Negozio transattivo, la dilazione del pagamento accordata dal creditore integra una concessione (Cass. n. 20160/2013)

Redazione 03/09/13
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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Palermo, con sentenza dell’8 marzo 2007, riformando la pronuncia di primo grado e in accoglimento della domanda proposta da C.G., condannava Alleanza Assicurazioni s.p.a. a restituire al ricorrente la somma di Euro 8.482,24, che la società aveva in precedenza recuperato a carico del dipendente e corrispondente all’importo dei valori sottratti al C. nel corso di una rapina, subita mentre si recava a versare il denaro incassato per conto dell’ispettorato della società.

Nel pervenire a tale soluzione, la Corte di appello osservava che non poteva essere qualificata come proposta di transazione la dichiarazione rilasciata dal ricorrente il 25.11.98 in base alla quale la società aveva operato le trattenute, dal cui testo non era dato riscontrare l’esistenza delle reciproche concessioni; che, in particolare, a fronte dell’assunzione dell’onere del pagamento da parte del lavoratore, non risultava alcuna riduzione della pretesa da parte della società, nè vi era menzione della rinuncia agli interessi legali, costituenti il corrispettivo della dilazione di pagamento; che, di conseguenza, non poteva ritenersi integrato un elemento essenziale del negozio transattivo (art. 1965 cod. civ.) e la dichiarazione doveva essere sussunta nell’istituto della ricognizione di debito (art. 1988 cod. civ.); che, così qualificata la dichiarazione, ben poteva il lavoratore provare l’insussistenza del debito e, nella specie, non era contestato che la sottrazione dei valori fosse avvenuta in occasione di una rapina a mano armata; che pertanto la causa della perdita della detenzione non era imputabile al lavoratore e doveva trovare applicazione l’art. 1780 cod. civ., in virtù del quale se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa.

Per la cassazione di tale sentenza la soc. Alleanza Assicurazioni propone ricorso, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso C.G..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 1967 cod. civ., nonchè motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia (artt. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5). La Corte di appello aveva dato atto che nella proposta di transazione il C. aveva avanzato una richiesta di dilazione di pagamento, non essendo in condizioni economiche per far fronte a quanto addebitatogli, e tale proposta era stata accolta; aveva però contraddittoriamente escluso che Alleanza Assicurazioni avesse fatto delle proprie “concessioni”, mentre queste erano ravvisabili proprio nella rateizzazione del debito, il quale altrimenti avrebbe dovuto essere pagato immediatamente in un’unica soluzione al domicilio del creditore (artt. 1182 e 1183 cod. civ.).

Chiede dunque che sia riscontrato l’errore interpretativo commesso dal giudice di appello per non avere ritenuto sussistente un valido negozio transattivo, omettendo di considerare che la dilazione di pagamento, richiesta dal C. e accordata dalla società, che ha consentito il frazionamento del pagamento ripartito in quattro anni, costituiva un indubbio beneficio per il debitore ed era qualificabile come “concessione”.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 1780 cod. civ. e vizio di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) per avere la Corte di appello trascurato di considerare che, entrando in possesso della somme di Alleanza Assicurazioni, il dipendente era divenuto depositario e responsabile della custodia delle stesse, e che era suo onere denunciare immediatamente alla società il fatto per cui aveva perduto la detenzione, mentre la circostanza della presunta rapina costituiva un’affermazione di parte, rimasta indimostrata in giudizio.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente, per mancata indicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale che la Corte di appello avrebbe violato nello svolgimento della sua operazione interpretativa.

Il motivo di ricorso non denuncia un’errata interpretazione della volontà negoziale espressa nell’accordo, ma l’errata mancata sussunzione della fattispecie concreta, come ricostruita dalla sentenza impugnata, nello schema legale della transazione di cui all’art. 1965 cod. civ.. La censura verte sulla violazione e falsa applicazione di tale norma di legge e rispetto a tale censura il quesito è pertinente e supportato dalla specifica indicazione, nel motivo, delle affermazioni contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie. Il motivo prospetta altresì il vizio di omessa motivazione circa un fatto decisivo, costituito dalla dilazione di pagamento e che si assume idoneo ad integrare la nozione di “concessione”, a sua volta costitutiva della fattispecie di cui all’art. 1965 cod. civ..

