Licenziamento ingiustificato, per la Cassazione anche il trattamento pensionistico va risarcito (Cass. n. 1462/2012)

Redazione 02/02/12
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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di F.G., proposta nei confronti della società ***** (già *****) avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per riduzione di personale intimatogli ex lege n. 223 del 1991.

La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale, nel caso di specie, risultava violata la citata L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 in quanto nell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, comunicato agli organi amministrativi e sindacali, non era stata predisposta alcuna graduatoria tale da consentire la valutazione comparativa di tutti i dipendenti tra i quali la scelta era stata operata rimanendo, in tal modo, impedita qualsiasi verifica in ordine la rispetto di scelta adottato e, quindi, alcun controllo ai sindacati, ai lavoratori e al giudice, se non ex post in sede contenziosa. Conseguentemente, la predetta Corte, ordinava alla società in epigrafe di reintegrare il lavoratore licenziato e la condannava, a titolo di danno, al pagamento delle retribuzioni globali di fatto sino al compimento del 65 anno di età, epoca del pensionamento.

Avverso questa sentenza la nominata società ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura.

Resiste con controricorso la parte intimata che propone impugnazione incidentale assistita da due motivi cui si oppone con controricorso la menzionata società.

Le parti depositano memoria difensiva.
Motivi della decisione

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con l’unico motivo del ricorso principale la società, deducendo violazione dell’art. 12 preleggi in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, ed insufficiente nonchè erronea motivazione, formula il seguente quesito: “se risponde o meno alla ratio della L. n. 223, art. 4, comma 9, interpretato secondo il canone ermeneutica principe di cui all’art. 12 preleggi, una comunicazione di chiusura della procedura contenente, in relazione a ciascun lavoratore interessato dal licenziamento nella specifica ed individuata unità produttiva il nominativo, il luogo di residenza, la qualifica, il livello d’inquadramento, l’età, il carico di famiglia nonchè il dettaglio sui criteri di scelta applicati ai sensi della L. n. 223, art. 5, oltre ad essere corredata dalla copia dell’accordo di mobilità, della comunicazione L. n. 223, ex art. 4, comma 3 e dall’elenco di tutti lavoratori complessivamente ritenuti in eccedenza con la rispettiva collocazione aziendale, rapporti al numero del personale abitualmente impiegato in relazione ai profili professionali dei lavoratori eccedenti”. Osserva, preliminarmente, il Collegio che il motivo in esame, con il quale si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione è solo in parte ammissibile.

Infatti la censura non è esaminabile in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione – pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770) – vi è di contro il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063) che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063). Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai vari quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali al violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c.. Tanto, d’altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. Nè è consentito a questa Corte di sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).

Pertanto in difetto della relativa specificazione la denuncia deve considerarsi per come limitata alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

In tal modo delimitato l’ambito del sindacato devoluto a questa Corte di legittimità va, altresì, precisato, in via preliminare, che non è possibile desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07).

Ed è appunto quest’ultima ipotesi che ricorre nel caso in esame nel quale si chiede a questa Corte di procedere ad un riesame della documentazione per verificare se questa sia o meno conforme a quanto prescritto della legge.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, deducendosi violazione dell’art. 112 c.p.c. ed art. 1223 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 18 si pongono i seguenti quesiti: 1. “se in caso di dichiarazione d’inefficacia del licenziamento con applicazione dell’art. 18 St.Lav. il Giudice non possa limitare l’importo per l’indennità risarcitoria al periodo intercorrente fra la data del licenziamento e quella del compimento del 65 anno, epoca del pensionamento, senza che vi sia stata alcuna allegazione o eccezione in tal senso da parte del datore di lavoro e senza avere accertato l’effettiva percezione della pensione da parte del lavoratore e dell’entità della medesima”; 2.

“se in caso di dichiarazione d’inefficacia del licenziamento con applicazione dell’art. 18 *******. il Giudice non possa escludere il diritto del lavoratore al risarcimento del danno per il periodo successivo al pensionamento, anche in caso di effettiva riscossione della pensione”.

Con la seconda censura del ricorso incidentale, proposta in via subordinata rispetto alla prima, denunciandosi violazione dell’art. 2118 c.c., della L. n. 108 del 1990, art. 4 e della L. n. 300 del 1970, art. 18 nonchè difetto di motivazione, si articola in seguente quesito: “se il raggiungimento da parte del lavoratore dell’età di 65 anni non comporti l’automatica cessazione del rapporto di lavoro subordinato”.

Premesso che il ricorrente incidentale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente principale, non è privo d’interesse all’impugnazione del capo della sentenza relativo alle conseguenze economiche afferenti l’accertata illegittimità del licenziamento, essendo stato il risarcimento del danno limitato dal giudice di appello a quello prodotti sino al compimento del 65 anno di età e non fino alla effettiva reintegrazione nel posto di lavoro,la Corte, innanzitutto, richiama quanto rilevato, in via pregiudiziale relativamente all’esame del ricorso principale, difettando, anche in questo caso, quanto alla dedotto vizio di motivazione, la specifica indicazione del fatto controverso, e pertanto le censure vanno intese per come limitate alla deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn 3 e 4.

Ciò precisato rileva il Collegio che la prima censura del ricorso incidentale è infondata atteso che il quesito, alla cui stregua va apprezzato, come detto innanzi, il motivo muove dal presupposto che, nella sentenza impugnata, la limitazione del danno sia stata correlata al pensionamento ovvero alla percezione della pensione. Di contro il dictum della decisione di secondo grado si fonda sulla limitazione del danno esclusivamente in ragione del compimento del 65 anno di età, epoca del pensionamento e tanto, quindi, a prescindere dalla considerazione che effettivamente vi sia stato o meno l’effettivo pensionamento del F..

La sentenza impugnata che, invece, ha limitato il risarcimento del danno de quo sino al compimento dell’età di 65 anni di età, per il solo fatto del compimento di tale età del lavoratore, non è, pertanto, conforme al diritto.

In conclusione il ricorso principale va rigettato, il primo motivo del ricorso incidentale va respinto ed il secondo motivo di detto ricorso va accolto e conseguentemente la sentenza impugnata, in relazione a tale motivo, va cassata, con rinvio alla stessa Corte di appello in diversa composizione che, decidendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, si adeguerà al principio sopra richiamato.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale rigettando il primo motivo del ricorso incidentale.

Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Redazione