Progetto irrealizzabile: nessun compenso all’architetto (Cass. n. 27042/2013)

Redazione 03/12/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 24.1.199 snc proponeva opposizione al d.i. per lire 43.156.516 oltre accessori concesso dal Tribunaie di Belluno all’arch. **** per prestazioni professionalìtchiedendo la risoluzione del contratto d’opera per inadempienza del ricorrente, la revoca del d.i. ed i danni, opposizione rigettata con sentenza 8.4.1997 a seguito di istruzione documentale e ctu, riformata dalla corte di appello di Venezia, con sentenza 9.5.2007 che dichiarava risolto per colpa dell’appellato il contratto e revocava il d.i.
La Corte territoriale statuiva che la ctu disposta in appello aveva fornito ampio conforto alle doglianze dell’appellante, sottolineando essere inconsueta la circostanza che un professionista affidi all’esame degli uffici comunali un progetto privo di piano attuativo preliminare, nè era possibile quantificare eventuali compensi rapportati alfutilizzabilìtà del progetto.
Ricorre P. con due motivi, illustrati da memoria, resiste controparte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1176, 1218, 1453, 2225, 2226, 2233, 2236 cc così articolato:
A) individuazione del problema giuridico, obbligazione di mezzi, con preferenza per la sentenza di primo grado, posto che la B. era consapevole della situazione.
B) violazione dell’art. 1453 cc sempre indicando preferenza per la sentenza di primo grado.
C) violazione degli artt. 2226 e 2233, mancato pagamento del compenso, piena opposizione alla perizia del ctu C. erroneamente recepita in toto con riferimenti all’assenza di piano urbanistico, al mancato rispetto di standard e parcheggi.
D) violazione degli artt. 2225 e 2233 con i seguenti quesiti a) se il professionista ha diritto al compenso per un progetto che il committente, pur sapendo che l’opera non avrebbe potuto essere realizzata, avendola ugualmente commissionata; sperando nel mutamento degli strumenti urbanistici; b) se, ammesso e non concesso che il ricorrente fosse responsabile degli atti indicati in sentenza, aveva diritto ad essere pagato per l’opera eseguita.
Col secondo motivo si lamenta insufficiente motivazione per non essersi tenuto conto che il committente aveva dato l’incarico pur consapevole di una normativa che non permetteva l’editicazione di un centro direzionale, come si ricavava dalla circostanza, trascurata in sentenza, circa l’invito a predisporre parcella per il lavoro eseguito, anche se con poca fortuna, senza momento di sintesi.
Le censure sono infondate.
Trattandosi di sentenza depositata il 9.5.2007, ciascun motivo doveva concludersi con un quesito di diritto o momento di sintesi tendente ad una risposta, positiva o negativa, in concreto funzionale all’accoglimento della censura proposta (S.U. 20603/2007, 16528/2008, Cass. 823/2009, 446/2009, 3211/2009, 4309/2008, 24255/2011, 4566/2009), mentre, nella specie, i due quesiti posti a conclusione della articolata prima censura sono del tutto generici ed astratti, tentano una diversa lettura rispetto alle argomentazioni della sentenza e costituiscono la sintesi di una argomentazione che si limita a dare preferenza alla sentenza di primo grado, trascurando che obbligazione di mezzi, e non di risultato, è certamente quella dell’avvocato che ha diritto al compenso, a prescindere dall’esito della causa, e salve sue responsabilità, mentre Paccettazione di un incarico di progettazione, di per sé irrealizzabile, oltre a configurare, in astratto, profili di natura deontologica, non consente l’applicazione di tariffe professionali pur sempre riferibili ad attività concretamente utilizzabili.
Diverso è il caso in cui il professionista renda edotto il cliente in via preventiva della irrealizzabilità dell’opera, ottenga autorizzazione alla progettazione e pattuisca un compenso, a prescindere dal risultato mentre nella specie il progetto era “inservibile” ed il ricorrente consapevole della impossibilità di approvazione, anche se fosse passata la variante urbanistica.
Il secondo motivo manca del momento di sintesi ed omette di considerare che il vizio di motivazione devesi considerare come la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 n. 5 CPC, debba essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 n. 4 CPC in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, intemi all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in tufinammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.
Né può imputarsi al detto giudice d’aver omessa l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sutiñcienti a giustificarlo; in altri termini, perché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e 116 CPC, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.
Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in euro 4200 di cui 4000 per compensi, oltre accessori.
Roma 9 ottobre 2013.

Redazione