Ordinanza che vieta la consumazione di alimenti da asporto nel centro storico (TAR Lombardia, Brescia, n. 1102/2013)

Redazione 09/12/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1316 del 2006, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
***********, rappresentato e difeso dall’avv. *************, con domicilio eletto presso ************* in Brescia, via Solferino, 10;

contro

Comune di Sirmione, rappresentato e difeso dagli avv. *****************, **************, *****************, con domicilio eletto presso ***************** in Brescia, via Diaz, 9;

per

(A – ricorso principale)
l’annullamento, previa sospensione,
dell’ordinanza 28 luglio 2006 n°46 e prot. n°11956, conosciuta in data imprecisata, con la quale il Responsabile dell’area amministrativo finanziaria e il Responsabile dell’area vigilanza del Comune di Sirmione hanno disciplinato le modalità di confezionamento per la vendita degli alimenti da asporto e la loro consumazione nelle aree pubbliche del centro storico;
di ogni altro atto presupposto, consequenziale o connesso, anche non richiamato;
( B – ricorso per motivi aggiunti)
l’annullamento
della deliberazione 31 giugno 2006 n°19, pubblicata all’albo pretorio dal giorno 11 maggio al giorno 25 maggio 2006, con la quale il Consiglio comunale di Sirmione ha approvato modifiche al regolamento di polizia urbana, quanto all’art. 19, nella parte in cui esso prevede il potere di dettare, con apposita ordinanza, prescrizioni per le modalità di confezionamento per la vendita degli alimenti suddetti e per il loro consumo in area pubblica;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Sirmione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il dott. ************************* e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Fortune S.r.l., odierna ricorrente, la quale esercita in Sirmione attività di vendita per asporto di alimenti nei propri punti vendita di via Vittorio Emanuele, civici 7 e 26, ognuno assistito da autorizzazione già rilasciata (doc. ti ricorrente 1-5, copie dette; si tratta comunque di fatti non contestati), insorge con il ricorso principale avverso l’ordinanza meglio indicata in epigrafe, la quale, a far data dal 1 gennaio 2007, nelle aree stradali soggette al pubblico passaggio e nelle piazze comprese fra il largo ****** e la piazza Piatti, ovvero in sintesi nel centro storico, “vieta la consumazione di alimenti, cibi precotti o pasti preparati e frutta, eccetto gelati e granite”; fa poi obbligo agli esercizi i quali vendono i predetti alimenti come non destinati al “consumo immediato nei locali e negli spazi all’aperto di pertinenza” di consegnarli al cliente “in buste di carta pesante a sacchetto… chiuse mediante sistema meccanico o altro, in modo da non consentirne un’apertura accidentale” e recanti “in lingua italiana, inglese, tedesca e francese il divieto di consumarne il contenuto nelle aree pubbliche del centro storico” (doc. 14 ricorrente, copia ordinanza, ove alle pp. 2 e 3 la citazione).
A sostegno, la ******* articola sei censure, riconducibili secondo logica ai seguenti tre motivi:
– – con il primo di essi, corrispondente alla prima censura a p. 5 dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 l. 7 agosto 1990 n°241, per avere il Comune omesso di inviare l’avviso di inizio del procedimento, che sarebbe dovuto perché l’atto impugnato sarebbe non generale, ma indirizzato a soggetti determinati e determinabili;
– con il secondo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 6 dell’atto, deduce violazione dell’art. 20 della l.r. Lombardia 2003 n°30, vigente all’epoca dei fatti ed ora riprodotto dall’art. 78 della l.r. Lombardia 2 febbraio 2010 n°6, nel senso che il provvedimento impugnato mirerebbe a modificare le licenze già rilasciate per gli esercizi come i propri, e quindi andrebbe adottato previo parere, nella specie assente, della Commissione consultiva prevista dalla norma;
– con il terzo motivo, corrispondente alle residue censure, deduce propriamente eccesso di potere per sviamento e violazione del principio di proporzionalità, anche in relazione all’art. 9 comma 14 della l.r. Lombardia 2003 n°30, vigente all’epoca dei fatti ed ora riprodotto dall’art. 69 comma 14 della l.r. Lombardia 2 febbraio 2010 n°6, per cui “Gli esercizi di somministrazione aperti al pubblico autorizzati… hanno facoltà di vendere per asporto i prodotti per i quali sono stati autorizzati alla somministrazione”. Premette in proposito che il medesimo Comune, con precedente atto, aveva approvato, in dichiarata attuazione della l. 30/2003, un nuovo regolamento per le attività di somministrazione alimenti e bevande, che vietava l’insediamento in centro storico di nuove attività di vendita per asporto e imponeva in sostanza la chiusura delle esistenti, e che tale atto è stato annullato da questo TAR su proprio ricorso, con sentenza sez. II 20 ottobre 2013 n°888. A suo dire, l’ordinanza impugnata tenderebbe, in via surrettizia, a ottenere lo stesso risultato, imponendo una serie di misure sproporzionate al fine, caratterizzate da disparità di trattamento rispetto alle rivendite di gelati e granite e non rispettose della facoltà, concessa dalla legge, di vendere i prodotti in questione anche per asporto.
Resiste il Comune, con atto 30 ottobre e memoria 4 novembre 2006, in cui chiede che il ricorso sia respinto; deduce a sostegno della legittimità dell’ordinanza il regolamento di polizia urbana, modificato nell’art. 19 con la delibera di cui meglio in epigrafe (doc. 12 Comune, copia di essa) e le esigenze di decoro urbano proprie di un centro storico vincolato come quello di Sirmione, che non sarebbero invece pregiudicate dal consumo di gelati e granite da passeggio (p. 14 memoria 4 novembre 2006).
Con ordinanza 19 dicembre 2006 n°1789, la Sezione accoglieva la domanda cautelare.
Con successivo atto depositato il 31 ottobre 2013, la ricorrente proponeva poi motivi aggiunti avverso la citata delibera di modifica del regolamento, con unico motivo di violazione dei richiamati principi di proporzionalità e adeguatezza; nello stesso atto, deduceva poi comunque la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti in parola, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1 del d.l. 24 gennaio 2012 n°1.
Con atto 2 novembre 2013, il Comune richiamava le proprie precedenti difese.
La Sezione all’udienza del giorno 3 dicembre 2013 tratteneva infine il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso principale è fondato e va accolto, nei termini di che appresso.
2. Di tale ricorso, è infondato il primo motivo. L’atto generale infatti, per ragioni logiche prima che giuridiche non perde il suo carattere, per cui esso si rivolge a destinatari non determinati e non determinabili a priori, per il fatto che alcuni di essi, o anche tutti costoro, siano in concreto individuabili; esso infatti non per questo cessa di applicarsi comunque a tutti i soggetti che si trovino in una data situazione: il principio è stato affermato anche ai massimi livelli da Tribunale UE 10 aprile 2008 T-233/04 Commissione c. Regno di Olanda.
3. Nel caso concreto, era ed è sicuramente possibile individuare, in un centro urbano di modeste dimensioni come Sirmione, tutti i rivenditori in concreto toccati dall’atto impugnato; ciò non toglie però che esso sia atto generale, perché formulato in modo da disciplinare tutti coloro i quali in quella zona intendessero vendere alimenti per asporto; l’atto in questione quindi per essere validamente emanato non necessitava del preavviso di cui all’art. 7 l. 241/1990, come sancisce l’art. 13 comma 1 della stessa legge.
4. Parimenti infondato il secondo motivo, che muove da un presupposto errato: l’ordinanza impugnata, a prescindere dai suoi possibili effetti concreti, non è atto che incide sul regime della licenza di cui è titolare il ricorrente, ma solo sulle condizioni igieniche richieste per esercitare la relativa attività; non necessita dunque delle relative formalità procedimentali.
5. E’invece fondato il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza nell’esercizio del potere amministrativo. Come è noto, tale principio discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza Corte UE 22 febbraio 2002 C 390/99 **************, che l’intervento pubblico debba essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo. Con formulazioni sostanzialmente identiche, la giurisprudenza nazionale, per tutte C.d.S. sez. V 14 aprile 2006 n°2087, ma conforme, ad esempio, è anche TAR Lazio Roma 12 luglio 2006 n°10485, afferma poi che il principio di proporzionalità e adeguatezza “obbliga la pubblica amministrazione ad adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti.
