Niente obbligo di permesso per il dipendente pubblico che effettua visite mediche, terapie ed esami diagnostici. Si ritorna alla vecchia disciplina dell’assenza per malattia (T.A.R. Lazio, sez. I, 17/4/2015, n. 5714)

Redazione 17/04/15
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Il TAR Lazio, accogliendo l’impugnazione da parte di un sindacato, ha cancellato la parte della circolare 2/14 della Funzione pubblica in cui appunto si stabiliva che il ricorso al permesso per i dipendenti pubblici che dovessero assentarsi dal lavoro per sottoporsi a visite specialistiche, terapie o esami diagnostici.

Il Tar ha osservato che l’utilizzo della parola «permesso», invece della seconda espressione «assenza» adottato dalla precedente legge, trae fondamento dalla consapevole esigenza di regolare la mancata prestazione lavorativa per visita medica tramite gli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza diversa dalla malattia.  

Il Dl 101/13 non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione, anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8500 del 2014, proposto da: 
Federazione Lavoratori della Conoscenza-Cgil, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti *********************** e *****************, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, Via Cosseria, 2;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento, previa sospensiva,

della Circolare n. 2 adottata dal Dipartimento della Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio in data 17.02.2014, pubblicata in GU Serie generale n. 85 dell’11.4.2014, nonchè dei provvedimenti attuativi ancorchè non conosciuti di data ignota e non comunicati e di ogni atto presupposto, connesso e conseguente

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica;
Vista la memoria difensiva della ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 25 febbraio 2015 il dott. ************ e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

 

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, la Federazione Lavoratori della Conoscenza-CGIL (FLC-CGIL) chiedeva l’annullamento, previa sospensione, della circolare in epigrafe.
In particolare, tale disposizione, rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni, era inerente all’applicazione dell’art. 55-septies, comma 5 ter, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, l. n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16 bis, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013. Tale norma prevede ora che “Nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all’orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”.
Tale testo legislativo, nella sua precedente conformazione, prevedeva invece – per quel che rileva nella presente sede – l’espressione “l’assenza è giustificata” in luogo di quella “il permesso è giustificato” e dopo le parole “di attestazione” non prevedeva l’espressione “anche in ordine all’orario”.
Ebbene, sulla base della novella legislativa in questione, il Dipartimento della Funzione Pubblica adottava la suddetta circolare ove era precisato tra l’altro che, a seguito della sua entrata in vigore, “…per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)…”; a tale osservazione seguivano poi ulteriori indicazioni in merito alle modalità di compilazione dell’attestazione in questione.
La FLC-CGIL, quindi, premettendo che il suo interesse all’impugnazione, in base alle disposizioni del suo Statuto, era quello di tutelare gli interessi di tutti i lavoratori della scuola statale, dell’università e degli enti pubblici di ricerca nonché delle accademie di belle arti e dei conservatori di musica statale in relazione a un valore costituzionalmente protetto quale era il diritto alla salute, evidenziava che il personale di tali comparti si era domandato subito se per l’espletamento delle prestazioni indicate dalla norma era necessario richiedere un “permesso” ovvero, previa certificazione medica, un giorno di assenza per motivi di salute, nelle ipotesi di prestazione diagnostica non legata ad uno stato di malattia temporaneamente invalidante, tenuto conto delle diverse conformazioni dei permessi orari complessivi previsti per i vari comparti, di cui faceva una ricostruzione succinta.