Il ricorso è fondato.

In via generale va osservato che, affinchè una transazione sia validamente conclusa, è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una “res dubia”, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza, e, dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle concessioni reciproche. L’oggetto della transazione, peraltro, non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni, che possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un “quid medium” tra le prospettazioni iniziali (Cass. sent. 6 ottobre 1999 n. 11117, 1 aprile 2010 n. 7999).

Peraltro, ove risulti la comune volontà delle parti di evitare ogni contesa mediante reciproche concessioni non occorre che vi sia equivalenza tra il “datum” e il “retentum”. E’ stato infatti affermato (Cass. 22 febbraio 2000 n. 1980, 10 luglio 1985 n. 4106) che, affinchè un negozio possa essere considerato transattivo, è necessario, da un lato, che esso abbia ad oggetto una “res dubia”, e cioè cada sopra un rapporto giuridico avente, almeno nell’opinione delle parti, carattere d’incertezza, e, dall’altro lato, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle concessioni reciproche, nel senso che l’uno sacrifichi qualcuna delle sue pretese in favore dell’altro, indipendentemente da qualsiasi rapporto di equivalenza fra “datum” e “retentum”.

La sentenza impugnata ha escluso che potesse costituire “concessione” il pagamento rateale (richiesto dal debitore e ad accordato dalle società, secondo i tempi e le modalità proposti dal dipendente), poichè “non emerge una riduzione della pretesa della società alla restituzione per intero dell’importo sottratto in occasione della rapina, nè si fa menzione di una rinuncia da parte di quest’ultima al pagamento degli interessi legali, che costituirebbero il corrispettivo della dilazione di pagamento”.

Tale ricostruzione non è conforme a diritto.

Dalla normativa codicistica sulle obbligazioni si evince la regola generale che l’adempimento di una obbligazione pecuniaria (anche se relativa ad un rapporto di lavoro), deve essere eseguito in un’unica soluzione non potendosi ritenere consentito un mutamento di termini e modalità genetiche nel momento in cui il detto rapporto trova la sua esecuzione. Principio che si deduce implicitamente – ma ugualmente in modo chiaro – dal disposto dell’art. 1181 cod. civ., in forza del quale la prestazione va adempiuta nella sua interezza, tanto è vero che il creditore può rifiutare un adempimento parziale salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente. Se dunque il creditore ha diritto di esigere il pagamento integrale ed immediato, la dilazione, accordata su richiesta del debitore, costituisce una parziale rinuncia e, come tale, integra una “concessione” ai sensi dell’art. 1965 cod. civ..

Nè a diverse conclusioni poteva pervenire la Corte territoriale in considerazione della mancata previsione della rinuncia, da parte della società, a percepire gli interessi legali, atteso che in tema di transazione risulta indifferente l’accertamento dell’equivalenza tra le reciproche concessioni. Un eventuale apprezzamento in sede giudiziale dell’esistenza o meno della equivalenza tra le reciproche concessioni costituirebbe una indebita interferenza nella regolazione degli interessi prescelta dalle parti in sede negoziale. L’art. 1970 c.c., esclude la rescindibilità della transazione per lesione e questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. 22 aprile 1999 n. 3984) che la transazione non può essere impugnata per causa di lesione, in quanto la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, essendo rimessa all’autonomia negoziale delle parti.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, poichè ha trovato composizione in sede transattiva la res dubia vertente sui presupposti per fare applicazione della disposizione di cui all’art. 1780 cod. civ., che prevede che se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa, ma deve, sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione.

La sentenza impugnata va dunque cassata e decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, con rigetto della originaria domanda.

In considerazione dell’esito alterno che la controversia ha avuto nei gradi di merito, ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.

Redazione