Morte di una neonata: l’esclusione immotivata del consulente di parte viola il diritto alla prova (Cass. pen. n. 28732/2013)

Redazione 04/07/13
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa il 30 marzo 2011 la Corte di Assise di Appello di Potenza confermava nei riguardi di R.F. la sentenza del 19 giugno 2008 con la quale la Corte di Assise di Potenza l’aveva giudicata responsabile del delitto di cui al capo A) p. e p. dagli artt. 575 – 577 co. 1 n. 1 cod. pen. contestatole per avere cagionato volontariamente il (omissis) il decesso per asfissia acuta della neonata partorita naturalmente e spontaneamente al nono mese di gestazione, in buone condizioni di nutrizione e di normale sviluppo somatico, rifiutando qualsiasi assistenza e precludendo ogni forma di soccorso e per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle contestate aggravanti, l’aveva condannata alla pena di anni quindici di reclusione e dichiarata interdetta in perpetuo dai pubblici uffici.
2. Da entrambe le sentenze di merito, che avevano resto statuizioni conformi, poteva dedursi che, a seguito del ricovero ospedaliero della F., resosi necessario a causa delle copiose perdite di sangue, conseguenti al parto, verificatosi poco tempo prima nel bagno dell’abitazione della di lei datrice di lavoro, D.V.R., i Carabinieri, informati dai sanitari dell’accaduto e recatisi presso l’abitazione della D.V., avevano rinvenuto nel bagno il corpicino di un neonato di sesso femminile, riposto all’interno di una busta di plastica, collocata tra il water e la vasca da bagno, che, pur essendo stato immediatamente trasportato al nosocomio più vicino, vi era giunto privo di vita.
2.1 Dalle informazioni acquisite dalle coimputate P. e L., congiunte della D.V., si era appreso che, accompagnata da parte della prima l’imputata in bagno per un malessere che aveva avvertito, costei non aveva voluto alcun tipo di assistenza e quando si era riusciti ad entrare nel bagno a forza, era stato rinvenuto nel bidet un neonato in mezzo al sangue, che la L. , accortasi del suo decesso, aveva riposto in una busta di cellophane e lasciato nel bagno, ove era stato trovato dai militari.
2.2. Dagli accertamenti medico-legali, demandati ai consulenti tecnici del P.M., era emerso che la bambina al momento dell’impegno del canale di parto e sino alla fuoriuscita era viva e vitale, ma tali giudizi erano stati contrastati dal consulente tecnico della difesa, secondo il quale il decesso si era verificato prima dell’espletamento del parto e dell’espulsione della testa del feto a causa di asfissia perinatale, dimostrata dalla presenza sul collo della neonata di un doppio solco, indicativo di un doppio giro di funicolo, che, avendo determinato l’irregolare progressione del feto nel canale di parto, aveva provocato un’ipossia cerebrale letale per stasi venosa in ragione del prolungamento dei tempi di espulsione.
2.3 La Corte di Assise di Appello, dopo avere respinto l’istanza di esame dei consulenti tecnici di parte, proposta dal difensore dell’imputata, perché foriera di ulteriori motivi di contrasto valutativo, che, avrebbero dovuto emergere nel corso del controesame dei consulenti dell’accusa, rinnovato in sede d’appello ed al quale la parte aveva, invece, rinunciato, pur essendo stata assistita dal proprio consulente, respingeva anche la richiesta di espletamento di perizia su temi, ritenuti già sufficientemente approfonditi.
2.5 Quanto al merito, recepiva le conclusioni rassegnate dai consulenti dell’accusa, respingendo le opposte indicazioni del consulente della difesa, circa la autonoma vitalità del feto, per quanto asfittico, all’atto dell’espulsione in ragione del grado di sviluppo raggiunto dai principali apparati ed organi funzionali e circa il decesso intervenuto poco prima che la bambina fosse stata condotta in ospedale per l’assenza dei fenomeni di ipostasi e di rigidità, che compaiono nell’arco di un’ora e mezza – due ore; riteneva dunque che la causa della morte, nel mancato accertamento di patologie, anche di tipo congenito – malformativo, fosse individuabile nell’asfissia per la presenza nei vari organi di segni di rallentamento della circolazione sanguigna, connessa alla insufficienza cardiorespiratoria, nonostante i tentativi di rianimazione praticati in ospedale, responsabili, unitamente ai tentativi neonatali di respirazione autonoma, delle aree di parziale ed irregolare dilatazione alveolare: l’asfissia era stata determinata dalla sinergia tra l’espulsione difficoltosa e la lacerazione incompleta del cordone ombelicale con il mancato clampaggio.
2.6 In riferimento agli altri motivi di appello la Corte di Assise di Appello rilevava che:
a) l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla coimputata L. quanto alle affermazioni etero accusatorie non comprometteva il giudizio di reità a carico della F., in quanto l’unico elemento a suo carico desumibile da tali dichiarazioni, ossia il galleggiamento del corpicino del neonato all’interno del bidet, poteva essere desunto anche dalle stesse dichiarazioni della F., la quale aveva affermato di avere preso la bambina dentro il water e di averla poggiata nel bidet e da quelle della P. circa la presenza di sangue e qualcos’altro in tal sanitario.
b) Dalle dichiarazioni del padre e del ******** non era deducibile che la F. avesse versato in stato d’incapacità di intendere e di volere per la gravità delle condizioni fisiche, determinata dall’imponente perdita di sangue e dal trauma subito; per quanto sotto shock, sia fisico che psicologico, per avere affrontato un parto in condizioni di solitudine e di precarietà, l’imputata aveva mostrato di saper compiere gesti deliberati, connotati dalla volontà di impedire che la creatura potesse continuare a vivere, quali il partorire, stando seduta sul water, prendere la neonata e metterla all’interno del bidet senza assumere alcuna cautela o atteggiamento protettivo, ricomporsi, tirando su le mutandine e non rivelare la presenza del corpicino durante il percorso verso l’ospedale, nemmeno alla madre.
c) Non era dimostrato dalle acquisizioni probatorie che l’imputata non avesse impedito ad altri di entrare in bagno e darle soccorso, per averlo chiesto alla D.V. quando costei era entrata nel bagno, circostanze smentite da quest’ultima, mentre il fratello dell’imputata non aveva potuto assistere a tutte le fasi dell’episodio delittuoso e non aveva personalmente verificato se la porta del bagno fosse stata chiusa a chiave o meno.
3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata a mezzo del suo difensore per dedurre i seguenti motivi.
3.1 Violazione di legge in relazione agli artt. 603, 495 comma 2, 178 lett. c) cod. proc. pen., in quanto la Corte territoriale, disposta la rinnovazione dell’esame dei consulente tecnici dell’accusa, aveva rifiutato l’esame del consulente della difesa, perché, pur ipotizzando un suo ulteriore apporto di sapere scientifico, lo stesso avrebbe determinato il permanere del contrasto valutativo e comunque per avere rinunciato la difesa ad esercitare le proprie prerogative nel corso dell’esame dei consulenti della parte pubblica; al tempo stesso aveva escluso di dar corso ad una perizia che avrebbe potuto offrire soluzione a tale contrasto. In tal modo aveva erroneamente omesso di valutare che la facoltà per la difesa di offrire l’apporto del proprio tecnico a confutazione di giudizi rassegnati dal consulente del P.M., il cui rinnovato esame era stato disposto d’ufficio dal giudice d’appello, non poteva rientrare nello schema della disciplina dettata dall’art. 603 cod. proc. pen. e che comunque il diniego di tale facoltà aveva alterato la parità tra le parti processuali e pregiudicato la possibilità di adeguata difesa sotto il profilo scientifico dell’imputata, nonché precluso alla Corte stessa una fonte dalla quale trarre il proprio convincimento. Inoltre, la prestata rinuncia a controesaminare i consulenti del P.M. non poteva essere interpretata come implicita rinuncia anche ad esaminare il proprio consulente di parte sugli stessi temi, risultando assiomatica e non fondata su un precetto normativo l’equiparazione tra le due facoltà.
3.2 Violazione dell’art.606 lett. b) ed e) con riferimento agli artt. 604, 220, 495 cod. proc.pen. per il rifiuto di espletamento di perizia medico-legale, sollecitata sin dal giudizio di primo grado, motivato in nome della pretesa esaustività dell’istruttoria, frutto del recepimento preconcetto delle tesi dei consulenti dell’accusa senza rilevare che il persistente contrasto tra tecnici avrebbe richiesto l’intervento risolutore di un giudizio peritale.