In particolare, secondo la ricostruzione della Federazione ricorrente, con riferimento al comparto scuola, in base all’impugnata circolare il relativo personale sarebbe stato costretto a utilizzare i tre giorni annui di permessi personali o, per patologie gravi con terapie e trattamenti lunghi, a chiedere giorni di ferie.
Per tale ragione, la FLC-CGIL lamentava, in sintesi, quanto segue.
1. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 4 comma 16 bis del decreto legge 101/2013 nonché del principio di gerarchia delle fonti. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento delle circostanze, sviamento”.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica aveva ritenuto di dover interpretare la norma nei confronti della generalità dei dipendenti pubblici e non in relazione a quei soli comparti ove vi poteva essere qualche dubbio interpretativo.
La circolare impugnata, nell’introdurre la locuzione “permessi”, non aveva considerato che la disposizione normativa di riferimento utilizzava tale termine in senso generico e quale modifica tecnica volta a stabilire che la giustificazione era da riferirsi al permesso richiesto e non all’assenza in quanto tale, con la conseguenza che ciò che doveva essere dimostrato, ai fini dell’esercizio del diritto, non era lo stato morboso (malattia in senso stretto) ma il titolo (appunto, il permesso) che aveva determinato l’insorgenza del diritto stesso (visita specialistica o esame clinico dall’esito, auspicabilmente, anche negativo). Poiché nell’ipotesi di mancato riscontro di patologie la giustificazione dell’assenza non poteva consistere in una certificazione medica di attestazione di stato patologico, come nelle assenza “per malattia”, per tale ragione il legislatore si riferiva genericamente al “permesso”.
Inoltre, l’interpretazione dell’Amministrazione non considerava l’ipotesi di sottoposizione, in caso invece di gravi patologie, a frequenti controlli e visite e la conseguente insufficienza del numero di permessi per ragioni personali.
In tal senso, la circolare, quale fonte “sotto ordinata” alla legge, non poteva introdurre limiti non previsti dalla norma primaria, secondo la conclusione cui è da tempo pervenuta la giurisprudenza amministrativa e della Corte di Cassazione, fermo restando che essa non vincolerebbe la stessa Autorità emanante né potrebbe creare obblighi per sé e per i giudici, ponendosi altrimenti in contrasto con l’art. 23 Cost.
2. Eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti, travisamento delle circostanze di fatto, illogicità ed ingiustizia manifesta”.
I “permessi” regolamentati nei rispettivi contratti di comparto hanno una finalità del tutto diversa da quella relativa alla cura dello stato di salute e anche per la loro esiguità non possono essere estesi ad altri scopi.
Violazione art. 97 e 32 della Cost.”.
La Federazione ricorrente riteneva che una diversa interpretazione fondata sulla lettera dell’art. 16 bis cit. risulterebbe in contrasto con gli artt. 32 e 97 Cost., perché in violazione del diritto alla salute e all’integrità fisica e psichica dell’individuo.
Si costituiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri con atto di mera forma.
La domanda cautelare, su istanza di parte, era rinviata alla trattazione del merito.
La Federazione ricorrente depositava una memoria a sostegno ulteriore delle proprie tesi difensive e, alla pubblica udienza del 25 febbraio 2015, la causa era trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

