Perdita di quote del fondo perequativo (Cons. Stato n. 1586/2013)

Redazione 19/03/13
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FATTO e DIRITTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. I, n. 14590 del 15.9.2005 (che non risulta notificata) è stato accolto il ricorso proposto dal Comune di Boscotrecase avverso il decreto n. 15281/740704/02 del 18.3.1995, concernente la perdita di quote del fondo perequativo relative agli anni 1989 – 1993, per violazione, da parte del citato Comune, delle norme in materia di copertura minima dei costi di alcuni servizi.

Nella citata sentenza si rilevava come al medesimo Comune fosse stato addebitato di avere presentato le certificazioni dimostrative della percentuale di copertura dei costi di gestione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani – per gli anni compresi fra il 1989 e il 1993 – facendo rientrare fra le entrate importi relativi ad accertamenti, effettuati in via successiva rispetto all’anno di riferimento, in quanto i ruoli di riscossione della tassa non sarebbero stati approvati entro la fine del relativo esercizio finanziario. Al riguardo l’Amministrazione comunale aveva dedotto che, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di copertura, si sarebbero dovute considerare le risultanze contabili di competenza e non di cassa, con irrilevanza del momento dell’effettiva riscossione. L’adeguamento delle tariffe e la compilazione dei ruoli entro ciascun anno si sarebbero dovuti considerare come adempimenti sufficienti per evitare la decadenza, prevista dall’art. 290 del Testo Unico n. 1175/1931. In via subordinata, le norme richiamate a sostegno della sanzione (art. 9 del d.l. n. 66/1989, art. 14 d.l. n. 415/1989, art. 3 del d.l. n. 8/1993) sarebbero state applicabili soltanto per gli anni 1989 e 1990, mentre l’art. 33 del d.lgs. n. 504/1992 avrebbe comunque escluso l’irrogazione della sanzione stessa, avendo il Comune ottemperato ai propri obblighi sostanziali, con successiva regolare riscossione dei tributi.

Nella medesima sentenza si osservava come l’accesso al fondo perequativo fosse configurato come ‘premio’ (e il diniego di accesso come sanzione), al fine di indurre gli enti locali a comportamenti virtuosi, ai fini di risanamento della finanza locale.

Con l’iscrizione a ruolo della tassa sarebbero stati formalizzati la ragione e l’ammontare del credito, nonché l’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, senza che potesse ricavarsi dal testo e dallo spirito della normativa sopra citata un termine perentorio, diverso da quello sancito per la presentazione della certificazione.

Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 9499/06, notificato il 2.11.2006), nel quale il Ministero dell’Interno sottolineava che – proprio in considerazione della natura premiale o sanzionatoria del fondo perequativo – entro il 31 marzo si sarebbe dovuta non solo accertrea, ma anche eseguire l’imposizione tributaria nei confronti degli utenti

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che le argomentazioni difensive della parte appellante non siano condivisibili.

Risulta infatti che – a partire dall’art. 9 del d.l. n. 66/1989 (convertito in legge n. 144/1989), con disposizioni reiterate fino al 1993 (dd.ll. nn. 415/1989, 6/1991, 8/1993) – sia stata prevista la corresponsione di un finanziamento pubblico perequativo, a copertura dei costi per servizi erogati dai Comuni, purchè questi ultimi assicurassero la copertura di almeno il 50% del costo dei servizi stessi, con certificazione al riguardo trasmessa entro il termine perentorio del 31 marzo degli anni di riferimento. L’art. 14 del d.l. 28.12.1989, n. 415 (convertito in legge n. 38/1990 ed abrogato solo nel 1997), prevedeva inoltre che – ai fini della copertura dei costi di gestione – si facesse riferimento “ai dati della competenza, comprovati da documentazione ufficiale”. Nella situazione in esame, non è contestato che il Comune abbia approvato tariffe idonee ad assicurare la prevista quota di copertura dei costi, né che abbia predisposto i ruoli per la relativa riscossione, con approvazione degli stessi da parte della Giunta, tuttavia, quando l’esercizio di riferimento era ormai decorso.

Ad avviso del Collegio appaiono corrette, al riguardo, le controdeduzioni comunali, secondo cui le sanzioni non sarebbero state applicabili quando l’ente locale avesse dimostrato, in sede di autocertificazione, “di avere attivato tutte le procedure, per assicurare la copertura minima prevista dalla legge”. Il Ministero appellante, in realtà, non contesta che dovessero essere considerate le risultanze contabili di competenza e non di cassa, ma ritiene che il calcolo della percentuale di copertura dei costi di gestione, attraverso l’imposizione tributaria agli utenti, dovesse essere eseguito rapportando le entrate accertate in ciascun anno di competenza al totale degli impegni effettuati, sempre in ciascun anno di competenza, con conclusione della fase di accertamento tramite approvazione dei ruoli di riscossione. Il Comune appellato sarebbe risultato inadempiente, in quanto le certificazioni dimostrative della percentuale di copertura dei costi, per gli anni compresi fra il 1989 e il 1993, avrebbero contenuto anche accertamenti successivi, appunto per tardiva approvazione dei ruoli di riscossione, rispetto alla fine del rispettivo esercizio finanziario.

Il Collegio concorda, viceversa, sulla lettura del dettato normativo operato dal giudice di primo grado, secondo cui l’erogazione del contributo pubblico sarebbe stata connessa al dato sostanziale dell’adeguamento delle tariffe ed alla predisposizione della relativa riscossione nella misura minima prevista, tramite individuazione della ragione e dell’ammontare del credito, nonché del soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, risultando così assicurato quell’equilibrio economico, nella gestione dei servizi pubblici locali, cui doveva ritenersi connessa, sostanzialmente, l’erogazione di cui trattasi.

Il termine perentorio, a sua volta, sarebbe stato rispettato in ragione della presentazione di apposita certificazione firmata, non rinvenendosi nella normativa di riferimento disposizioni diverse, idonee a giustificare la perdita, in via sanzionatoria, dei contributi erogati – anche in presenza del raggiungimento degli equilibri finanziari prescritti – per mero effetto della non tempestiva approvazione del ruolo da parte dell’organo esecutivo. Secondo l’Amministrazione appellante il dato formale appena indicato – corrispondente alla prima fase di acquisizione delle entrate – sarebbe stato giustificato dall’esigenza di “disincentivare ritardi e lassismi”.

Tale ratio, tuttavia, non poteva non essere bilanciata con le esigenze di sostegno della finanza pubblica locale, recepite dalla normativa vigente: le medesime esigenze collegavano l’erogazione dei contributi di cui trattasi a dati sostanziali più che formali, al fine di consentire l’efficace svolgimento di servizi che – come quello di raccolta dei rifiuti solidi urbani – debbono ritenersi di rilevante interesse per la collettività.

In base alle argomentazioni svolte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali del secondo grado, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della complessità della normativa di riferimento.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe n. 9499 del 2006.

Compensa le spese giudiziali del secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2013

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