pendente giudizio di costituzionalità, a seguito di rimessione, anche di questo Tribunale.
Ciò premesso, nel caso di specie, qualunque sia la tesi ricostruttiva cui si aderisca nel caso di specie – e anche a voler fare applicazione della regola iuris di cui all’art. 2 della l. n 10 del 2011 – il primo atto interruttivo in atti deve considerarsi lo stesso atto di citazione notificato in data 3/7/2009, quando erano decorsi più di 10 anni dalla chiusura del conto.
Invero, tale valenza non può essere riconosciuta alla proposta opposizione al decreto ingiuntivo, richiesto e ottenuto dalla convenuta, per gli importi controversi inter partes, in quanto tesa alla mera revoca del decreto ingiuntivo, in virtù dell’accertamento negativo del credito fatto valere in sede monitoria; accertamento che ha comportato una pronuncia incidenter tentum sulla nullità di alcune clausole (quella relativa alla determinazione degli interessi passivi e quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi stessi).
2. La prescrizione dell’actio indebiti e i rapporti con l’azione di nullità.

Peraltro, questo Giudice condivide il principio, invero prevalente – anche se non univoco – secondo cui l’accertata nullità del negozio giuridico, in esecuzione del quale sia stato eseguito un pagamento, dà luogo ad un’azione di ripetizione di indebito oggettivo, volta ad ottenere la condanna alla restituzione della prestazione eseguita in adempimento del negozio nullo, il cui termine di prescrizione inizia a decorrere non già dalla data del passaggio in giudicato della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso.

Al riguardo, sovvengono proprio le considerazioni sviluppate dalle Sezioni Unite del 2011, e muovere dalla considerazione che il pagamento, per dar vita ad un’eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo
indebitamente effettuato, deve essersi tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (cosiddetto solvens), con correlativo spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (cosiddetto accipiens). Inoltre, il suddetto pagamento può essere definito indebito – con conseguente diritto alla ripetizione, a norma dell’art. 2033 cod. civ. – quando difetti di una idonea causa giustificativa.

Ne deriva che non è ipotizzabile il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto quell’atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito; e ciò, indipendentemente dalla circostanza che la nullità del titolo, in virtù del quale è stata effettuata, sia accertata e dichiarata in un momento successivo.
Siffatta conclusione non muta, infatti, nel caso in cui il pagamento debba dirsi indebito in conseguenza dell’accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione del quale esso è stato eseguito.
Infatti, la domanda volta a far dichiarare la nullità di un atto, che è imprescrittibile, ex art. 1422 cod. civ. è diversa, nei suoi elementi costitutivi, rispetto a quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione della prestazione eseguita in adempimento del negozio nullo.
In tal ultima ipotesi, non si rende necessario che l’accertamento della nullità del titolo avvenga con efficacia di giudicato, essendo all’uopo, sufficiente un accertamento incidentale della stessa.
Per le medesime ragioni, deve ritenersi che una richiesta di ordinanza ex art. 186 quater per somme, non dovute, perché legate a titoli giustificativi affetti da nullità, sia accoglibile anche in virtù di un accertamento solo incidenter tantum delle ragioni di nullità dedotte in giudizio. D’altronde, appare insuperabile il rilievo secondo cui l’azione di nullità, in quanto azione dichiarativa o di mero accertamento, che dir si voglia, ha effetti retroattivi, ripristinando ex tunc la situazione giudica preesistente e rendendo perciò stesso indebito, sin dal momento della sua esecuzione, l’effettuato pagamento.
In favore della soluzione prescelta propende anche la piena attuazione del principio di indefettibilità ed immediatezza della tutela delle posizioni giuridiche, di cui pure è individuabile un fondamento costituzionale nell’art. 24 Cost.
D’altronde, la diversità delle azioni sottende la diversità che, sotto il profilo sostanziale, intercorre fra una fattispecie di nullità e una fattispecie di indebito oggettivo per nullità del titolo giustificativo dell’attribuzione patrimoniale.
In ultimo, siffatta opzione ermeneutica appare l’unica in grado di garantire l’unitarietà e l’intrinseca coerenza del sistema, in ragione della sua omogeneità con il principio, assolutamente pacifico, per cui la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di quanto pagato, in applicazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale, decorre, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., dal giorno del pagamento stesso, non già dalla data della pronuncia d’incostituzionalità o della pubblicazione della medesima, configurandosi la vigenza della norma viziata da incostituzionalità non ancora dichiarata, come una mera difficoltà di fatto, che non impedisce la possibilità di far valere la pretesa restitutoria (confr. Cass. civ. 15 marzo 2001 n. 3796; Cass. civ. 1 giugno 2000 n. 7289; Cass. civ. 19 maggio 2000 n. 6486).
Al riguardo, la Suprema Corte ha anche di recente ribadito che il termine di prescrizione inizia a decorrere non già dalla data del passaggio in giudicato della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso (confr., Cass, civ. sez. un. 2 dicembre 2010, n. 24418; Cass. civ. 13 aprile 2005, n. 7651; Cass. civ. 9 luglio 1987, n. 5978).
Per quanto concerne la distinta domanda di nullità, come noto, imprescrittibile, la causa deve essere rimessa sul ruolo ai fini del prosequio dell’attività istruttoria, anche perché l’accertamento contenuto nella sentenza che ha definito l’opposizione a decreto ingiuntivo, si è soffermata solo su alcuni profili di illiceità.

 

P.Q.M.

Il Tribunale, parzialmente pronunciando sulla domanda proposta da P. A., nei confronti di B.S. spa, così provvede:
1) dichiara prescritto il diritto alla ripetizione di quanto, eventualmente, indebitamente pagato dall’attore;
2) provvede come da separata ordinanza ai fini del prosequio del giudizio;
3) spese alla definizione dell’intero giudizio.

 

IL GIUDICE
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