 

Il Collegio rileva la fondatezza delle tesi della Federazione ricorrente, nel senso che si va a illustrare.
In primo luogo, si ritiene opportuno precisare che l’utilizzo della parola “permesso”, in luogo della seconda espressione “assenza” invece presente nel precedente testo, non è stato logicamente introdotto a meri fini linguistici, per evitare una ripetizione dello stesso concetto, ma per fare riferimento a modalità di regolazione della mancata prestazione lavorativa legate agli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza diversi dalla malattia intesa come stato patologico in atto.
La norma infatti, già peraltro nella prima stesura, fa riferimento non solo a “terapie” e “prestazioni specialistiche”, che potrebbero ben collegarsi a stati patologici, ma anche a generiche “visite” ed “esami diagnostici”, che tali stati – auspicabilmente peraltro – potrebbero non rilevare.
E’ evidente, infatti, che un soggetto può sottoporsi a indagini diagnostiche per mero fine esplorativo nonché a visita medica a mero scopo preventivo e/o di controllo di uno stato di buona salute.
Non appare quindi rilevante ai presenti fini ogni richiamo alla normativa (già esistente) che regola lo stato di “malattia” e i collegati diritti costituzionalmente protetti, che non appaiono messi in discussione dalla novella legislativa, la quale – si ribadisce – appare posta al fine di regolare situazioni di assenza dal lavoro non direttamente collegate ad uno stato patologico acclarato.
In sostanza, da un punto di vista sistematico, la novella in questione è stata disposta perché si erano spesso riscontrate anomalie nel ricorso all’istituto della “assenza per malattia” da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata.
Ciò non toglie, comunque, che in caso di effettiva patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante, a sua discrezionale valutazione tecnica, ritiene una (sia pure temporanea) inabilità al lavoro del dipendente, l’assenza è giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione e tale circostanza si manifesta certamente ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico curante ritenga sussistente uno stato patologico o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante.
Per quanto evidenziato, quindi, nè la circolare impugnata né – tantomeno – la legge hanno inteso sopprimere l’istituto dell’assenza per malattia, che continua ad essere applicabile, così come continuano ad essere applicabili, in tal caso, l’art. 71 l. n. 133/08 nonché le norme dei CCNL sul punto.
Sotto tale profilo, quindi, può concludersi nel senso che la volontà del legislatore, nell’utilizzare la parola “permesso” in luogo di “assenza”, non può che essere ricondotta all’istituto giuridico rappresentato dai “permessi” e non all’istituto dell’assenza per malattia, in quanto la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non necessariamente presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica che la attesti.
Ne consegue, però, che non può ritenersi, come invece desumibile dalla circolare impugnata, che il riferimento ai “permessi” debba essere inserito “sic et simpliciter” nell’ambito della normativa contrattale collettiva vigente, senza alcuna modifica e/o integrazione.
Il Collegio, infatti, osserva che la norma di cui all’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, nell’attuale conformazione, non fa alcun riferimento in questo senso, limitandosi ad affermare – appunto – che “il permesso” è giustificato mediante la presentazione di una determinata attestazione.
Il Collegio ritiene che se il legislatore avesse voluto dire quanto sostenuto dalle Amministrazioni resistenti, avrebbe fatto uso di locuzioni del tipo “il permesso regolato dai vigenti contratti collettivi nazionali di comparto” o simili e non avrebbe utilizzato genericamente la locuzione “il permesso”.
Ciò vuol dire che un’interpretazione logicamente e sistematicamente orientata dalla norma non può essere quella proposta con la circolare impugnata, che direttamente ritiene di richiamare i permessi per “documentati motivi personali secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)”.
Ciò perché, evidentemente, tali permessi, e la relativa contrattazione di comparto, erano stati individuati nella vigenza della normativa precedente, che non faceva distinzione sull’assenza per malattia, come sopra evidenziato. E’ chiaro che tali “permessi” riguardavano la necessità di assentarsi dal lavoro per le ragioni più varie (indicate anche dalla Federazione sindacale ricorrente) ma non anche per le assenze per terapie e simili di cui all’art. 55-septies cit. allora vigente.
L’utilizzo imposto immediatamente di tale tipo di permessi comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di “assenza per malattia” prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali “permessi” per documentati motivi personali” diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.
Ne consegue, ad opinione del Collegio, che la novella legislativa in esame non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.
Tale conclusione appare confermata dalla stessa Amministrazione, secondo la documentazione depositata in diverso giudizio avente ad oggetto anche la medesima impugnativa in questa sede trattata e di cui il Collegio può avvalersi, laddove lo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica ha inviato a vari enti, una “Ipotesi di atto di indirizzo quadro all’ARAN per la sottoscrizione di un CCNQ in materia di rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti”, sulla base delle “stratificazioni regolative in materia” che hanno indotto nel tempo “problematiche interpretative di diversa natura”.
Nello specifico, è evidenziata proprio la problematica relativa alla novella dell’art. 55-septies, comma 5.ter, cit., laddove si sottolinea che “Le assenze dal servizio per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici richiedono una specifica disciplina contrattuale, con carattere di omogeneità per tutti i comparti e le aree di contrattazione” e che “Tali assenze presentano la caratteristica di non essere assimilabili in tutto all’assenza per malattia, in quanto manca il presupposto della patologia in atto e di essere entro certi limiti giustificabili per la particolare causa, consistente nella esigenza di cura o di prevenzione”. Segue poi una dettagliata descrizione delle ipotesi di individuazione di specifici permessi legati a tale tipologia di assenza, diversi da quelli già previsti dalla contrattualistica vigente e ideati per scopi ulteriori, nella vigenza della normativa precedente all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 16-bis, d.l. n. 101/13, conv. in l. n. 125/13, nonché una dettagliata descrizione dell’oggetto della futura contrattazione relativa a congedi parentali, per maternità, monte-ore”.
Ne consegue, quindi, che la circolare impugnata, operando direttamente nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, è illegittima per quanto dedotto essenzialmente e in misura assorbente nel primo motivo di ricorso, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti.
Per quanto dedotto, perciò, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della circolare impugnata, laddove impone alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/01 di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore).
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la circolare impugnata nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:

***************, Presidente FF
*****************, Consigliere
************, ***********, Estensore

 

L’ESTENSORE


 

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione