Patrocinio a spese dello Stato: esclusi dal beneficio i fratelli e le sorelle delle vittime del terrorismo e delle stragi della stessa matrice (Cass. pen. n. 10673/2013)

Redazione 07/03/13
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Svolgimento del processo

1. – Con atto in data 9.7.2012, B.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia del 21.6.2012, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dallo stesso B. avverso il provvedimento della Corte di assise di Brescia del 21.3.2011 con cui la corte bresciana, formalmente “non ammettendo” il B. al patrocinio a spese dello Stato, ne revocava la sostanziale ammissione già in precedenza disposta nel corso del procedimento penale instaurato in relazione al reato di strage commesso in (omissis), in cui aveva perso la vita B.L., sorella dell’odierno ricorrente in tale procedimento costituitosi parte civile.

2.1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente censura il provvedimento del tribunale di Brescia per violazione di legge in relazione alla L. n. 206 del 2004, artt. 1 e 10, ai fini dell’applicazione della normativa di cui al D.P.R. n. 115 del 2002.

In particolare, il ricorrente si duole che il giudice di merito abbia ristretto l’ambito dei soggetti legittimati conseguimento dei benefici di cui alla L. n. 206 del 2004, con un’interpretazione erroneamente correlata alla clausola di esclusione prevista dalla L. n. 388 del 2000, art. 32, comma 4, in forza della quale i benefici in parola sono concessi anche ai fratelli e sorelle non conviventi, anche non a carico, in assenza di beneficiari primari.

Tale interpretazione deve ritenersi del tutto errata, poichè le norme della L. n. 206 del 2004, estendono il beneficio dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a tutte le vittime degli atti di terrorismo e delle stragi, nonchè ai loro familiari superstiti, senza alcuna esclusione o restrizione di carattere soggettivo, che, ove dal legislatore effettivamente volute, sarebbero state espressamente indicate, come accaduto in altre disposizioni della medesima legge.

A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente richiama il dettato detta direttiva del presidente della presidenza del Consiglio dei Ministri del 27.7.2007, interpretativa della L. n. 206 del 2004, la quale, al fine di individuare i familiari superstiti delle vittime, sottolinea come a tale scopo soccorra il rinvio operato dalla L. n. 206 alla precedente e tuttora vigente legislazione in materia, con particolare riferimento ai soggetti indicati dalla L. n. 466 del 1980, art. 6, (coniuge superstite e figli se conviventi e a carico, figli, in mancanza del coniuge superstite), come integrato dalla L. n. 302 del 1990, art. 4, comma 2, (soggetti non parenti nè affini nè legati da rapporti di coniugio, che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento e dai conviventi more uxorio) e da ultimo dalla L. n. 388 del 2000, art. 82, comma 4, (orfani, fratelli o sorelle o infine ascendenti in linea retta anche se non conviventi e non a carico).

Tale direttiva, con riferimento all’individuazione dei destinatali dei benefici, afferma espressamente come “ancorchè tale norma abbia ad oggetto l’ordine in base al quale si provvede alla erogazione della speciale elargizione prevista della richiamata L. n. 466 del 1980, la stessa appare idonea a identificare i soggetti ritenuti meritevoli dell’intervento di sostegno e assistenza da parte dello Stato. Ciò peraltro solo laddove le norme della L. n. 206 del 2004, non dispongano diversamente, individuando puntualmente gli aventi diritto, in concorso con la vittima, ovvero nella qualità di superstiti”.

In forza di tale argomentazione, secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato ha errato nell’escludere il B. dai beneficiari di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 10, dovendo considerarsi beneficiari i soggetti indicati dalla L. n. 466 del 1980, art. 6, integrato dalla L. n. 302 del 1990, art. 4, comma 2, e, da ultimo, dalla L. n. 388 del 2000, art. 82, comma 4, ma senza un ordine di esclusione, anche in considerazione dello spirito complessivo della disciplina dettata in materia e del quadro sistematico in cui la stessa è destinata a inserirsi.

2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge con riguardo al D.P.R. n. 115 del 2000, art. 112, in relazione alla L. n. 206 del 2004, art. 10.

Sul punto, il ricorrente si duole che il giudice del merito abbia disposto l’applicazione analogica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 112, in relazione al potere di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, senza tener conto della specificità e della natura dei presupposti della revoca prevista dalla normativa richiamata e dalla correlativa specificità e natura del beneficio di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 10.

