Legittimo il divieto di rimozione di alberi per finalità idrogeologiche ai sensi dell’art. 7 r.d. n. 3267/1923 (Cons. Stato n. 2389/2013)

Redazione 02/05/13
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FATTO

1. La sig. *********, proprietaria di un appezzamento di terreno nel Comune di Rocca d’******* (in catasto, fg. 19, p.lle 5001, 5008, 5018, 5016, 51, 52, 53, 246, 247, 248, 249, 5007, 5014, 237 e 210, per un’estensione complessiva di ettari 12.06.15), in gran parte costituito da “boschi cedui di specie quercine, oltre che da una zona a seminativo, incolta e ricoperta da erbe infestanti”, avendo ottenuto per la realizzazione di un fabbricato rurale con annessi agricoli (ivi compreso un ovile con strutture in acciaio) i pareri favorevoli sia della Commissione edilizia in data 17 luglio 1996 che della Commissione edilizia integrata nella seduta del 4 aprile 1997, chiedeva alla Comunità Montana “Monte S. Croce” con istanza del 21 aprile 1997 lo svincolo ai fini idrogeologici dell’area interessata dall’intervento.

La predetta Comunità Montana che, giusta nota prot. 232 del 22 gennaio 1998 aveva chiesto l’integrazione della documentazione prodotta in ragione del parere formulato dallo S.T.A.P.F. di Caserta con nota prot. 9232 del 6 novembre 1997, con la successiva nota prot. 1205 del 14 aprile 1999 respingeva la richiesta all’esito di un sopralluogo dal quale era emerso che “il terreno oggetto di cambio di destinazione ai fini idrogeologici è costituito da ceduo misto di quercelle e cerri, a norma dell’art. 14 della legge regionale n. 14 del 7/5/96” e che “la strada descritta nella relazione e nei grafici allegati alla domanda non è al momento esistente in quanto coperta da vegetazione boschiva”.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. IV, con la sentenza n. 4512 del 4 dicembre 2000, respingendo il ricorso dell’interessata, riteneva il diniego impugnato immune dai vizi denunciati (“violazione e falsa applicazione delle disposizioni dettate dalla L.R. 7.5.1996 n. 11 con particolare riferimento agli artt. 14, 23 e 24. Eccesso di potere per omessa od insufficiente valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento. Omessa od insufficiente istruttoria. Carenza di motivazione. Violazione della L. n. 241/90 sotto svariati profili” e “Ancora violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi di cui alla L.R. n. 11/1996, con particolare riferimento agli artt. 14, 23 e 24, nonché al R.D.L. 30.12.1993 n. 3267, art. 7. Eccesso di potere. Sviamento. Carenza di istruttoria. Carenza dei presupposti di fatto. Travisamento. Carenza di motivazione. Violazione del giusto procedimento”), sufficiente (e non contestata) essendo l’attività istruttoria e adeguata la motivazione.

2. Con atto di appello notificato il 3 maggio 2001 l’interessata ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentando il macroscopico travisamento dei fatti di causa e del materiale probatorio in atti, il superficiale apprezzamento delle censure svolte e la genericità e lacunosità della motivazione; ha pertanto sostanzialmente riproposto i motivi di doglianza sollevati in primo grado, insistendo per l’annullamento del diniego impugnato.

La Comunità Montana ha resistito al gravame, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza e chiedendone il rigetto.

Nell’imminenza dell’udienza di discussione le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive con apposite memorie.

In particolare la Comunità Montana ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso, avendo nelle more del giudizio provveduto a concedere lo svincolo idrogeologico, originariamente negato; l’appellante ha tuttavia opposto la persistenza dell’interesse quanto meno ai fini risarcitori.

3. All’udienza pubblica del 22 marzo 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

4. Deve essere innanzitutto esaminata l’eccezione di improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza d’interesse sollevata dall’appellata Comunità Montana per essere stata rilasciata in data 31 luglio 2001, con atto prot. n. 2263, in accoglimento di una apposita istanza in data 27 novembre 2000, l’autorizzazione in sanatoria, ai soli fini idrogeologici, al mutamento di destinazione per uso agrario dell’appezzamento di terreno in località Croci del Comune di Rocca d’*******, individuato in catasto al fol. 19, p.lle nn. 5014 e 5016.

