Notifica atti tributari: fa fede la dichiarazione dell’Ufficiale Giudiziario (Cass. n. 21817/2012)

Redazione 05/12/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 215/03/02 depositata in data 12.11.2002 la Commissione Tributaria Regionale della Campania – respinto l’appello proposto dalla contribuente Industria (omissis) S.r.l. – confermava la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di (omissis) n. 49/04/02, depositata in data 2.4.2002, che aveva dichiarato “legittima” la cartella di pagamento n. (omissis) IVA 1994 emessa dalla Agenzia delle Entrate di (omissis) a seguito del “prodromico” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994 e quest’ultimo ritenuto definitivo perché correttamente notificato e non tempestivamente opposto.

In particolare la CTR della Campania – rilevato che non era stata proposta querela di falso – considerava incontestabile il contenuto della relata di notifica del “presupposto” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994. E, specificatamente, laddove il messo aveva dato atto che la contribuente Industria (omissis) S.r.l. non era più presso la sede legale di via (omissis) in (omissis) e che per tale ragione si era proceduto alla notifica presso la sede “effettiva” di via (omissis) in (omissis) a mani di (omissis) addetto alla ricezione.

In proseguo di lite questa Suprema Corte, con sentenza n. 4377/05 depositata in data 2.3.2005, cassava con rinvio la ridetta decisione n. 215/03/02 della CTR della Campania statuendo il principio per cui la relata di notifica dell’avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994 poteva invece contestarsi senza necessità di proporre querela di falso e sia con riguardo alla dichiarazione ivi contenuta di aver proceduto alla notifica presso la sede “effettiva” della contribuente Industria (omissis) S.r.l. e sia con riguardo alla dichiarazione secondo cui (omissis) era “addetto” al ricevimento di atti. E, per di qui, la Suprema Corte derivava la conseguenza per cui i ridetti contestati fatti indicati in relata di notifica del “prodromico” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994 “avrebbero dovuto essere accertati dal giudice di merito”.

Con sentenza n. 23/41/06 depositata in data 21.2.2006 la Commissione Tributaria Regionale della Campania, definendo il giudizio di rinvio, annullava la cartella di pagamento n. (omissis) IVA 1994 per cagione la inesistenza della notifica dell’atto “presupposto” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994. La sentenza del giudice del rinvio, era fondata sulle ragioni appresso:

1. veniva dapprima premesso che, ai fatti indicati in relata di notifica, la Suprema Corte non aveva invero assegnata “alcuna validità”;

2. veniva poi ritenuto che gli “elementi” di prova forniti dalla Agenzia delle Entrate di (omissis) circa l’esistenza della sede “effettiva” indicata in relata, come ad es. la presenza di tre linee telefoniche intestate alla contribuente nella sede indicata quale “effettiva” di via (omissis) in (omissis), avevano in realtà la consistenza di semplici “illazioni”;

3. veniva ritenuto, infine, che l’Agenzia delle Entrate di (omissis) non aveva fornito “elementi” che potessero far pensare ad un collegamento tra la contribuente Industria (omissis) S.r.l. ed il sedicente “addetto” alla ricezione (omissis)

Contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 23/41/06 depositata in data 21.2.2006, sentenza appunto terminativa del giudizio di rinvio, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a numero tre motivi.

La contribuente Industria (omissis) S.r.l. resisteva con controricorso, in limine eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione ex adverso.

 

Motivi della decisione

I. La resistente Industria (omissis) S.r.l., come anticipato in narrativa, ha sotto vari profili preliminarmente eccepita l’inammissibilità dell’avversario ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c. E, nello specifico, perché: .

1. il ricorso difettava “del tutto” di “una compiuta e fedele rappresentazione, almeno sinottica e narrativa, della sentenza di cassazione con rinvio”;

2. il ricorso non dava inoltre “conto compiutamente dello svolgimento del processo”;

3. il ricorso non riproduceva “tutta la parte della sentenza del giudice dei rinvio concernente la ricostruzione dello svolgimento del processo”.

I plurimi profili della eccepita inammissibilità, ut supra riassunti, possono esser congiuntamente esaminati stante la loro stretta connessione.

L’eccezione è infondata.

Deve in effetti osservarsi che il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, nella sua parte espositiva, ha dato conto con sufficiente chiarezza della vicenda processuale descrivendone sinteticamente come ex lege richiesto ogni suoi fase e grado e gli esiti degli stessi. E cosicché, anche a mezzo della integrale trascrizione della parte motiva della sentenza sub indice, ha ricostruito il fatto processuale senza lacune o incertezza. E per tal modo permettendo a questa Suprema Corte l’esercizio nomofilattico su dati fattuali e processuali sicuri e quindi senza necessità di ricerche integrative. Non si da pertanto luogo a quella assoluta incertezza alla quale solamente devesi far conseguire la sanzione di inammissibilità per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c. (Cass. 13550/04; Cass. 2432/03).

II. Col primo motivo la ricorrente Agenzia delle Entrate censurava la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c. ed a riguardo deduceva come la CTR della Campania avesse “trasgredito” i compiti commessi dalla Suprema Corte con la sentenza rescindente e ciò in quanto non era punto vero che la Suprema Corte fosse entrata nel merito negando “validità” di prova al contenuto della relata di notifica e per tal modo esonerando la CTR dal riesaminare le prove che dall’Agenzia delle Entrate di (omissis) erano state portate a sostegno della verità dei fatti riportati nella relata di notifica dell’atto “presupposto” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994 e per il che sottoponeva il quesito: “se violi il principio di diritto affermato e contravvenga ai compiti assegnati dalla sentenza di cassazione il giudice di rinvio che travisi il contenuto di quella pronuncia, erroneamente ritenendo che la denegata attribuzione della fede privilegiata al contenuto intrinseco delle attestazioni dell’Ufficio giudiziario comporti la negazione della legittimità dell’attività da lui svolta”.

Con riferimento a questo primo motivo deve peraltro andare precisato che, per causa il travalicare dai poteri processuali assegnati, il giudice del rinvio che non si uniformi ai principi indicati dalla Suprema Corte con la sentenza rescindente compie un error in procedendo denunciabile ai sensi dell’art. 363, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. 6441/05; Cass. 17564/04).

Tuttavia deve in proposito andare rammentata la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui, quando sia stato denunciato come error in iudicando ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. quello che in realtà sarebbe un error in procedendo, il motivo è da ritenersi lo stesso ammissibile quando sia come qui stato esattamente e chiaramente prospettato il fatto costitutivo dell’errore. E, ciò, sul rilievo per cui in tutte e due i casi trattasi di un vizio di violazione di legge e cosicché la certa individuazione dell’errore permette l’esercizio nomofilattico (Cass. 19661/06; Cass. 3941/02).

III. Col secondo complesso motivo l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5, c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 145 e 148 c.p.c. e artt. 2697, 2699 e 2700 c.c. e oltreché per insufficiente e illogica motivazione su punti decisivi della controversia ed a riguardo deduceva che la circostanza che il contenuto intrinseco della relata di notifica del “prodromico” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994 non fosse assistito da fede pubblica “non escludeva la fede privilegiata di ogni altra attestazione” di fatti avvenuti alla presenza del messo e come ad es. erano sia il mancato rinvenimento della contribuente Industria (omissis) S.r.l. presso la sua sede legale e sia le indicazioni ricevute circa la sede “effettiva” e sia le dichiarazioni di (omissis) di esser “addetto” alla ricezione degli atti e cosicché la CTR della Campania avrebbe da qui dovuto ricavare “che la notifica presso la sede dichiarata era risultata impossibile” e che pertanto era di necessità tentare la notifica presso la sede “effettiva” e che “sarebbe stato onere della società dimostrare che la sede fosse stata effettivamente dove la notifica era risultata impossibile” e con la conclusione per cui in mancanza di una tale prova si doveva ritenere che la notifica presso la sede “effettiva” era stata “eseguita correttamente” a mani dell’”addetto” (omissis) e per il che venivano formulati i plurimi quesiti:

1. “se abbiano fede privilegiata le affermazioni rese dal messo notificatore nella relata di notifica in merito all’ attività compiuta, al mancato rinvenimento della sede della società destinataria dell’atto da notificare all’indirizzo indicato ed all’acquisizione di informazioni attestanti l’avvenuto trasferimento della sede effettiva”;

2. “se può presumersi la veridicità delle dichiarazioni rese al Messo notificatore dalle persone sentite in merito all’avvenuto trasferimento della sede ad altro indirizzo”;

3. “se, nel caso in cui il messo notificatore non abbia rinvenuto all’indirizzo dichiarato la sede della persona giuridica destinataria di un atto ed abbia acquisito notizia del suo trasferimento ad altro indirizzo del suo circondario, sia legittimo l’esperimento della notifica presso la nuova sede, anziché presso il domicilio del suo legale rappresentante”;

4. “se – in mancanza di prova contraria – debba ritenersi legittima la notifica di un atto effettuata ad una persona giuridica nella sede individuata dal messo notificatore mediante consegna a mani di persona ivi rinvenuta, che si sia dichiarata addetta alla società e capace di riceverlo”.

IV. I motivi ut supra riassunti, stante la loro stretta connessione, debbono esser esaminati congiuntamente. I due motivi sono, peraltro, fondati.

In effetti questa Suprema Corte è sempre stata costante nell’insegnamento per cui – se pur è vero che il contenuto delle dichiarazioni ricevute dal messo notificatore o l’esito delle sue ricerche non possono far fede fino a querela di falso e differentemente ad es. da quanto in relata vien scritto esser avvenuto davanti al ridetto messo notificatore o dalla attività che questi dichiara di aver compiuta – è altresì vero che i ripetuti contenuti delle dichiarazioni ricevute dal messo notificare o l’esito delle sue ricerche debbono presumersi veritiere sino a contraria dimostrazione e questa ovviamente da darsi da chi contesta la notifica (Cass. 25860/08; Cass. 12311/07). Una contraria prova, circa la non veridicità del luogo di rinvenimento della sede “effettiva” e della ricezione dell’”addetto”, che la contribuente Industria (omissis) S.r.l. non ha invero allegato.

Il giudice a quo, come correttamente denunciato dalla ricorrente Agenzia delle Entrate, ha quindi violato le regole sul riparto della prova fissate in subiecta materia e ciò allorquando ha onerato l’Ufficio della dimostrazione della realtà della sede “effettiva” e dell’”addetto” alla ricezione della notifica. Fatti la cui contrarietà a verità, seppur dimostrabile senza querela di falso, spettava alla contribuente Industria (omissis) S.r.l. di provare.

Il principio di diritto da enunciarsi ex art. 384, comma 1, c.p.c. è pertanto: “Quando l’ufficiale giudiziario attesti di non avere rinvenuto la ******à destinataria della notifica presso la sua sede legale, perché, secondo quanto appreso, questa aveva la sua sede “effettiva” altrove, e recatosi presso la sede “effettiva” abbia fatta consegna a persona qualificatasi “addetta” alla ricezione per la ******à ridetta, le attestazioni in parola sono da ritenersi assistite da fede fino a querela di falso, attenendo a circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale.

Laddove, invece, il contenuto delle notizie apprese circa la sede “effettiva” ed il contenuto della dichiarazione di chi si sia qualificato “addetto” alla ricezione di atti per conto della ******à notificata, sono assistiti da presunzioni iuris tantum, che, in assenza di prova contraria, non consentono al giudice di conoscere la regolarità dell’attività di notificazione”.

IV. Col terzo motivo la ricorrente Agenzia delle Entrate censurava la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5, c.p.c. epperó senza indicazione alcuna delle norme assunte come violate o falsamente applicate e soltanto in rubrica indicando i vizi di “omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione” ed a riguardo deduceva “gravi lacune ed incongruenze nella valutazione degli elementi di fatto emersi dai documenti di causa” e particolarmente per aver la Commissione Tributaria Regionale della Campania “prestato nessuna attenzione al fatto che il messo notificatore aveva rinvenuto un altro luogo certamente riferibile alla società” e nel quale dovevasi individuare la “sede effettiva” e tenuto conto che ivi la contribuente Industria (omissis) S.r.l. risultava intestataria di utenza telefonica e che sempre ivi chi aveva ricevuta la notifica risultava aver nome identico a quello del legale rappresentante della contribuente e col che la valutazione negativa dei fatti controversi era da intendersi siccome “assai superficiale e perciò illogica”.

Il motivo rimane assorbito.

V. Il giudice a quo in assenza della contraria prova che abbiamo veduto spettava alla contribuente Industria (omissis) S.r.l. di dare – e che invece nemmeno era stata allegata – avrebbe quindi dovuto ritenere correttamente eseguita la notifica dell’atto “presupposto” avviso di rettifica n. (omissis) IVA 1994 e col conseguente rigetto del ricorso proposto contro la cartella di pagamento n. (omissis) IVA 1994. E, questo, perché non c’erano altri fatti da accertare ed in quanto erano da ritenersi presunti la sede “effettiva” e la ricezione della notifica da parte dell’”addetto”. Ciò che, in effetti, ai sensi dell’ art. 384, comma 2, c.p.c. consente ora a questa Suprema Corte di statuire nel merito e quindi di pronunciare il rigetto del ricorso avverso la cartella sub iudice.

VI. Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, mentre nella particolarmente difficoltosa vicenda processuale stanno quei giusti motivi che permettono per il resto di compensare integralmente le spese.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza e decidendo nel merito respinge il ricorso proposto dalla contribuente Industria (omissis) S.r.l. avverso la cartella di pagamento n. (omissis) IVA 1994.

Condanna la contribuente Industria (omissis) S.r.l. a rimborsare all’Agenzia delle Entrate le spese del presente grado che si liquidano in € 15.000,00 per compensi oltre a spese prenotate; compensa integralmente nel resto.

Redazione