3.3 Violazione dell’art.606 lett. b) ed e) con riferimento agli artt. 575-577 cod. pen. in relazione alla ritenuta vitalità del neonato; alla volontaria preclusione e soccorso ed alla capacità di intendere e volere dell’imputata.
3.3.1 La motivazione era mancante o manifestamente illogica laddove:
– aveva affrontato la questione pregiudiziale della permanenza in vita della neonata al momento dell’espulsione dal canale di parto, circostanza affermata sulla scorta di due elementi, costituiti dalla presenza di un ematoma subgaleale e dell’infiltrato emorragico del cordone ombelicale nel punto di lacerazione, possibile solo in un soggetto ancora in vita, concludendo che la morte della neonata si era verificata a causa del concorso delle difficoltà di espulsione del feto e della lacerazione incompleta del cordone ombelicale, mentre in modo apodittico aveva addebitato la parziale ed irregolare dilatazione alveolare all’inizio di una respirazione autonoma, non alle altrettanto possibili manovre rianimatorie, praticate in ospedale dopo il decesso;
– aveva escluso che le impronte sul collo della neonata fossero state imprese da un doppio giro di funicolo con giustificazioni palesemente contraddittorie in relazione alla presenza delle ipostasi, solitamente riscontrabili nei neonati deceduti nell’immediatezza del parto, anche se poi subito dopo i consulenti dell’accusa avevano sostenuto che tale irregolare distribuzione non sarebbe stata provocata dai giri di funicolo poiché tale fenomeno avrebbe avuto necessità di almeno 12 – 16 ore perché le ipostasi potessero comparire e stabilizzarsi, mentre erano state pacificamente riscontrate dal personale del pronto soccorso, cui la neonata era giunta poco dopo il parto;
– aveva lamentato l’assenza di perdita di cellule dell’epitelio cutaneo, accertata dai consulenti nel corso dell’autopsia;
– aveva rilevato infarcimenti emorragici sul lato sinistro del collo della neonata, ma non anche a destra, ove era presente una sola unghiatura, cosa rimasta inspiegata;
– aveva trascurato gli evidenti segni di sofferenza fetale nella fase dell’espulsione extrauterina per la presenza di meconio, di cianosi al volto ed al tronco, pur riconosciuti anche dai consulenti del P.M.;
– aveva ignorato il significato attribuibile all’edema subgaleale, riconducibile al traumatismo indotto dalle difficoltà del feto di disimpegnare il canale del parto;
– in merito alle manovre di soffocamento aveva ritenuto fossero state esercitate, partendo da casi noti in letteratura, ossia da un ragionamento teorico senza porle in relazione alla presenza di unghiature sul collo della neonata, indicative della presa della neonata, non dell’azione di privarla della possibilità di respirare.
3.3.2 La questione della richiesta di aiuto da parte dell’imputata, rivolta alla D.V. in contrasto con la tesi accusatola, che postula la chiusura a chiave della porta del bagno ed il rifiuto di farvi entrare la datrice di lavoro, era stata affrontata con motivazione sbrigativa e senza valutare l’interesse della seconda a negare tale circostanza per poter restare indenne da responsabilità.
3.3.3 L’esclusione dello stato di incapacità di intendere e volere era stata giustificata in base a meri ed asintomatici comportamenti materiali senza investigare se l’imputata fosse stata presente a se stessa e senza considerare l’imponente perdita di sangue, oggettivamente accertata, lo stato psichico di estraniamento, testimoniato da D.F., il che giustificava anche il silenzio mantenuto sul parto nel corso del viaggio verso l’ospedale.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1. Il tema centrale del procedimento verte sull’accertamento delle cause del decesso della neonata partorita dall’imputata in data (omissis), giunta già priva di vita al nosocomio presso il quale era stata trasportata dai Carabinieri, dopo il loro rinvenimento all’interno di una busta di plastica collocata nello spazio tra i sanitari del bagno dell’abitazione di R.D.V. in (omissis).
