Morte del reo: per la parte civile la prescrizione decorre dalla dichiarazione giudiziale di improcedibilità (Cass. n. 8348/2013)

Redazione 05/04/13
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Svolgimento del processo

B.G., in proprio e quale erede di ******, nonchè quale procuratore speciale di **** (tutti nella qualità di eredi di B.A., deceduto a seguito di un sinistro stradale del quale era stato ritenuto responsabile, a causa della condotta di guida tenuta nell’occasione, il conducente del veicolo antagonista V.N.), ha impugnato per cassazione, sulla base di due motivi, la sentenza con la quale – in riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell’appello della Compagnia assicuratrice – la Corte d’Appello di Napoli ne aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni per intervenuta prescrizione del relativo diritto.

A giudizio della Corte partenopea, la vicenda processuale doveva ritenersi disciplinata dal disposto dell’art. 2947 c.c., comma 3, quanto all’ipotesi in cui il fatto dannoso sia considerato dalla legge come reato e per il reato sia stabilita una prescrizione diversa da quella biennale (art. 2947, comma 2).

Tale prescrizione, difatti, va applicata, per espresso disposto legislativo, anche all’azione civile: tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati nei primi due commi (il secondo, nella specie), con decorrenza dalla data di estinzione del reato.

Per la morte di B.A. fu instaurato procedimento penale per omicidio colposo a carico del conducente dell’autocarro, procedimento nel quale gli eredi della vittima si costituirono parte civile il 15 marzo 1985;

pendente il processo d’appello, l’imputato morì, e la Corte di Appello dichiarò l’estinzione del giudizio, con la conseguente formula, il 25 marzo 1994.

A giudizio della corte territoriale, il Tribunale di Benevento aveva correttamente ritenuto che la costituzione di parte civile nel processo penale fosse idonea ad interrompere, ipso facto, il decorso legale della prescrizione. Non altrettanto correttamente, il Tribunale aveva per converso ritenuto che tale principio operasse anche nel caso in cui il reato era estinto per morte del reo.

Essendo la morte del reo un fatto operante ipso iure, difatti, la prescrizione biennale di cui all’art. 2947 c.c., comma 2, non avrebbe potuto che decorrere “dalla data di estinzione del reato”, coincidente con quella della morte del reo, indipendentemente dalla conseguenza giuridica dell’evento morte posto a base del provvedimento giurisdizionale che definisce il processo.

Nel caso in esame, con il decesso dell’imputato in data 20 febbraio 1993, il reato doveva, pertanto, ritenersi automaticamente estinto, benchè la declaratoria di estinzione fosse intervenuta successivamente. Entro il 20 febbraio 1995 gli eredi B. sarebbero stati conseguentemente tenuti ad interrompere la prescrizione biennale del diritto, mentre avevano provveduto all’incombente solo con raccomandata ricevuta l’8 marzo 1996. Ricorre avverso tale sentenza il B. rappresentando a questa corte due motivi di censura.

La Compagnia assicuratrice resiste con controricorso che contiene ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Con ordinanza 19 marzo 2012, n. 4362, la terza sezione civile, ritenendo che la decisione del ricorso implicasse la soluzione di una questione di massima di particolare importanza, ha rimesso gli atti al primo presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, che li ha a sua volta trasmessi a queste sezioni unite.

La causa è stata discussa all’udienza pubblica del 6 novembre 2012.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., commi 1 e 2, art. 2945 c.c., comma 2, art. 2947 c.c., comma 3, nonchè degli artt. 22, 23, 24, 25, 91, 92 e 102 c.p.p., del 1930, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte d’Appello tenuto presente che la costituzione di parte civile, effettuabile secondo il cod. proc. pen. del 1930 fin dall’istruzione, aveva il potere di far verificare il c.d. effetto interruttivo – sospensivo “permanente” della prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide il processo in cui è stata spiegata.

Il motivo deve essere accolto.

Sostiene il ricorrente che, a cagione dell’effetto interruttivo permanente della costituzione di parte civile nel procedimento penale, il termine di prescrizione non inizierebbe a decorrere nel momento di estinzione del reato (nella specie, dalla morte del reo), bensì da quello in cui diviene irrevocabile la sentenza con la quale il giudice penale, dichiarando di non doversi procedere, chiude e definisce il giudizio – sentenza che contiene, anche implicitamente, un’ulteriore statuizione definitiva, id est la dichiarazione che non vi è luogo a decidere sulla controversia civile per essere venuta meno la potestas decidendi (in tal caso il rapporto processuale civile, costituito nell’ambito del processo penale, viene a normale esaurimento). Solo in tale momento, infatti, cesserebbe l’effetto permanente dell’interruzione della prescrizione, mentre una qualsiasi, diversa interpretazione costituirebbe violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

La giurisprudenza costituzionale della quale s’invoca, da parte del ricorrente, un’interpretazione conforme da parte di questa S.C. si fonda su una “lettura” sistematica dell’ultima parte dell’art. 2947 c.c., comma 3, che la consolidata giurisprudenza di questa corte riserva ad una causa estintiva del reato – l’amnistia – diversa dalla prescrizione, ma diversa anche dalla morte del reo.

Ricorrendo tale causa estintiva, difatti, questa Corte ha sempre opinato che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli derivante da illecito considerato dalla legge come reato ricominci a decorrere fin dalla data della morte del danneggiante, e non anche da quella del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell’improcedibilità dell’azione, anche nell’ipotesi in cui il danneggiato si sia ritualmente costituito parte civile nel processo penale. Osserva, in proposito, il collegio, come il non procrastinabile mutamento di giurisprudenza in subiecta materia trovi il suo primo fondamento proprio nel dictum del giudice delle leggi, volta che la Corte costituzionale ha espressamente dichiarato non fondate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2947 c.c., comma 3, – nella parte in cui, anche in caso di morte del reo, fa decorrere dalla data di estinzione del reato il termine prescrizionale stabilito ai primi due commi dello stesso articolo – affermando che la disposizione in esame, “nel disciplinare il modo di essere e di operare della prescrizione, del quale la decorrenza del termine è una delle manifestazioni, attiene all’estinzione del diritto soggettivo non alla tutela giurisdizionale, operando la prescrizione sul terreno sostanziale del diritto non su quello della sua protezione processuale” (Corte cost. 20 giugno 1988 n. 732). Il Giudice delle leggi ha difatti aggiunto, in motivazione, che “la parte lesa è comunque efficacemente tutelata dalla possibilità di partecipare al procedimento penale costituendosi parte civile, cosi da porsi al riparo ogni effetto sfavorevole. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il rapporto processuale instaurato con l’esercizio dell’azione civile nell’ambito del procedimento penale non si estingue, ma perviene ad un normale esaurimento con una pronuncia implicita di non luogo a decidere per essere venuta meno la potestas iudicandi del giudice penale, a norma dell’art. 23 c.p.p. del 1930: resta quindi fermo, in ordine alla prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, l’effetto interruttivo permanente della costituzione di parte civile, e la prescrizione non ricomincia a decorrere se non dal momento in cui sia divenuta irrevocabile la sentenza del giudice penale che abbia dichiarato di non doversi procedere a causa della estinzione del reato”.

La ricognizione, da parte del Giudice delle leggi, della portata dell’art. 2947 c.c., comma 3, sulla base del “diritto vivente” risultante dalla giurisprudenza di questa Corte venne, peraltro, inopinatamente ritenuta “viziata da un eccesso di generalizzazione”, nel senso che il filone giurisprudenziale cui la Corte costituzionale aveva inteso riferirsi – invero in modo del tutto tranchant – non si sarebbe riferito “a tutte le cause di estinzione del reato, restando infatti esclusa l’ipotesi di estinzione del medesimo per morte dell’imputato, avente effetti automatici ed immediati” (esplicitamente in tal senso, Cass. 17 marzo 1997 n. 7058, in motivazione).

E’, in realtà, con esplicito riferimento alla sola amnistia che questa Corte ha costantemente riaffermato la tesi – sostenuta da autorevole dottrina manualistica della metà del secolo scorso – secondo cui anche rispetto al diritto risarcitorio de quo operino le normali cause di interruzione o di sospensione della prescrizione, sostenendosi, in particolare, che, quando vi sia stata costituzione di parte civile nel giudizio penale, la domanda giudiziale contenuta nella dichiarazione di costituzione di parte civile determina l’interruzione permanente del termine di prescrizione del diritto al risarcimento per tutta la durata del procedimento penale, e toglie valore al periodo di tempo già decorso, facendo ricominciare ex nunc il termine di prescrizione, dopo il passaggio della sentenza penale in cosa giudicata.

In tale ordine di idee, si è costantemente affermato che “in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ai fini dell’applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, ove il fatto dannoso sia considerato dalla legge come reato, poi estinto per amnistia, il termine prescrizionale decorre dal provvedimento di clemenza e non dalla sentenza applicativa del beneficio; tuttavia, allorchè vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale, avendo essa un effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata del processo penale, il termine di prescrizione decorre dalla data della sentenza di proscioglimento per amnistia, anzichè dal provvedimento di clemenza” (in termini, ex permultis, Cass. n. 19741/2011; 10026/2000, in motivazione; 9942/1998; 60491998, 11835/95; 5101/1993; 7937/1991). La permanenza dell’effetto interruttivo della prescrizione, conseguente alla costituzione di parte civile nel processo penale, è stata affermata da questa Corte anche nella ipotesi in cui il reato si estingua per prescrizione – vicenda processuale al di fuori dell’”eccezione all’eccezione” contemplata nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 2947 c.c. -, predicandosi il principio di diritto secondo il quale la disposizione in parola “va interpretato nel senso che, qualora il fatto illecito generatore del danno sia considerato dalla legge come reato, se quest’ultimo si estingue per prescrizione, si estingue pure l’azione civile di risarcimento, data l’equiparazione tra le due, a meno che il danneggiato, costituendosi parte civile nel processo penale, non interrompa la prescrizione ai sensi dell’art. 2943 cod. civ.; tale effetto interruttivo, che si ricollega all’esercizio dell’azione civile nel processo penale, ha carattere permanente, protraendosi per tutta la durata del processo: in caso di estinzione del reato per prescrizione, detto effetto cessa alla data in cui diventa irrevocabile la sentenza che dichiara l’estinzione, tranne che la parte civile abbia revocato la costituzione o non abbia, comunque, coltivato la pretesa, venendo in tal caso meno la volontà di esercitare il diritto che è alla base dell’effetto interattivo” (Cass. n. 872/2008; 10026/2000, in motivazione).

La permanenza dell’effetto interattivo non è stata, di converso, fino ad oggi riconosciuta da questa Corte allorchè la causa estintiva del reato sia la morte del reo, ritenendosi prevalente e determinante, in questa ipotesi, il sopravvenuto difetto di potestas iudicandi del giudice penale rispetto al fatto/reato, che si realizza al verificarsi della causa estintiva (morte del danneggiante), a prescindere dalla dichiarazione giudiziale del suo avvenimento.

Al riguardo, questo giudice di legittimità, pur consapevole della evidente disomogeneità della soluzione rispetto a quella accolta, invece, in tema di estinzione del reato per amnistia, è solito affermare che “la costituzione di parte civile compiuta in un processo penale successivamente estintosi per morte dell’imputato ha effetto interruttivo soltanto istantaneo, e non anche permanente, della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, poichè, con la verificazione dell’evento morte, il danneggiato consegue la certezza giuridica della inaccoglibilità assoluta della domanda risarcitoria proposta in sede penale, con la conseguenza che fin dalla data della morte del danneggiante (e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza penale di dichiarativa della improcedibilità dell’azione), il termine prescrizionale ricomincerà a decorrere a tutti gli effetti (in termini, Cass. n. 7058/1997, preceduta dalle conformi Cass. 5101/1993, 2422/90, 4665/1989, 6337/1988, 40291983, 2534/1982, 6274/1980 e seguita da Cass. 25126/2010 e 24808/2005, nonchè da Cass. 13726/1999, che ha ribadito lo stesso principio di diritto, sia pure in relazione ad una costituzione di parte civile comunque inefficace, perchè avvenuta dopo la morte dell’imputato). Dal riferito contesto interpretativo, emerge la rilevanza, id est la particolare importanza (che giustifica l’assegnazione del ricorso a queste sezioni unite), che la odierna decisione presuppone, essendo la Corte chiamata ad esprimersi sulla legittimità dell’orientamento sinora seguito. E’ convincimento di queste sezioni unite che tale orientamento non risulti ulteriormente predicabile.

Sia l’amnistia che la morte del reo, difatti, sono entrambe cause estintive del reato (e ciò è a dirsi quantomeno con riguardo all’amnistia c.d. “propria”, quella, cioè, funzionale all’estinzione del reato, promulgata prima della comminazione della pena).

Ne consegue che, rispetto ad entrambe, la pronuncia, da parte del giudice, dell’improcedibilità dell’azione per estinzione del reato assume carattere meramente dichiarativo, e che la relativa operatività non risulti poi, nella sua intima sostanza, significativamente dissimile, essendo consentito al danneggiato, anche in caso di amnistia, prendere atto e contezza dei relativi effetti sul processo sin dal giorno dell’emanazione del relativo decreto.

La evidente consonanza delle due vicende estintive impone un più approfondito esame (ed una ben diversa soluzione) in punto di ragionevolezza di un trattamento differenziato quanto alla riconosciuta incidenza sull’interruzione del decorso del termine di prescrizione derivante dalla costituzione di parte civile nel processo penale, fino all’accertamento, con sentenza irrevocabile, dell’estinzione del reato.

E’ convincimento del collegio che tale ragionevolezza non sia ulteriormente predicabile.

E’ convincimento del collegio, difatti, che possa dirsi senz’altro sussistente, in entrambe le situazioni, la medesima esigenza di tutelare – nel rispetto del principio di certezza del diritto, e con la funzione di bilanciamento della brevità intrinseca del termine biennale, così stabilito per consentire al convenuto di essere messo in grado di poter efficacemente vincere la presunzione di colpa sancita nell’art. 2054 c.c., comma 1, – il diritto fondamentale della vittima del reato all’accesso alla giustizia (art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; art. 24 Cost.). Anche nel caso in cui l’estinzione del reato dipenda dalla morte del reo, difatti, non si può escludere che il danneggiato sia, sì, nuovamente investito dell’onere di riattivarsi sul piano processuale entro il termine biennale, ma ciò solo dal momento in cui è divenuta irrevocabile la sentenza penale dichiarativa di quella estinzione, avendo egli, sino a quella data, l’indiscutibile diritto a riporre un legittimo affidamento sull’effetto conservativo dell’azione civile negli stessi termini utili per l’esercizio della pretesa punitiva dello Stato contro il responsabile – e, perciò, su una diversa situazione che gli assicurava la salvaguardia del proprio diritto (così, sia pur indirettamente ed implicitamente, in motivazione, Cass. n. 13832/2010).

In questo senso ritiene il collegio che vada interpretato il dictum della Corte costituzionale in subiecta materia, nel senso, cioè, di estendere tout court a tutte le cause di estinzione il regime interruttivo/sospensivo che il processo penale garantisce al danneggiato, non essendo ulteriormente spendibile – a fronte dell’esigenza di piena e incondizionata tutela del diritto di difesa – l’argomento, invero assai fragile, della immediatezza dell’effetto morte rispetto alla presunta mediazione temporale costituita dalla sentenza che dichiari l’estinzione per amnistia del reato per il quale si procede.

Con il secondo motivo, si denuncia Illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 2947 c.c., comma 3, chiedendo che la S. C, in caso di rigetto dell’interpretazione sostenuta nel primo motivo, verifichi la sussistenza dei presupposti per rimettere alla Corte Costituzionale la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., correlata alla disciplina ordinaria derivante dall’interpretazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, nel senso che il termine di prescrizione biennale per l’esercizio dell’azione civile in sede propria per ottenere il risarcimento del danno subito in un incidente stradale decorre – anche in caso di costituzione di parte civile del danneggiato o dei suoi stretti congiunti, eredi ed aventi causa – non già dall’effettiva conoscenza del fatto estintivo (morte del reo) ma dal momento in cui esso si verifica. Il motivo deve ritenersi assorbito nell’accoglimento della prima censura, al pari di quello contenuto nel ricorso incidentale della compagnia assicurativa, concernente le spese del procedimento.

P.Q.M.

La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2012.

Redazione