Licenziamento per giusta causa al dirigente sanitario per l’indebito esercizio dell’attività libero professionale nell’orario di lavoro, anche se per il giudice penale è innocente (Cass. civ., n. 2508/2013)

Redazione 04/02/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6 novembre 2003 pubblicata il 28 novembre 2007 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna dell’8 maggio 2001 con la quale è stata rigettata la domanda di Z. C. intesa ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità del licenziamento inflittogli dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna in data 30 novembre 1999 per giusta causa ex art. 2119 cod. civ. per gravi violazioni degli obblighi di diligenza previsti dall’art. 2104 cod. civ., e consistiti, in particolare, in gravi inadempienze nella compilazione dei registri operatori per il periodo dal 1° gennaio 1995 al 31 marzo 1999, nella compilazione dei registri dei ricoveri programmati, in gravi inadempienze ed omissioni in ordine alla compilazione delle cartelle cliniche e delle schede nosologiche, nell’indebìto esercizio di attività libero-professionale durante l’orario di lavoro, nell’indebita ammissione ed arbitraria attività in sala operatoria di personale esterno all’Azienda con indebito utilizzo di risorse umane e materiali dell’Azienda U.S.L. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia premettendo la pacifica applicabilità alla fattispecie in esame, dell’art. 36 del CCNL di settore, e ritenendo rispettato, nel caso in esame, il principio di immediatezza della contestazione compatibile con un congruo lasso di tempo necessario per valutare unitariamente la condotta del lavoratore. La Corte ha poi ritenuto che tutti i comportamenti e le omissioni contestate al ricorrente abbiano rilievo disciplinare anche ai fini della giusta causa del licenziamento, e la pronuncia assolutoria in sede penale intervenuta nei confronti del ricorrente, non ha rilievo in sede civile stante i diversi criteri che rilevano in tale sede e volti più alla tutela del danneggiato.
Lo Z. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi.
Resiste con controricorso l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 21 del d.lgs. 29 del 1993, e dell’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che erroneamente la corte territoriale avrebbe affermato che le parti avrebbero concordato sull’applicabilità alla fattispecie dell’art. 36 CCNL di categoria, in quanto gli addebiti rivolti al dirigente sanitario dovrebbero essere ricompresi nella categoria del mancato raggiungimento degli obiettivi ovvero a quella dell’inosservanza grave di direttive impartite dagli organi superiori, e la responsabilità dirigenziale sarebbe del tutto distinta dalla ordinaria responsabilità disciplinare.
Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla affermata tempestività della contestazione degli addebiti.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1375 3 2104 cod. civ., e 21 d.lgs. 29 del 1993 ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata considerazione dell’assoluzione del ricorrente in sede penale per gli stessi fatti addebitati in sede civile.
Il ricorso è inammissibile per la mancata formulazione dei quesiti di diritti ex art. 366 bis cod. proc. civ. L’art. 58, comma 5 della legge 18 giugno 2009 n. 69 prevede che le norme previste da detta legge, fra cui l’abrogazione di detto art. 366 bis cod. proc. civ., si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009); pertanto l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi dell’art. 47 della citata legge n. 69 del 2009) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 dei 2006) tale norma è da ritenersi ancora applicabile. Nel caso in esame la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 28 novembre 2007, e quindi nella vigenza dell’art. 366 bis citato che impone la formulazione del quesito di diritto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso; Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 40,00 per esborsi oltre ad € 4.000,00 per compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 30 ottobre 2012.

Redazione