*****é tale circostanza non risulti contestata dall’appellante, essa non è tuttavia idonea a far venire meno l’interesse alla decisione della controversia: è sufficiente rilevare, infatti, che l’accertamento dell’eventuale illegittimità del diniego oggetto di controversia costituisce elemento idoneo a radicare la proponibilità di un’azione di risarcimento danni astrattamente derivanti dal ritardo con cui è stato autorizzato lo svincolo ai fini idrogeologici dei terreni in questione e dalla conseguente impossibilità di utilizzazione degli stessi secondo il progetto da realizzare proprio per effetto del richiesto svincolo.

5. Nel merito l’appello è fondato.

5.1. L’articolo 23 della legge regionale 7 maggio 1996, n. 11 (“Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 28 febbraio 1987, n. 13, concernente la delega in materia di economia, bonifica montana e difesa del suolo”), stabilisce al primo comma che “Nei terreni e nei boschi di cui all’articolo 14, sottoposti a vincolo idrogeologico, i movimenti di terra nonché la soppressione di piante, arbusti e cespugli, finalizzati ad una diversa destinazione o uso dei medesimi, sono soggetti ad autorizzazione ai sensi dell’art. 7 del R.D. 3 dicembre 1923, n. 3267”, aggiungendo, al secondo comma, che “L’autorizzazione di cui al comma 1 è rilasciata dal Presidente della Comunità Montana per il territorio di sua competenza e dei Comuni interclusi e dal Presidente dell’Amministrazione provinciale per il restante territorio, previa acquisizione del parere espresso dalla competente Area generale di coordinamento sviluppo attività settore primario – Settori tecnico amministrativi provinciali foreste”.

L’articolo 14 della predetta legge regionale reca la seguente definizione di bosco e di pascolo montano: “1. Sono da considerarsi boschi i terreni sui quali esista o venga comunque a costituirsi per via naturale o artificiale, un popolamento di specie legnose forestali arboree od arbustive a densità piena, a qualsiasi stadio di sviluppo si trovino, dalle quali si possono trarre, come principale utilità, prodotti comunemente ritenuti forestali, anche se non legnosi, nonché benefici di natura ambientale riferibili particolarmente alla protezione del suolo ed al miglioramento della qualità della vita e, inoltre, attività plurime di tipo zootecnico. 2. Sono da considerare altresì boschi gli appezzamenti di terreno pertinenti ad un complesso boscato che, per cause naturali o artificiali, siano rimasti temporaneamente privi di copertura forestale e nei quali il soprassuolo sia in attesa o in corso di rinnovazione o ricostituzione. 3. A causa dei caratteri parzialmente o prevalentemente forestali delle operazioni colturali, di allevamento, di utilizzazione e delle funzioni di equilibrio ambientale che possono esplicare, sono assimilabili ai boschi alcuni ecosistemi arborei artificiali, quali castagneti da frutto, le pinete di pino domestico, anche se associate ad altre colture, le vegetazioni dunali litoranee e quelle radicate nelle pertinenze idrauliche golenali dei corsi d’acqua. 4. Sono da considerarsi pascoli montani i terreni situati ad una altitudine non inferiore a 700 metri, rivestiti di cotico erboso permanente, anche se sottoposti a rottura ad intervalli superiori ai dieci anni ed anche se rivestiti da piante arboree od arbustive radicate mediamente ad altezza non inferiore ai 20 metri”.

Il regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267 (“Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”), dopo aver previsto all’art. 1 che “Sono sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli artt. 7, 8 e 9 possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque”, dispone all’art. 7 che “Per i terreni vincolati la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinate ad autorizzazione del Comitato forestale e alle modalità da esso prescritte, caso per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all’art. 1”.

5.2. Occupandosi delle disposizioni dei ricordati artt. 1 e 7 del r.d. n. 3267 del 1923 la giurisprudenza ha già avuto modo di sottolineare che, a causa della sua ratio ed in virtù della stessa genericità della sua formulazione, la autorizzazione in questione riguarda ogni attività sottoposta a vincolo idrogeologico ed immutazione totale o parziale dei luoghi della zona sottoposta a vincolo idrogeologico, ivi compresa in particolare l’attività edificatoria (C.d.S., sez. VI, 31 dicembre 1988, n. 1347; 29 marzo 1983, n. 161; 25 maggio 1979, n. 395), con la precisazione che detta normativa non esclude che i terreni interessati da vincoli idrogeologici siano interessati dall’attività edificatoria, essendo invece consentito ai proprietari dei terreni vincolati di richiedere la rimozione del vincolo (o anche solo l’autorizzazione al taglio di alcuni alberi) nella misura necessaria a consentire la realizzazione della costruzione (C.d.S., sez. V, 14 aprile 1993, n. 480).

