Omessa presentazione della dichiarazione Iva: reato per il contribuente anche se l’incarico era stato affidato ad un consulente (Cass. pen. n. 38335/2013)

Redazione 18/09/13
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Ritenuto in fatto

1. D. N. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Campobasso ha, in riforma di quella emessa dal tribunale di Isernia, confermato la sentenza di condanna limitatamente al reato di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 74/2000 relativamente alla omessa presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno 2003, ritenendo prescritte le contestazioni relative ai precedenti anni, nonché l’ulteriore reato di cui all’articolo 2 dLvo 74/2000 concernente le dichiarazioni per l’anno 2000.
2. Nei motivi di appello l’imputato aveva tra l’altro rilevato che non vi sarebbe stata “prova del dolo specifico che sottende il reato contestato, essendo emerso per il tramite dell’imputato la sua più totale estraneità alla tempistica di tali obblighi”.
La corte dl appello, rispondendo sul punto, ha ritenuto, argomentando con il richiamo a sentenze di questa corte, che non può avere valenza esimente la circostanza che dell’adempimento fiscale de quo potesse essere stato dato incarico a consulente, rimanendo l’obbligo relativo a carico del contribuente.
3. Deduce in questa sede il ricorrente la violazione di legge ed il vizio di motivazione assumendo che il reato contestato ha natura dolosa e non colposa e che peraltro necessita il dolo specifico ditalchè nella specie il reato andava escluso quanto meno sotto il profilo della mancanza dell’elemento soggettivo, assumendo l’imputato di non essere a conoscenza né dell’obbligo di dover pagare l’imposta né delle scadenze temporali per questo adempimento.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
4. Le doglianza del ricorrente sovrappongono questioni in realtà diverse.
4.1 Per un verso si rileva che la corte di appello avrebbe sostanzialmente motivato ravvisando la culpa in vigilando dell’imputato sull’attività del professionista e si obietta che ciò non basterebbe per dimostrare l’elemento soggettivo trattandosi di reato che richiede il dolo specifico.
Per altro verso si sostiene l’ignoranza sulla esistenza degli obblighi violati.
Sostanzialmente l’ignoranza riguarderebbe gli obblighi connessi alle dichiarazioni tributarie e, dunque, le norme extrapenali integratrici del precetto.
Queste ultime, tuttavia, essendo ln esso incorporate, sono da considerare legge penale.
E dunque non vi può essere un problema di scusabilità dell’errore sul fatto così come disciplinato dall’art. 47 co. 3 cod. pen. ma solo dl ignoranza della legge penale che va risoito in base all’art 5 cod. pen.
Al riguardo è appena il caso di rilevare che le Sezioni Unite con la sentenza n. 8154 del 10/06/1994 (Rv. 197885) dopo avere premesso che a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, l’ignoranza della legge penale scusa l’autore dell’illecito solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, ha puntualizzato i limiti di tale inevitabilità.
Ha chiarito nell’occasione che per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosidetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, quindi, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.
Nulla di tutto ciò è ravvisabile nemmeno astrattamente nella specie ricadendo l’asserita ignoranza su obblighi di conoscenza generale specialmente per chi, come l’imputato, opera quale amministratore di società.
4.2. L’altro profilo dedotto fa anzitutto leva su un rilievo fattuale e, cioè, che vi sarebbe la prova in atti che il ricorrente si sarebbe affidato ad un consulente rimanendo del tutto estraneo all’operato di quest’ultimo.
Tale prova risiederebbe in particolare, secondo il ricorrente, nelle dichiarazioni da lui rese e comporterebbe al più un profilo di culpa in vigilando insufficiente come tale a configurare il dolo specifico richiesto dall’art. 5 DLvo 74/2000.
Non è in questa sede che può essere chiesto di sindacare la valutazione della prova trattandosi di questione di merito.
Si deve tuttavia rilevare che le motivazioni del provvedimento impugnato non rispecchiano le affermazioni del ricorrente.
A ben vedere, infatti, i giudici di appello si limitano unicamente a rilevare che l’incarico al consulente non esclude l’obbligo del contribuente intendendo in tal modo evidentemente sottolineare che quest’ultimo rimane comunque direttamente tenuto all’assolvimento degli obblighi indipendentemente dalla presenza di un consulente. Il che semmai avvalora la tesi della responsabilità diretta dell’imputato per i fatti contestati.
La tesi dell’omesso controllo “che implicherebbe la sussistenza di un esclusivo profilo di colpa manca dunque di qualsiasi fondamento rispetto alle motivazioni della sentenza impugnata.
5. A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1000.
Così deciso, il giorno 21.5.2013

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