6. Tale principio è stato applicato in particolare a fattispecie analoghe a quella per cui è causa, relativi a misure limitative in senso ampio, come le restrizioni al traffico automobilistico, che C.d.S. sez. V 11 dicembre 2007 n°6383 considera legittime solo ove non eccessivamente gravose, e i vincoli per servitù militari, che TAR Puglia Lecce 6 luglio 2006 n°3841 ammette solo ove si dimostri la necessità nell’interesse della difesa nazionale della specifica limitazione adottata.
7. Applicando tali principi al caso di specie, si deve allora partire da un duplice dato normativo. In primo luogo, vi è la norma di legge ricordata dalla ricorrente, ovvero l’art. 9 comma 14 della l.r. Lombardia 30/2003, vigente all’epoca dei fatti ed ora riprodotto dall’art. 69 comma 14 della l.r. Lombardia 6/ 2010 n°6, per cui gli esercizi di somministrazione hanno un diritto, non subordinato dalla norma a limiti o prescrizioni, di vendere, se credano, per asporto i loro prodotti, diritto che pertanto potrà limitarsi, se del caso, in base a norme generali, in sé non escluse dall’art. 41 Cost.
8. Nel Comune di Sirmione, è vigente il già ricordato art. 19 del regolamento di polizia urbana, che come si è visto consente di dettare prescrizioni per le modalità di confezionamento per la vendita degli alimenti suddetti e per il loro consumo in area pubblica. Si tratta di norma non di per sé contraria a legge, anche tenuto conto del sopravvenuto art. 1 del d.l. 1/2012. Nessuno dubita infatti della compatibilità con la legge, e con le fonti di rango superiore, ovvero con la Costituzione e con il Trattato UE, di misure in concreto adeguate. Si fa il classico esempio dell’ordinanza regolarmente riadottata ad ogni stagione estiva, che impone ai cocomerai di adottare le misure necessarie perché il loro prodotto non sia contaminato dalle mosche, a protezione della salute dei consumatori.
9. Nel caso concreto, peraltro, l’adeguatezza della misura non sussiste, in primo luogo a livello di interessi coinvolti. A fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza della propria impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed europea, è posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro urbano, ed è oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati. Si noti poi che tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da quello volto ad evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali.
10. In termini di decoro urbano, allora, la semplice vista di persone le quali consumino in luogo pubblico alimenti -oltretutto, nella prospettazione del Comune intimato, solo se diversi da gelati e granite- può ben essere intesa, secondo un giudizio in sé del tutto rispettabile, come turbativa del gusto estetico, anche dato per scontato che non si traduca in abbandono dei rifiuti relativi, ma non pare che tale giudizio sia universalmente condiviso, in modo da giustificare un intervento radicalmente proibitivo, rivolto sia ai consumatori, col divieto di consumo, sia ai legittimi rivenditori con l’imposizione di modalità speciali di vendita non richieste dall’igiene.
11. In particolare sull’ultimo punto, l’ordinanza impone ai rivenditori un onere sicuramente non lieve, costituito dal confezionamento particolare –con scritta multilingue di divieto- e dalla sigillatura, tale all’evidenza da scoraggiare in modo significativo l’acquisto del prodotto. E’evidente infatti che il consumatore, il quale si veda in fatto proibire di gustare la specialità preferita come fragrante e appena preparata, si orienterà ad acquistare altrove, con pregiudizio del giro di affari di un rivenditore che la stessa amministrazione ha in precedenza autorizzato. L’ordinanza va pertanto annullata.
12. Le considerazioni appena svolte portano invece a respingere il ricorso per motivi aggiunti, dato che, come si è visto, il potere di disciplina di cui all’art. 19 del Regolamento non integra una previsione di per sé illegittima.
13. La parziale soccombenza è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
a) accoglie il ricorso principale, e per l’effetto annulla l’ordinanza 28 luglio 2006 n°46 e prot. n°11956 del Responsabile dell’area amministrativo finanziaria e Responsabile dell’area vigilanza del Comune di Sirmione;
b) respinge il ricorso per motivi aggiunti;
c) compensa per intero fra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013

Redazione