Il regime autorizzatorio de qua implica in sostanza un controllo dal punto di vista della stabilità del suolo e dell’equilibrio geologico o idraulico per evitare che eventuali iniziative dei privati nelle zone vincolate siano suscettibili di arrecare nocumento alla conservazione dell’ambiente, pregiudicandone l’equilibrio idrogeologico (C.d.S., sez. V, 3 gennaio 1992, n. 4; sez. VI, 2 marzo 1987, n. 94): è stato così ritenuto legittimo il divieto di rimozione di alberi per finalità idrogeologiche (ai sensi del ricordato art. 7) qualora la conservazione di colture boschive attiene alla stabilità dei terreni e al regime delle acque (C.d.S., sez. VI, 30 ottobre 1985, n. 571).

5.3. Sulla scorta del delineato quadro normativo e giurisprudenziale, il diniego di autorizzazione impugnato in primo grado risulta essere effettivamente viziato da difetto di motivazione e di istruttoria, come lamentato dall’interessata.

5.3.1. Deve innanzitutto premettersi che, con nota prot. n. 9232, pos. IV – 1/70, trasmessa alla Comunità Montana in data 6 novembre 1997, il Sevizio Tecnico Amministrativo Provinciale Foreste della Regione Campania aveva espresso parere favorevole, “nei soli riguardi idrogeologici, senza pregiudizio per eventuali diritti di terzi e fatta salva l’osservanza di altre leggi e regolamenti vigenti”, sulla richiesta avanzata dalla signora A. al cambio di destinazione per la realizzazione di un fabbricato rurale sul terreno in questione (in catasto rustico al foglio 19 della particella 5002), ancorché con quattro prescrizioni (1: che l’area di intervento fosse stata delimitata da n. 4 termini lapidei indicati con i numeri progressivi dal n° 1 al n° 4, come contrassegnati nell’allegata planimetria che forma parte integrante del presente parere; 2: che fosse evitato lo sversamento a valle del materiale di risulta; 3. che nessun movimento di terreno venisse effettuato per la sistemazione della strada di accesso alla zona oggetto di cambio di destinazione; 4. che fossero messi in essere tutti quegli accorgimenti tecnici atti a regimare e regolare il deflusso delle acque superficiali); la motivazione posta a fondamento della richiesta di integrazione documentale formulata dalla Comunità Montana con nota prot. n. 232 del 22 gennaio 1998 (secondo cui “dalla documentazione presentata non si rilevano né le opere da cui scaturisce lo sversamento del materiale, né l’esistenza di alcuna strada”) risultava già di per sé incongrua e non strettamente pertinente rispetto ai compiti propri del predetto ente.

Lo stesso Settore Tecnico Amministrativo Provinciale Foreste di Caserta (sulla nuova istanza della sig. A., conseguente alla richiesta di integrazione documentale formulata dalla Comunità Montana, presentata il 6 marzo 1998 e pervenuta all’ufficio il successivo 10 luglio) esprimeva in data 31 dicembre 1998 (prot. n. 7691 – Pos. IV – 1 -70) nuovamente parere favorevole, richiamando espressamente l’art. 23 della legge regionale 7 maggio 1996, n. 11, “…nei soli riguardi idrogeologici, senza pregiudizio per eventuali diritti di terzi e fatta salva l’osservanza di altre leggi e regolamenti vigenti, al cambio di destinazione ai fini della costruzione di fabbricato rurale e relativi annessi (mq. 270), stalla prefabbricata (ovile) per mq. 1.100, strada ex novo di accesso ai manufatti (ml. 91,80 x 3,00) = mq. 280 circa, oltre alla sistemazione di un tratto di strada esistente della lunghezza di circa ml. 63, del terreno incolto di proprietà privata distinto in catasto rustico del Comune di Rocca d’******* località “*****” al foglio 19, part. 5098, per la superficie complessiva di mq. 1650 circa”, con le seguenti prescrizioni “- che tutti i lavori a farsi siano eseguiti nel rispetto degli elaborati grafici di progetto, siano messi in atto tutti quegli accorgimenti tecnici atti a regimare e regolare il deflusso delle acque superficiali; – che venga comunicato al Comando Stazione Forestale competente per territorio, la data sotto la quale avranno inizio i lavori”.

5.3.2. Il diniego di autorizzazione espresso dalla Comunità Montana con la impugnata nota prot. n. 1245 del 14 aprile 1999 non solo non contiene alcun riferimento al predetto parere favorevole e non indica, neppure sommariamente, le eventuali ragioni per le quali esso non poteva essere condiviso, per quanto si fonda esclusivamente su di una relazione tecnica redatta in data 15 marzo 1998 da un tecnico della Comunità Montana, verbalmente incaricato a tanto dal Presidente della stessa.

Anche a voler prescindere dalla estrema laconicità e genericità della predetta relazione (che testualmente si limita ad affermare che “il terreno oggetto di richiesta di svincolo idrogeologico è da considerarsi bosco, in quanto bosco ceduo di quercelle e cerri” e che “la strada descritta come esistente, nella relazione e nei grafici allegati alla domanda, non risulta visibile in quanto l’intera zona appare uniforme, con le caratteristiche di cui sopra”, aggiungendo che, “ai fini dello svincolo idrogeologico, è necessario acquisire il parere previsto dalla legge 8/8/1985 n. 431”) ed anche a considerare legittimo l’operato della Comunità Montana che, ancor prima di rimettere la nuova istanza al Settore Tecnico Amministrativo Provinciale Foreste di Caserta, ha ritenuto opportuno procedere ad una propria autonoma attività istruttoria, non può nondimeno dubitarsi che l’onere motivazionale del diniego di autorizzazione non può dirsi neppure sufficientemente soddisfatto con l’esposizione dell’esito della ricordata relazione tecnica.

Infatti, non solo quest’ultima, come si è già avuto modo di rilevare, si limita a dare atto dell’esistenza del bosco che ricopriva anche la strada descritta nella relazione e nei grafici allegati alla domanda, per quanto non viene indicato nessun elemento, in punto di fatto o di diritto, che giustifichi il permanere del vincolo idrogeologico in relazione alle opere che la ricorrente intendeva realizzare (e per le quali, com’è pacifico tra le parti, aveva ottenuto il parere favorevole da parte dell’amministrazione comunale sotto il profilo edilizio – urbanistico); né la mera presenza del bosco poteva costituire elemento ostativo alla realizzazione del progetto proposto dall’interessata, essendo proprio a tal fine previsto un intervento autorizzatorio laddove l’attività edificatoria non compromettesse o non recasse pericolo proprio sotto il profilo idrogeologico.

D’altra parte, a rendere legittimo il diniego impugnato non può ritenersi sufficiente la circostanza che lo stesso parere favorevole espresso in data 31 dicembre 1998 dal Settore Tecnico Amministrativo Provinciale Foreste di Caserta faceva salve eventuali altre valutazioni della Comunità Montana “…atteso la delega piena in materia assegnata dalla Regione con la richiamata legge 11/96, per cui ogni ulteriore esame di altri aspetti connessi alla realizzazione dell’opera, possono essere messi in atto da codesto ente”: infatti, come già accennato, nel ricordato diniego non vi è alcun riferimento a valutazioni di elementi fattuali diversi da quelli della presenza del bosco, anche sulla stradina indicata nel progetto.

Ciò esime la Sezione dall’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio richiesta dall’appellante per appurare l’effettivo stato dei luoghi (ed in particolare l’inesistenza del bosco e l’esistenza della stradina) anche in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso e dell’avvenuta realizzazione di un diverso intervento.

6. Sulla base di tali osservazioni l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dalla sig. *********, con conseguente annullamento del diniego impugnato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla sig.ra ********* avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. IV, n. 4512 del 4 dicembre 2000, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della stessa, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed annulla il diniego impugnato.

Condanna la Comunità Montana “Monte S. Croce” di Roccamonfina al pagamento in favore dell’appellante delle spese del doppio grado di giudizio, oltre I.V.A. e CPA, se dovuti, che si liquidano in complessivi €. 5.000,00 (cinquemila), nonché alla restituzione del contributo unificato, se versato, per la proposizione del ricorso di primo grado e per quello di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013

Redazione