1.1 Va premesso che l’accusa mossa all’imputata postula il presupposto che la morte della neonata sia stata cagionata da asfissia acuta, provocata da erronee manovre compiute durante il parto dalla madre, dall’incompleta lacerazione del cordone ombelicale e dalla voluta intrapresa del parto da sola in mancanza di adeguata assistenza da parte di personale sanitario e con l’altrettanto deliberata preclusione di qualsiasi soccorso da parte delle altre persone presenti nell’abitazione della sua datrice di lavoro D.V. . Già nella descrizione della condotta, come rilevato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, è rinvenibile la contestazione di comportamenti antigiuridici, di differente consistenza e rilevanza: da un lato l’erronea manovra di disimpegno fetale e di assecondamento della placenta durante l’espulsione, in sé difficoltosa, che sembra alludere ad un atteggiamento di imperizia e quindi di colpa; dall’altro la voluta rinuncia ad un’assistenza professionale ed il rifiuto dell’aiuto e del soccorso che pur le altre coimputate avrebbero potuto prestarle, con un comportamento antidoveroso, gravemente trasgressivo del dovere genitoriale di protezione della vita e della salute della figlia, che, seppur non intenzionalmente diretto a cagionarne la morte, si è caratterizzato per l’accettazione del rischio dell’evento letale, quanto meno a livello di dolo eventuale.
E questa è l’interpretazione dell’accusa, offerta dalla sentenza di primo grado, in ciò confermata da quella di appello, che hanno ritenuto la stessa riscontrata dagli accertamenti medico-legali condotti dai consulenti del Pubblico Ministero.
1.2 In particolare, detti consulenti hanno sostenuto che la neonata al momento dell’impegno del canale di parto e sino alla fuoriuscita era stata viva e vitale e hanno indicato a conferma di tale assunto la presenza dell’ematoma subgaleale, dell’infiltrato emorragico del cordone ombelicale, entrambi fenomeni verificabili solo se la persona è in vita e capace di respirazione, delle aree di parziale ed irregolare dilatazione alveolare, compatibili con i tentativi di respirazione autonoma, prima ancora che con le manovre respiratorie praticatele all’atto del tentativo di rianimazione in ospedale e delle petecchie emorragiche e tracce di scarsa infiltrazione emorragica nei tessuti molli profondi della zona latero-cervicale sinistra della testa. Hanno altresì adombrato l’ipotesi che la neonata fosse stata volutamente vittima di una manovra di soffocamento, posta in essere dalla madre, che avrebbe potuto non lasciare segni e non richiedere l’applicazione di una forza particolare.
1.3 A tali giudizi si contrappongono quelli del consulente tecnico della difesa, che ha negato il necessario presupposto fattuale della condotta, ossia l’essere stata la neonata viva e vitale all’atto dell’espulsione; secondo tale ricostruzione alternativa il decesso si era verificato prima dell’espletamento del parto e dell’espulsione della testa del feto a causa di asfissia perinatale, dimostrata dalla presenza sul collo della neonata di un doppio solco, indicativo di un doppio giro di funicolo, che, avendo determinato l’irregolare progressione del feto nel canale di parto, impedita anche dalla ridotta lunghezza del cordone, aveva provocato un’ipossia cerebrale letale per stasi venosa in ragione del prolungamento dei tempi di espulsione. Elementi fattuali di riscontro sarebbero rinvenibili nell’ematoma subgaleale in zona parieto-temporale bilaterale e del vertice; nell’ampia soffusione ematica sub-aracnoidea nei lobi parieto-temporali; nella spiccata congestione dei vasi intraparenchimali e meningei e nelle piccole aree di infarcimento emorragico nella regione laterale sinistra del collo, esiti dell’ostruzione delle giugulari, causata dal doppio giro di funicolo. Inoltre, ad ulteriore conferma dello stato di sofferenza cerebrale acuta del feto il prof. S. ha indicato la porpora delle sierose pleuriche, la presenza di meconio a livello dello sfintere anale, la cianosi del volto e della parte superiore del corpo a differenza della restante parte di colore pallido. Ha, infine, rilevato tracce di una patologia epatica congenita nella bambina, responsabile di improvviso decesso alla nascita.
Da entrambe le pronunce di merito emerge dunque una sostanziale difformità nelle conclusioni dei tecnici incaricati dalle parti nell’individuazione delle cause dei fenomeni, oggettivamente sussistenti e rilevati in sede autoptica e delle condizioni del corpicino della neonata, con l’unica eccezione della glicogenosi epatica, decisamente negata dai consulenti del P.M..
2. La Corte di Assise di Appello, respinte tutte le istanze di rinnovazione dell’istruttoria avanzate con l’atto di appello, dopo avere proceduto d’ufficio al rinnovato esame dei consulenti dell’accusa, ne ha recepito i giudizi e ha ritenuto di poter replicare alle contestazioni mosse dal consulente della difesa, ampiamente trattate nell’impugnazione e di confermare quindi il giudizio di responsabilità, rilevando:
a) il doppio solco riscontrato sulla superficie del collo del neonato, con avallamenti più evidenti sul versante sinistro, non era riconducibile all’impronta lasciata dal funicolo ombelicale e dalla pressione da questo esercitata sulle strutture vascolari, ma costituiva un’area riconducibile all’irregolare distribuzione di ipostasi cutanee del collo, comuni a tutti i neonati deceduti nell’immediatezza del parto ed allo stazionamento in cella frigorifera del cadaverine Inoltre, l’ipotizzato doppio giro di funicolo intorno a collo avrebbe richiesto un lasso di tempo di almeno 12-16 ore dopo la morte per far comparire le ipostasi, avrebbe dovuto dar luogo ad un solco cutaneo lungo tutta la circonferenza del collo, a seguito della perdita di cellule dell’epitelio cutaneo, conseguente allo strisciamento del cordone e ad un ampio infiltrato ematico nei tessuti molli profondi lungo tutto il collo, quale effetto dello strangolamento, tutte tracce non riscontrate, mentre la presenza di piccole aree di infarcimento emorragico sul lato sinistro del collo, corrispondenti alle unghiature determinate dalla presa della neonata e dal posizionamento delle quattro dita della mano, quando la stessa era ancora in vita, dimostrava l’assenza del doppio giro di funicolo, che non avrebbe consentito di lasciare quei segni. Gli stessi non potevano nemmeno essere attribuiti alle manovre poste in essere dalla persona che aveva rimosso il corpicino dal bidet, ove l’avrebbe visto galleggiare a faccia in giù nell’acqua mista a sangue, la quale, se mossa da un atteggiamento rispettoso e nell’incertezza sulle sue condizioni, avrebbe dovuto, invece, sollevarlo delicatamente con le braccia al di sotto, non già prenderlo per il collo e nemmeno riporto come se si fosse trattato di spazzatura all’interno di una busta in cellophane.
b) L’assenza di segni specifici sul naso e sulla bocca della neonata non poteva ritenersi incompatibile con il compimento di manovre di soffocamento, la cui esecuzione non richiedeva l’uso di una particolare forza, ma soltanto di una pressione leggera mediante il posizionamento di una mano sul volto del neonato per coprirne gli orifizi respiratori.
c) L’esistenza di patologia epatica, responsabile di morte improvvisa del neonato alla nascita, doveva escludersi per l’accertata normalità delle condizioni del fegato ai rilievi anatomopatologici ed istologici, nonché all’esito di nuova ricerca dei polisaccaridi, espletata dai consulenti dell’accusa, per l’assenza in letteratura di casi mortali di glicogenosi alla nascita, senza cioè che il bambino possa respirare, e per l’incongruenza di una glicogenosi epatica non accompagnata da alterazioni metaboliche, interessanti altri organi.
3. Ebbene, a fronte di questo percorso motivazionale emerge la fondatezza del primo motivo di gravame, incentrato sulla violazione del principio del contraddittorio.
3.1 Premesso che il nuovo esame dei consulenti del P.M. è stato disposto d’ufficio per decisione della Corte di Assise di Appello per sollecitare la loro valutazione dei rilievi critici formulati dal tecnico della difesa nel corso dell’istruttoria condotta nel primo grado ed al fine “di non lasciare inesplorate ed approfondire tutte le aree tematiche afferenti l’accertamento delle cause e delle modalità della morte del neonato”, il rigetto dell’istanza della difesa di poter esaminare il proprio consulente è stata respinta in ragione del fatto che essa era stata posta nelle condizioni di controesaminare i predetti consulenti, essendo il controesame la “sede fisiologica deputata al vaglio critico delle tesi contrapposte”, per cui, avendovi rinunciato, era “ovvio e consequenziale” il rigetto della sua richiesta di esame del c.t.p. “verosimilmente foriera di ulteriori motivi di contrasto valutativo”.
3.1.1 In tal modo però la Corte territoriale, dopo avere riconosciuto la non esaustività dell’istruttoria condotta nel grado precedente e la necessità di un approfondimento con l’acquisizione di ulteriori informazioni sul piano scientifico in ordine al tema centrale del processo, ha negato alla difesa la possibilità di offrire la prova contraria sui fatti oggetto della prova a carico in violazione del diritto alla prova di cui agli artt. 190 cod. proc. pen. e 495 cod. proc. pen., comma 2, così alterando anche la posizione di parità tra le parti e compromettendo la piena esplicazione del contraddittorio. Né sul punto è condivisibile l’assunto in base al quale le facoltà difensive avrebbero dovuto esplicarsi in via esclusiva in sede di controesame dei consulenti dell’accusa, che la difesa avrebbe potuto condurre con l’ausilio del proprio consulente, dal momento che tale opportunità non può ritenersi pienamente fungibile rispetto all’esame del consulente stesso, in possesso di cognizioni e competenze specialistiche non integralmente ed efficacemente comunicabili nell’immediato al patrocinatore per consentirgli di affrontare l’adempimento con piena consapevolezza dei temi scientifici da trattare. Inoltre, l’omissione dei giudici di appello è tanto più rilevante se si pensa che il prof. S. era stato ritualmente indicato nella lista testimoniale della difesa e che l’esame dei consulenti ai sensi dell’art. 501 cod. proc. pen. viene equiparato processualmente a quello dei testimoni.
3.1.2 Non ha poi alcun fondamento giuridico, ma nemmeno razionale, l’esclusione dell’esame del predetto consulente in quanto “foriero di ulteriori motivi di contrasto valutativo”, secondo quanto si è detto in motivazione della sentenza impugnata: premesso che la finalità del processo è l’accertamento della verità dei fatti, in nome della quale era stata disposta la rinnovazione dell’esame dei consulenti del P.M., la dimostrazione dei fatti sul piano scientifico non può ritenersi raggiunta soltanto a fronte della concordia delle opinioni proposte dalle parti, ma deve scaturire dal confronto dialettico delle tesi eventualmente contrapposte e dalla verifica di quella più convincente per la validità del metodo e del procedimento seguito.
3.1.3 Nel caso in esame la Corte di secondo grado ha respinto l’istanza, dando per scontato che il contrasto di vantazioni già emerso, non solo non si sarebbe risolto, ma non avrebbe nemmeno apportato al processo possibili elementi, né nuovi, né utili per la decisione e ciò sulla base di un preconcetto, non potendo conoscere anticipatamente il contenuto dell’esame, ma soltanto le tematiche sul quale si sarebbe sviluppato. In tal modo ha sottratto al processo l’apporto di informazioni scientifiche e reso una giustificazione illogica, tanto più rilevante in quanto la soluzione prescelta, per quanto si dirà, non è risolutiva e soddisfacente.
3.1.4 Giova richiamare al riguardo il costante insegnamento di questa Corte, secondo il quale in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, anche in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, così come può fare a fronte di un contrasto tra perizia e consulenza tecnica di parte, quella che ritiene condivisibile, ma ha l’onere di esternare con motivazione accurata ed approfondita le ragioni della scelta, il contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti, attraverso un percorso logico congrue Se dunque la decisione si fondi su una valutazione congrua e completa, non potrà essere sindacata nel giudizio di legittimità, perché, trattandosi di accertamento di fatto, ne è preclusa una differente valutazione (Cass. sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, ******, rv. 253512; sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, **********, rv. 241907; sez. 4, n. 46359 del 24/10/2007, *********, rv. 239021).
4. Nel caso in esame l’adesione alle spiegazioni fornite dai consulenti dell’accusa non fornisce comunque una risposta logica, esauriente e convincente sul piano razionale degli eventi che hanno condotto alla morte della neonata, dal momento che la sentenza impugnata ha ritenuto che la stessa fosse nata viva e capace di vitalità autonoma, che fosse deceduta poco prima di esser portata in ospedale per la mancanza di ipostasi e rigidità che compaiono un’ora e mezza-due ore dopo il decesso, che la causa della morte fosse stata l’asfissia provocata dal “sinergismo fisiopatologico tra l’espulsione difficoltosa e la lacerazione incompleta del cordone ombelicale con il mancato clampaggio”.
4.1 Resta però inspiegata in primo luogo l’individuazione dell’esatto orario del decesso, profilo ignorato dai giudici di merito, il che è tanto più rilevante in quanto dalla sentenza di primo grado emerge che i Carabinieri della Compagnia di (omissis), allertati alle ore 12.40 dai colleghi della stazione di (omissis) circa le cure praticate all’imputata presso l’ospedale di (omissis), ove la F. era giunta alle ore 11.55, cure indicative di un parto avvenuto in quella stessa mattinata, avevano potuto raggiungere il negozio della D.V. alle ore 14.00, quindi avevano raccolto le prime informazioni dai presenti e dopo aver ispezionato il bagno, quindi a distanza di tempo ulteriore, avevano rinvenuto il sacchetto di plastica col corpicino all’interno e si erano precipitati in ospedale, ma la neonata era già deceduta. Inoltre, da quanto riferito dal medico che aveva prestato le prime cure alla F., il parto era avvenuto verso le ore 9.00-10.00 di quella mattina, mentre per quanto riportato sempre nella sentenza di primo grado la coimputata I.L., zia della D.V., aveva riferito che, entrata nel bagno ove era avvenuto il parto dopo che ne era uscita la F., aveva visto il bidè pieno di acqua, sangue e stracci ed all’interno il corpo di un neonato galleggiare a faccia in giù come una bambola, di averne constatato la morte e quindi di averlo riposto in un sacchetto di plastica. Inoltre, anche l’imputata aveva affermato di avere partorito da sola seduta sul water e rapidamente, di essersi strappata la placenta, di aver raccolto la bambina caduta dentro il water e di aver appoggiata nel bidè. Ma come obiettato anche dal Procuratore Generale nel corso della requisitoria deve escludersi la fondatezza di quanto dedotto nella sentenza di primo grado, che ha indicato nell’aver collocato la neonata nel bidè pieno d’acqua una ulteriore manovra volutamente esiziale, perché se la bambina fosse stata ancora viva e capace di respirazione autonoma all’atto di essere collocata nel bidè con l’acqua e se fosse morta dopo, ossia poco prima di essere trasportata in ospedale, come sostenuto dai consulenti del P.M., avrebbero dovuto essere rinvenute tracce di acqua nei polmoni, cosa non verificatasi.
4.2 Inoltre, gli stessi consulenti giungono a sostenere possibile, ottenendo in ciò l’adesione della Corte di Assise di Appello, che l’asfissia della neonata sia stata provocata, non come sostenuto inizialmente dalla specifica evoluzione del parto e dalla mancanza di assistenza di personale specializzato per volontà della partoriente che così avrebbe accettato il rischio della morte della figlia, quanto da una manovra soffocatoria deliberata della madre, condotta mai contestata nell’imputazione e mai prospettata nemmeno durante le indagini preliminari, come fondatamente sostenuto in ricorso, che non può ricevere conferma dalla presenza di unghiature sul collo della bambina, ritenute, invece, effetto della presa per facilitare l’espulsione o per raccoglierla ad espulsione avvenuta.
4.3 Ma in tal modo la stessa sentenza pare prospettare due dinamiche dei fatti e due cause alternative dell’evento morte, da un lato l’espulsione difficoltosa del feto e la lacerazione incompleta del cordone ombelicale con mancato clampaggio, dall’altro il soffocamento voluto e deliberato, il che è frutto di un’insanabile contraddizione, anche perché le due ipotesi postulano comportamenti materiali diversi ed un differente atteggiamento psicologico, oltre che la necessità di una specifica contestazione dell’addebito nel secondo senso.
Deve dunque concludersi che, come ricostruiti i fatti dai giudici di merito, se è certo lo stato di asfissia insorto nella neonata, non altrettanto certo è il fattore causale che l’ha determinato, il che rende censurabile la decisione di ritenere dimostrata la tesi accusatola in assenza di una sicura base dimostrativa, anche di natura scientifica, e di non procedere a perizia, magari collegiale.
La sentenza impugnata merita dunque di essere annullata con rinvio nel cui giudizio dovrà porsi rimedio alla violazione del diritto alla prova della difesa ed eventualmente disporsi perizia onde accertare in modo definitivo le cause del decesso della neonata.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Assise di Appello di Napoli.

Redazione