In particolare, l’unico caso di revoca d’ufficio consentito è quello previsto dall’art. 112 cit., lett. d), che prevede che il giudice possa provvedere con decreto “se risulta provata la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito di cui agli artt. 76 e 92”: al riguardo, il riferimento alle condizioni di reddito e alla necessità della sopravvenienza di elementi probatori nuovi, rispetto a quelli già delibati, valgono a escludere ogni possibile compatibilità con le previsioni di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 10, che prescinde da ogni riferimento alle condizioni di reddito, con la conseguente evidenza del carattere arbitrario della correlazione interpretativa erroneamente disposta dal giudice a quo, anche in considerazione del carattere immodificabile della condizione di vittima o di familiare superstite, quale presupposto legittimante l’ammissione al beneficio, rispetto al dato della condizione di reddito, di per sè ampiamente suscettibile di possibili variazioni nel tempo.

Nel caso di specie, una volta riconosciuta la sussistenza delle condizioni soggettive di vittima o di familiare superstite, non sarebbe più possibile procedere a una rivalutazione degli elementi già sottoposti a esame e valutati positivamente dal primo giudice, con la conseguente inammissibilità di una revoca d’ufficio dell’ammissione al beneficio già disposta.

Sotto altro profilo, il provvedimento del giudice a quo deve ritenersi illegittimo, non essendo consentita la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato laddove il provvedimento di ammissione, pur successivamente giudicato illegittimo, abbia ormai esaurito i propri effetti, come accaduto nel caso di specie, in cui il provvedimento di “non ammissione” è intervenuto addirittura dopo il deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado, quando il difensore del ricorrente aveva già espletato l’incarico conferitogli e maturato il diritto alla liquidazione del relativo compenso (cfr. Cass. Civ., n. 14594/2008).

Sulla base di tali motivazioni, il ricorrente ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato, con l’eventuale adozione delle statuizioni consequenziali.

Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte di cassazione, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

3.1. – Il primo motivo di ricorso è infondato.

Secondo il dettato della L. n. 206 del 2004, art. 10, (“Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”), “nei procedimenti penali, civili, amministrativi e contabili, il patrocinio delle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice 0 dei superstiti è a totale carico dello Stato”.

A sensi dell’art. 1, comma 1, della medesima legge, tale disposizione si applica “a tutte le vittime degli atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, compiuti sul territorio nazionale o extranazionale, se coinvolgenti cittadini italiani, nonchè ai loro familiari superstiti”.

Sul piano sistematico, il comma secondo del richiamato art. 1, dispone che “per quanto non espressamente previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni contenute nelle L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, nonchè la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 82, ad eccezione del comma 6”.

In particolare, i provvedimenti legislativi richiamati sono, da un lato (la L. n. 302 del 2000), il complesso delle “norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata” e, dall’altro (la L. n. 407 del 1998), il complesso delle “nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata” e infine (la L. n. 388 del 2000, art. 82) le “disposizioni in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata”.

Attraverso tali ultimi richiami, il legislatore del 2004 ha, pertanto, inteso inserire, le nuove norme dettate, nell’ambito di un preciso quadro sistematico di carattere settoriale, specificamente individuato sul piatto dell’omogeneità dei contenuti e delle finalità politico-amministrative perseguite, in tal senso provvedendo a fornire all’interprete una chiave di lettura delle nuove disposizioni, da intendere e recepire, sul piano interpretativo, in armonia con le scelte legislative in tale ambito settoriale già positivamente assunte.

E’ conseguentemente sulla base di tali premesse che occorre impostare il problema interpretativo posto a oggetto dell’odierno ricorso, avendo l’istante specificamente censurato la decisione impugnata, nella parte in cui, attribuendo un particolare significato all’espressione “familiari superstiti” (al fine di circoscrivere l’ambito dei soggetti legittimati al conseguimento delle provvidenze regolate dalla legge e, segnatamente, del beneficio del patrocinio giudiziario a spese dello stato), ha inteso allinearsi al tenore dei criteri selettivi già in precedenza individuati sul piano della normazione primaria dello specifico settore.

Più in particolare, l’odierno ricorrente, muovendo dall’elementare presupposto letterale secondo cui la L. n. 206 del 2004, art. 1, estende il predetto beneficio (oltre che a tutte le vittime degli atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, compiuti sul territorio nazionale o extranazionale, se coinvolgenti cittadini italiani) anche ai loro “familiari superstiti”, rivendica l’estensione interpretativa di tale ultima espressione (“familiari superstiti”) a tutte le categorie di familiari indiscriminatamente considerate dalla legislazione di settore, senza alcuna forma di graduazione, nè di esclusione eventualmente legata alla maggiore prossimità parentale o alla circostanza della vivenza o meno del richiedente a carico della vittima, come erroneamente disposto, secondo la prospettazione critica del ricorrente, nel provvedimento del tribunale di Broscia qui gravato.

3.1.1. – Le premesse di ordine sistematico dinanzi richiamate inducono questa corte a ritenere non (Ndr: testo originale non comprensibile) l’opzione interpretativa avanzata dall’odierno ricorrente, apparendo, viceversa, la lettura della norma de qua, da parte del tribunale di Brescia, pienamente rispettosa dei canoni interpretativi suggeriti dalla medesima legge n. 206/2004 e, segnatamente, del canone sistematico dalla stessa positivamente richiamato a chiusura del nuovo quadro normativo delineato.

In particolare, deve ritenersi che la prospettiva ermeneutica coerentemente articolata nel provvedimento impugnato abbia correttamente operato, sul piano interpretativo, una ricostruzione del significato delle norme nella specie applicabili (e, in particolare, dell’espressione che allude al novero dei “familiari superstiti”) pienamente coerente con il quadro sistematico all’interno del quale dette norme sono chiamate ad operare, avendo equilibrato il riconoscimento delle categorie dei soggetti legittimati al conseguimento del beneficio del patrocinio giudiziario a spese dello stato, con la specifica funzione politico – amministrativa ricavabile dai principi della legislazione in materia, che appare univocamente e coerentemente destinata a garantire, da un lato, la solidale partecipazione della collettività agli oneri processuali prevedibilmente destinati ad essere sostenuti dalle vittime del terrorismo e delle stragi di comune matrice e dei familiari superstiti, e, dall’altro, a contenere detta partecipazione entro limiti ragionevolmente giustificabili o equamente sostenibili per l’erario; limiti comprensibilmente rinvenibili attraverso l’operatività di meccanismi selettivi d’indole soggettiva, suscettibili di combinare, sulla base di criteri di normalità e di ragionevolezza, l’intuitiva meritevolezza della più stretta prossimità affettiva del familiare superstite, con il dato discriminante dell’esclusione dei familiari di prossimità parentale di grado successivo, oltre al dato economico dell’eventuale vivenza a carico (cfr., al riguardo, la L. n. 388 del 2000, art. 82, comma 4).

Nella specie, il tribunale di Brescia ha adeguatamente interpretato la L. n. 206 del 2004, artt. 1 e 10, in correlazione alle norme dettate in materia dalla previgente legislazione di settore, da essa mutuando i criteri d’identificazione e la nozione “legislativa” dei “familiari superstiti”, ivi compresa la clausola di esclusione riferita ai familiari che non possono considerarsi (o concretamente non sono) gli “unici” superstiti; e tanto, sulla base di una nozione di “sopravvivenza” concepita, non già nei termini di un’indiscriminata larghezza (come arbitrariamente preteso dall’odierno ricorrente) bensì funzionalmente orientata secondo criteri normativi d’indole politico-amministrativa già previamente determinati e sperimentati.

L’argomentazione seguita, in chiave interpretativa, dal giudice territoriale deve ritenersi pertanto dotata di indubitabile linearità e di coerente fedeltà al dettato legislativo, sotto altro profilo non valendo, al fine di infirmarne la congruenza, il richiamo al decreto del presidente del Consiglio dei Ministri indicato in ricorso, che costituisce fonte secondaria (come tale insuscettibile di assumere alcuna forma di prevalenza in assenza, come nella specie, di rinvii ricettizi a norme di contenuto contrastante), rispetto al vigore e alla forza delle norme di legge prese in considerazione e sul punto adeguatamente interpretate dal giudice bresciano.

3.2. – Deve ritenersi del tutto privo di fondamento il secondo motivo di ricorso avanzato dall’istante, avendo il tribunale di Brescia correttamente applicato in via analogica il D.P.R. n. 115 del 2000, art. 112, riconoscendo l’originaria assenza dei requisiti legittimanti in capo al ricorrente, e non già l’eventuale venir meno degli stessi in via di sopravvenienza, a nulla valendo la specifica natura del requisito originariamente assente (il reddito, piuttosto che la qualificazione familiare), stante la persistente identità della (comune) ratio giustificativa della revoca disposta.

Sotto altro profilo, deve riconoscersi priva di fondamento l’affermazione secondo cui la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato avesse, al momento dell’adozione del provvedimento qui impugnato, ormai esaurito i propri effetti e fosse divenuto, pertanto, non più revocabile, atteso che, al momento della proposizione dell’istanza di liquidazione, era ancora pendente il procedimento penale nel cui quadro l’istanza di liquidazione era stata originariamente avanzata.

4. – Il complesso delle argomentazioni sin qui indicate vale ad attestare l’integrale infondatezza del ricorso in questa sede proposto dall’istante, con il conseguente relativo rigetto e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione