Misure di prevenzione è ammesso il ricorso per cassazione solo per violazione di legge (Cass. n. 45890/2012)

Redazione 21/11/12
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Considerato in diritto

1. Con unico atto, C.A., D.M. e C. G. ricorrono avverso il decreto 26.5.2011, con il quale la Corte d’appello di Napoli ha confermato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di tre anni e sei mesi, con imposizione di cauzione, applicata ad C.A., ordinando altresì la confisca di immobili, autovetture, depositi e polizze, enunciando unico motivo di “violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. B, D ed E” in relazione alla L. n. 575 del 1965 e L. n. 1423 del 1956 ed all’art. 190 c.p.p., per “gravi carenze motivazionali” e “travisamenti di fatto”.
Il ricorso argomenta enumera quindi i punti in fatto che sarebbero stati travisati dalla Corte d’appello (p. 2), concludendo che tutti quei presupposti di fatto erroneamente interpretati avrebbero portato ad un giudizio sull’attualità “assolutamente illogico” e “disancorato dalle risultanze processuali”, commentando quindi le vicende processuali del C. e argomentandone la valenza probatoria, lamentando infine che nè il Tribunale nè la Corte distrettuale abbiano inteso assumere i testi indicati dalla difesa sulla ricostruzione patrimoniale e “rinnovando” tale ultima richiesta.
1.1 Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.

Diritto

2. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Avverso il decreto della corte d’appello in materia di misure di prevenzione è ammesso il ricorso per cassazione solo per violazione di legge.
Orbene, da un lato la Corte distrettuale ha dato analitico conto degli elementi di prova posti dai primi Giudici a base delle misure adottate, argomentandone le ragioni di condivisione, confrontandosi con le censure difensive (p. 5) e spiegando perchè le stesse dovessero essere disattese, in particolare sul punto della pericolosità qualificata del preposto e della sua attualità, escludendo sussistere prova del recesso dall’associazione ovvero della cessazione della stessa (p. 6), nonchè della fondatezza delle ragioni di ritenuta sproporzione tra i redditi leciti dichiarati e il valore dei beni (p. 9-10).
Dall’altro, nel caso di specie lo stesso primo paragrafo che introduce l’atto di comune impugnazione enuncia vizi che attengono al contenuto della motivazione, che neppure si deduce essere del tutto omessa o apparente. Ciò che risulta poi confermato e concretizzato nello svolgimento delle deduzioni, con il ripetuto richiamo all’”erronea” valutazione delle risultanze che via via sono infatti indicate e commentate.
Quanto infine alla censura di violazione dei diritti di difesa per l’omesso esame di testi a discarico, la stessa, a fronte della specifica ed articolata motivazione in fatto dei due Giudici del merito (per la Corte d’appello le richiamate p. 9 e 10), risulta dedotta in termini del tutto generici.
Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di quello della somma, equa al caso, di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2012.

Redazione