Nel giudizio amministrativo di legittimità si deve essenzialmente verificare la legittimità degli atti impugnati, con riferimento al momento in cui essi sono stati emanati, e prescindendo dai fatti sopravvenuti (Cons. Stato n. 4666/2013)

Redazione 19/09/13
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FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario dei provvedimenti del Prefetto e del Questore di Treviso, entrambi notificati il 14 ottobre 2012, con i quali, rispettivamente, gli è stato fatto divieto di detenere armi e munizioni, e gli è stata revocata la licenza di porto di fucile per uso caccia.
I provvedimenti erano motivati con riferimento ad un rapporto dei Carabinieri dal quale risultava che l’interessato era stato denunciato per i reati di maltrattamenti in famiglia, ingiurie, minacce, violenza privata, diffamazione. Denunce presentate dalla convivente more uxorio dell’intereressato, P.B., e dalla di lei figlia adulta V.T., nata da una precedente relazione.
2. L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Veneto. Deduceva, in sintesi, che effettivamente in seno alla famiglia “di fatto” formata, oltre che dalle signore **** e ****, pure dal figlio di esso interessato e della P.B., con la presenza, da ultimo, anche della figlia neonata della V.T., vi erano tensioni e conflittualità, anche aspre, (e sfociate talvolta in episodi di violenza fisica e/o verbale, cause civili, etc.),; ma che le denunce e querele presentate a suo carico erano inveritiere e strumentali, e che il suo ruolo era stato semmai quello della vittima e del pacificatore.
3. Il T.A.R. del Veneto ha respinto il ricorso, osservando, in buona sostanza, che valutare le responsabilità penali non era compito suo ma dell’autorità giudiziaria penale e che nel frattempo appariva legittimo che le autorità di pubblica sicurezza, prendendo atto di un contesto fortemente conflittuale con manifestazioni anche violente, intervenissero per togliere la disponibilità delle armi.
4. L’interessato propone appello a questo Consiglio, riproponendo le sue argomentazioni riguardo al ruolo passivo e non attivo tenuto, a suo dire, nei litigi (anche violenti) domestici, e aggiungendo nuovi elementi di fatto, fra cui una richiesta di archiviazione del P.M. relativamente alle denunce presentate nei di lui confronti; nonché una querela presentata il 19 maggio 2013 dalla V.T. contro la madre P.B., per lesioni personali. Dalla minuziosa descrizione dei fatti e delle circostanze, contenuta in quest’ultima querela, risulterebbe confermato che l’appellante sia incolpevole dei litigi e delle violenze domestiche.
5. L’Amministrazione si è costituita per resistere all’appello.
In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, il Collegio ravvisa i presupposti per una definizione immediata della controversia.
6. Il Collegio ritiene opportuno precisare, innanzi tutto, che nel giudizio amministrativo di legittimità si deve essenzialmente verificare la legittimità degli atti impugnati, con riferimento al momento in cui essi sono stati emanati, e prescindendo dai fatti sopravvenuti. Questi ultimi semmai potranno dare motivo ad una richiesta di riesame, da rivolgere all’autorità amministrativa competente.
Ciò posto, si debbono ritenere inconferenti, in questa sede, tutti gli sviluppi di fatto indicati nell’atto d’appello e nelle successive difese, trattandosi di eventi posteriori all’emanazione degli atti impugnati in primo grado e comunque non conosciuti, né conoscibili, dall’autorità di pubblica sicurezza.
7. Riesaminando dunque la fattispecie con queste limitazioni, si deve confermare il giudizio del T.A.R..
E’ noto che in materia di armi il còmpito dell’autorità di p.s., da esercitare con ampia discrezionalità, è quello di prevenire per quanto possibile i delitti (ma anche i sinistri involontari) che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili. Un caso tipico, fra i tanti che giustificano gli interventi in questo senso, è quello delle situazioni di conflittualità fisica e verbale nei rapporti familiari, o di convivenza, o di vicinato; e le cronache dimostrano sin troppo spesso che vi è semmai da lamentare che certe precauzioni non siano state più severamente adottate.
Ora, non solo dagli atti sui quali in questa vicenda si sono basate le autorità di p.s., ma anche e paradossalmente ancor più da quelli prodotti dal ricorrente in sua difesa, emerge un contesto di conflittualità davvero inusuale fra persone che pur vivono sotto lo stesso tetto e fra le quali vi sono relazioni familiari o parafamiliari, come sopra si è accennato.
Sta di fatto che quando il Prefetto e il Questore hanno emesso i rispettivi provvedimenti, l’attuale appellante era gravato da circostanziate denunce per una serie di reati, tutti connessi a quello stato di conflittualità della cui esistenza l’interessato è il primo a dare conferma. Se l’autorità giudiziaria penale giudicherà infondate quelle accuse, l’autorità di p.s. avrà motivo di un riesame. Ma, allo stato, si deve confermare la legittimità dei provvedimenti cautelativi.
8. In conclusione, l’appello va respinto.
Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2013

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