Passa con il rosso urtando un’auto e cagionando la morte di uno degli occupanti: è omicidio volontario (Cass. pen. n. 42973/2012)

Redazione 07/11/12
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 6 febbraio 2009 la Corte d’assise di Roma dichiarava I.V. colpevole dei delitti di omicidio volontario aggravato in danno di T.R. (capo a), lesioni volontarie aggravate nei confronti di T.V., Te.Ni., G.G. (capo b), ricettazione di un furgone (capo c) e, ritenuta la continuazione fra i reati, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche dichiarate prevalenti sulle contestate aggravanti, lo condannava alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. Il 18 marzo 2010 la Corte d’Assise d’appello di Roma, pur ribadendo la responsabilità dell’I. per i fatti contestatigli, riformava la decisione di primo grado provvedendo a derubricare i reati di omicidio volontario e lesioni volontarie aggravate in quelli, rispettivamente, in omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento e lesioni colpose aggravate. In sostanza i giudici d’appello ritenevano che l’imputato, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, avesse agito con colpa cosciente e non con il dolo eventuale di cagionare gli eventi addebitatigli.
2. Dalla ricostruzione dei fatti operata in maniera sostanzialmente conforme dai giudici di merito emergeva quanto segue. Il (omissis), intorno alle ore 0,30, una volante della Polizia in servizio nel centro di Roma avvistava il furgone Fiat Ducato – provento di furto commesso il (omissis), in danno di G.C. -, condotto dall’imputato, che si trovava solo a bordo del mezzo. Gli agenti, colpiti dal comportamento di I. che, alla loro vista, aveva iniziato ad accelerare, decidevano di procedere ad un controllo. Pertanto, mentre il furgone stava iniziando a percorrere viale (omissis) in direzione di via (omissis), azionavano il lampeggiatore e la sirena e, con la paletta, facevano segno all’imputato di fermarsi. Il conducente del mezzo, risultato poi essere sprovvisto di patente di guida e di permesso di soggiorno, non ottemperava all’ordine e si dava alla fuga a forte velocità, oltrepassando, senza decelerare, una serie di semafori che segnavano luce rossa nella sua direzione di marcia ed invadendo in più occasioni in la corsia di marcia opposta al fine di superare alcuni veicoli ponendo in essere manovre spericolate per evitare quelli che sopraggiungevano in senso opposto. Attese le condizioni di traffico ancora intenso nella notte estiva, la Polizia, per non mettere a repentaglio l’incolumità dei passanti, desisteva dal tallonare il fuggitivo, limitandosi a seguirlo a distanza senza perderlo di vista e a segnalare la sua presenza via radio alle altre pattuglie. Giunto ad una velocità superiore ai centro chilometri orari (come accertato dal consulente del pubblico ministero) all’altezza dell’incrocio tra viale (omissis) e via (omissis), I. lo attraversava senza rallentare, nonostante che il semaforo segnasse rosso nel suo senso di marcia. Contestualmente attraversava regolarmente l’incrocio, proveniente da (omissis) e diretta verso (omissis), l’autovettura “Citroen” condotta da Te.Ni. al cui fianco sedeva la fidanzata, T.V., mentre il sedile posteriore era occupato da T.R., fratello di quest’ultima.
Il furgone, che non lasciava sull’asfalto tracce di frenata, si scontrava con grande violenza con la “Citroen” all’altezza della fiancata posteriore destra in corrispondenza del posto occupato da T.R. e, quindi, colpiva altre due auto transitanti nello stesso incrocio, tra cui quella condotta da G.G. Dopo il violento impatto il furgone terminava la sua corsa rovesciandosi su di un fianco; ciononostante l’I., rimasto illeso, cercava di uscirne sfondando a calci un vetro, ma veniva prontamente bloccato dagli agenti nel frattempo giunti in loco. T.R. decedeva poco dopo in ospedale a causa delle lesioni subite. ******, T.V. e G.G. riportavano anch’essi gravi ferite.
3. A seguito di ricorso del procuratore ******** presso la Corte d’appello di Roma il 1 febbraio 2011 la prima sezione di questa Corte annullava la sentenza della Corte d’Assise d’appello ritenendo errata la riqualificazione dei fatti operata con la stessa e viziata la motivazione svolta a sostegno di tale decisione, rinviando alla stessa Corte per nuovo esame. Nell’occasione i giudici di legittimità, accogliendo altresì uno dei motivi di ricorso dell’imputato, annullavano invece senza rinvio la medesima sentenza in riferimento al riconoscimento dell’aggravante di clandestinità di cui all’art. 61 n. 11 bis c.p., in ragione dell’intervenuta declaratoria di incostituzionalità della medesima disposizione.
4. Con sentenza dell’8 luglio 2011 la Corte d’Assise d’appello di Roma in qualità di giudice del rinvio ed a seguito di parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, condannava nuovamente l’I. per i reati di omicidio volontario e lesioni aggravate volontarie (oltre che per quello di ricettazione del furgone), ripristinando l’originaria qualificazione giuridica attribuita in primo grado ai fatti e ritenendo accertato che egli avesse agito con dolo eventuale.
5. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo dei difensori di fiducia articolando due motivi.
5.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 627 c.p.p. lamentando che la sentenza impugnata non si sarebbe uniformata ai principi di diritto fissati da questa Corte in occasione dell’annullamento con rinvio della precedente pronunzia e in particolare avrebbe affermato la sussistenza del dolo eventuale ancor prima di esaminare le circostanze da cui avrebbe dovuto dedurre la configurazione dell’elemento psicologico nel caso di specie, contravvenendo per l’appunto al principio affermato dalla pronunzia di legittimità nel rilevare analogo vizio (culminato nell’esito ovviamente opposto) nella motivazione della precedente sentenza della Corte territoriale.
5.2 Con il secondo motivo vengono invece denunciati vizi motivazionali della sentenza impugnata e l’errata applicazione della legge penale sostanziale in merito alla ritenuta sussistenza del dolo eventuale, evidenziandosi in proposito diversi profili che rivelerebbero la lacunosità ovvero l’illogicità e contradditorietà dell’apparato argomentativo svolto dalla la Corte territoriale. In tal senso la stessa, nel giungere alle rassegnate conclusioni, avrebbe omesso di prendere in considerazione il fatto che la volante della polizia inseguitrice non aveva disattivato i lampeggianti e la sirena bitonale, circostanza che, rendendo – contrariamente a quanto si legge nel provvedimento impugnato – tutt’altro che altamente probabile l’eventualità di impegno degli incroci da parte di altri veicoli, doveva invece ritenersi idonea a determinare nell’imputato la ragionevole aspettativa di vedersi spianata la strada nella sua corsa in ragione del dovere degli altri utenti della strada di cedere la precedenza al mezzo che procedeva in emergenza e, pertanto, la convinzione di poter escludere il concreto rischio di incorrere in un incidente.
I giudici d’appello avrebbero poi illogicamente ammesso la consapevole accettazione da parte dell’imputato del rischio di provocare con la propria condotta di guida un incidente, pur risultando evidente che in tal modo egli non avrebbe raggiunto lo scopo che – nella stessa prospettiva accolta dalla sentenza – lo aveva spinto a tenere tale condotta e cioè sfuggire all’arresto; in tal senso i medesimi giudici avrebbero dovuto invece – come evidenziato nei motivi d’appello – giungere alla ben più logica conclusione che egli aveva tenuto la suddetta condotta confidando sulla propria abilità di guida e dunque nella convinzione di poter evitare qualsiasi incidente, pur eventualmente rappresentato come possibile. E nel medesimo senso la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe altresì manifestamente illogica laddove per un verso fonda la configurabilità del dolo eventuale anche sul carattere spericolato delle manovre poste in essere dall’I. e per l’altro omette di considerare come le stesse rappresentino l’obiettiva prova della sua capacità di guida e dunque, nuovamente, il sintomo della sua convinzione di poter evitare qualsiasi incidente. In una ulteriore manifesta illogicità sarebbe inoltre incorsa la Corte territoriale nel ritenere irrilevante che l’I. accettando il rischio di un incidente avrebbe messo repentaglio la sua stessa vita sulla base della considerazione che per alcuni individui la stessa non assumerebbe lo stesso valore della conservazione della libertà personale, trascurando il fatto che l’imputato aveva una moglie che era in attesa di un figlio. Né meno censurabile risulterebbe la sentenza allorquando sostiene la tesi del dolo eventuale rilevando che l’imputato avrebbe confidato sulle dimensioni del veicolo che conduceva, atteso che egli non poteva logicamente escludere la possibilità di incrociare un mezzo ancora più pesante.
La motivazione della sentenza violerebbe infine i commi primo e terzo dell’art. 43 c.p. nel punto in cui, affermando che all’incrocio teatro dell’incidente il rischio del verificarsi del medesimo doveva ritenersi “permanente”, finisce per adottare a parametro di valutazione la categoria, per l’appunto, del “rischio permanente”, la quale, evocando la certezza dell’evento risulta invero estranea tanto alla figura del dolo eventuale che a quella della colpa cosciente.
Conclusivamente il ricorrente, prospettando la sussistenza di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità sulle questioni oggetto dell’impugnata sentenza, insta per la remissione del procedimento alle Sezioni Unite.
6. In data 18 settembre 2012 il difensore della parte civile ha infine depositato ampia memoria con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o in alternativa il suo rigetto.

 

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e per certi versi inammissibile e deve pertanto essere rigettato.
1.1 Preliminarmente deve peraltro evidenziarsi, al fine di corrispondere alla sollecitazione del ricorrente per la rimessione del procedimento alle Sezioni Unite, come nella giurisprudenza di questa Corte non sia insorto alcun conflitto in merito alla soluzione della questione giuridica che è stata posta al centro della presente vicenda processuale e cioè quella relativa, secondo le parole dello stesso ricorrente, della ipotizzabilità del dolo eventuale nei delitti di omicidio e lesioni connessi alla circolazione stradale. Infatti se è vero che si registrano, in riferimento al tema menzionato, decisioni di segno diverso (e non solo nell’esclusivo senso dell’alternativa tra qualificazione dell’elemento soggettivo come dolo eventuale o colpa con previsione, bensì anche della riconoscibilità in alcuni casi del dolo diretto in ragione della rappresentazione dell’elevata probabilità del verificarsi dell’evento lesivo), non è meno vero che ciò è dovuto non ad un contrasto interpretativo del contesto normativo di riferimento, bensì alla differenza delle singole fattispecie portate all’attenzione del giudice di legittimità, le cui peculiarità hanno imposto soluzioni inevitabilmente di segno diverso.
1.2 In realtà l’unico profilo di omogeneità che tali casi offrivano era per l’appunto quello dell’astratta sussistenza delle condizioni di configurabilità del dolo eventuale, questione però affrontata e risolta di volta in volta non coniugando – con diversi esiti – i principi generalmente affermati sul punto con la presunta ed astratta attitudine differenziante dello scenario costituito dalla circolazione stradale, bensì e per l’appunto in riferimento alla concreta caratterizzazione dei singoli fatti giudicati. In breve, mai questa Corte ha affermato il principio per cui sarebbe o non sarebbe configurabile il dolo eventuale in reati commessi in tale scenario; ha invece valutato se nello specifico caso il delitto consumato in tale contesto fosse o meno qualificabile, sotto il profilo dell’imputazione soggettiva, in tali termini. Ma il principio di diritto unanimemente applicato è sempre stato identico ed è quello oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità e di recente ribadito proprio dal Supremo Collegio per cui può dirsi che ci si trovi in presenza di un dolo eventuale quando chi agisce si rappresenta come seriamente possibile (ma non come certa) l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi, decidendo di agire “costi quel che costi”, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto (Sez. Un. n. 12433/10 del 26 novembre 2009, ******, in motivazione). Esattamente il principio cui, in occasione dell’annullamento della precedente pronunzia, questa Corte aveva vincolato i giudici d’appello e al quale nella sentenza impugnata gli stessi si sono effettivamente attenuti.
2. Venendo allo specifico dei motivi di ricorso, il primo deve ritenersi infondato, atteso che la sentenza impugnata non ha in alcun modo violato il vincolo di rinvio come invece sostenuto dal ricorrente. Infatti, la Corte territoriale non ha invertito il processo inferenziale di accertamento del dolo eventuale, ma si è limitata, per mera comodità espositiva, a preannunciarne l’esito, salvo successivamente dare compiutamente conto delle scansioni logiche che l’hanno portata alla rassegnata conclusione e dell’evidenza oggettiva in grado di sostenerla.
3. Infondato è anche il secondo motivo nella parte in cui censura in via generale il governo da parte della Corte territoriale dei principi in materia di dolo eventuale, atteso che, come già accennato, questa si è invece scrupolosamente attenuta a quanto indicato nella sentenza di annullamento ed ha correttamente seguito il percorso tracciato dal giudice di legittimità giungendo all’unica conclusione possibile sulla base dell’evidenza disponibile. E ugualmente infondata è poi l’eccepita violazione dell’art. 43 c.p. asseritamente determinata dall’evocazione in sentenza della categoria del rischio “permanente”, atteso che all’evidenza l’espressione utilizzata non significa quanto preteso dal ricorrente – e cioè che il rischio sarebbe stato talmente elevato da rendere pressoché certa la verificazione dell’evento – ma più semplicemente che all’incrocio teatro della fatale collisione il rischio di incidenti era costante e dunque sussisteva anche nelle ore serali in cui l’imputato ha agito.
3.1 Quanto invece alle specifiche obiezioni sui presunti “scarrocciamenti” logici o sulle errate interpretazioni del compendio probatorio in cui sarebbe caduta la Corte territoriale, il ricorso deve essere ritenuto inammissibile perché sostanzialmente deduce questioni di merito, sollecitando una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente ai dati probatori richiamati ed immune da vizi logici rilevabili in questa sede.
3.2 In particolare strumentali e manifestamente infondate appaiono in tal senso le presunte manifeste illogicità della sentenza denunziate dal ricorrente. Alcun pregio ha infatti l’obiezione per cui l’aver trascurato l’accertato impiego della sirena da parte della volante inseguitrice comprometterebbe la tenuta logica dell’impianto giustificativo del provvedimento, poiché il risultato probatorio indiretto che si pretende consegua necessariamente a tale accertamento (e cioè l’affidamento dell’imputato sul comportamento degli altri utenti della strada) è frutto di un evidente paralogismo se non addirittura di una mera congettura. Tralasciando il fatto che la sentenza comunque sottolinea come gli agenti si siano mantenuti ad una certa distanza dal furgone senza tallonarlo o incalzarlo e che dunque l’attivazione dei segnali sonori di emergenza non era certo operazione in grado di “paralizzare” il traffico al sopraggiungere di quest’ultimo, la circostanza eccepita non era certo in grado di ingenerare in una persona di comune intelletto la convinzione di poter escludere il rischio di collisione con altri veicoli nell’attraversamento di un incrocio alla velocità tenuta dall’I. e dunque correttamente la sentenza non ne ha tenuto conto.
3.3 Il ricorrente trascura poi un elemento che invece per la Corte territoriale ha avuto un ruolo decisivo nella ricostruzione dell’elemento psicologico e cioè che, anche a prescindere da quale sia stato il suo effettivo stato d’animo nel tratto precedente di strada percorso, l’impatto con la vettura delle vittime è avvenuto all’altezza dello sportello posteriore di quest’ultima e senza che l’imputato – il quale a quel punto non poteva non essersi reso conto dell’ostacolo – abbia posto, nemmeno per mero istinto, alcuna manovra di emergenza. L’I. ha dunque sostanzialmente “speronato” l’altro veicolo dimostrando così di accettare il rischio che tale dissennata manovra potesse determinare conseguenze anche letali e ciò, come ben evidenziato dai giudici d’appello, per non rallentare la sua fuga e nella speranza di non riportarne conseguenze, confidando nella superiore massa del veicolo da lui condotto. E questa è la conclusione cui la Corte territoriale è pervenuta tracciando un ragionamento che non solo non è manifestamente illogico alla luce dell’evidenza disponibile, ma che addirittura è l’unico effettivamente formulabile.
Ed in tal senso sono dunque prive di fondamento anche l’obiezione del ricorrente per cui così agendo l’imputato avrebbe messo a repentaglio la sua stessa vita, atteso che i fatti obiettivamente accertati dimostrano che per l’appunto questa è stata la scelta operata dallo stesso, sebbene confidando su circostanze che si sono puntualmente avverate, atteso che egli – a differenza delle sue controparti – è uscito pressoché illeso dall’incidente. Non è dunque manifestamente illogico ritenere – come ha fatto la sentenza impugnata – che l’I. abbia deciso di rischiare la propria incolumità pur di sfuggire alla cattura.
3.4 Meramente congetturale e del tutto inidonea a svellere l’intrinseca logicità del percorso giustificativo seguito dalla sentenza è poi l’ulteriore rilievo sollevato con il ricorso ed ispirato alla supposta abilità di guida dell’imputato. Infatti ciò che è stato accertato nel processo è che questi sapeva condurre un veicolo a motore, avendo conseguito la patente di guida nel suo paese di origine (rimanendo in tal senso certamente irrilevante che la stessa non avesse validità in Italia), ma non certo che lo stesso fosse un guidatore dotato di capacità superiori alla media, circostanza che non è per nulla inevitabile ritrarre – come pretenderebbe invece il ricorrente – dal fatto che abbia posto in essere manovre spericolate. Peraltro l’assunto è ancora una volta smentito proprio da quanto obiettivamente accertato, atteso che un guidatore particolarmente abile avrebbe saputo evitare l’ostacolo costituito dalla vettura delle vittime, senza per questo rinunciare alla fuga, invece di investirlo.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese processuali, anche alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili nel grado, che devono essere liquidate in complessivi 6.600,00 Euro, oltre ad accessori secondo legge.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili nel grado, spese che liquida in complessivi 6,600,00 Euro, oltre ad accessori secondo legge.

Redazione