Legittima la deliberazione assembleare con la quale si stabilisce la trasformazione di un cancello manuale in automatico (Cass. n. 4337/2013)

Redazione 21/02/13
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Svolgimento del processo

Con ricorso del 9.1.03 F.C. e S.L., quali proprietari e possessori di un immobile sito in un edificio condominiale in (omissis), adibito a studio professionale di avvocato, adirono ex art. 703 c.p.c. il locale tribunale nei confronti del condominio, in epigrafe indicatoci fine di sentirsi reintegrare nel possesso dell’accesso allo stabile, lamentando l’apposizione, a seguito di delibera assembleare assunta senza il loro consenso (assenti entrambi e, peraltro, non convocata la S.), di un impianto di apertura automatica del portone comune, di cui non avevano ricevuto i dispositivi di telecomando, che oltre a limitare e rendere più difficile l’accesso (in precedenza sempre libero ed esercitato prevalentemente con bicicletta), era risultato anche difettoso, costringendo gli istanti, per otto giorni, a scendere di volta per consentire l’ingresso delle persone dirette allo studio.

Il ricorso, cui il condominio aveva resistito opponendo la legittimità dell’esecuzione della delibera assembleare del 17.4.02 (tra l’altro precisando che l’impianto aveva riguardato l’intero portone, in precedenza tenuto costantemente chiuso, e non anche il “portoncino” praticato nello stesso, già munito di chiusura elettrica a distanza e sufficiente consentire l’ingresso di persone e biciclette), venne rigettato con ordinanza del 3.3.03, con condanna alle spese dei ricorrenti.

Questi ultimi proposero appello, cui resisteva il condominio, e la Corte di Bologna, con sentenza del 12.7-24.8.05, pur ritenuta l’ammissibilità del gravame (in considerazione della natura decisoria e definitiva del provvedimento impugnato), lo rigettava, ritenendo non esperibile la tutela possessoria avverso il deliberato assembleare, in considerazione della previsione dello specifico rimedio impugnatorio di cui all’art. 1137 c.c., e comunque insussistenti gli estremi, sia oggettivo, sia soggettivo, dello spoglio.

Contro tale sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito il condominio con controricorso. I ricorrenti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza, o in subordine omessa, insufficiente motivazione. Si lamenta che i giudici di appello per loro stessa ammissione non avrebbero individuato “rettamente la causa petendi”, consistente nella denuncia di una limitazione alle precedenti modalità di accesso allo stabile, da parte degli istanti e dei clienti diretti al loro studio legale, che sarebbe stato da sempre praticato soprattutto con biciclette, come si era vanamente chiesto di provare con testimoni, i quali avrebbero dovuto riferire anche delle disfunzioni del nuovo congegno di chiusura. L’apposizione di quest’ultimo, nonostante la presenza di un preesistente “portoncino con passo d’uomo” già caratterizzato da non agevole apertura, avrebbero gravemente pregiudicato detta possibilità di accesso, tenuto conto della limitata larghezza della pubblica strada antistante, intensamente trafficata, e delle ridotte dimensioni del marciapiedi, comportanti disagio e pericolo allo stazionamento, sia pur di breve durata, dei suddetti veicoli.

Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1168, 841, 1137 e 1140 c.c., censurandosi per genericità l’affermazione della corte di merito circa l’inammissibilità della tutela possessoria, che non avrebbe tenuto conto delle deduzioni attorce circa l’inidoneità del titolo, costituito dalla delibera assembleare a limitare il possesso dei deducenti; peraltro, questa sarebbe stata “nulla”, non solo per aver imposto un sacrificio di “diritti soggettivi essenziali”, ma anche, e più radicalmente sul piano formale, per essere stata adottata e poi eseguita senza alcuna preventiva convocazione della S., nè successiva notificazione alla medesima.

I motivi sono entrambi infondati.

Quanto al primo, palesemente insussistenti sono le denunciate violazioni delle citate norme di diritto processuale, essendosi la corte territoriale pronunziata su tutta la domanda, ribadita con l’atto di appello, ed avendo la medesima chiaramente esposto le ragioni di conferma del relativo rigetto, pur osservando come nella sequenza dei fatti dedotti, comunque inidonei a concretare gli estremi soggettivi ed oggettivi del denunciato spoglio, gli appellanti attori non avessero chiarito quale fosse stato quello concretamente lesivo del loro possesso. Tale osservazione, con la quale il giudice di appello ha ritenuto di evidenziare un ulteriore profilo d’inconsistenza della proposta azione possessoria, non ha comportato in alcun modo l’elusione degli obblighi di pronunzia e motivazione, rispettivamente sanciti dagli artt. 112 e 132 c.p.c., avendo lo stesso spiegato che, comunque consideratoci comportamento dell’amministratore del condominio, in quanto consistito nell’esecuzione di un deliberato assembleare formalmente legittimo e non impugnato, non comportante alcuna limitazione dell’uso del bene comune, non avrebbe potuto dar luogo al lamentato spoglio. Ne consegue anche l’infondatezza dei profili di censura correlati all’art. 360 c.p.c., n. 5, non evidenziandosi nel mezzo d’impugnazione alcuna omissione o deficienza logica nell’apparato argomentativo della decisione, ma soltanto la non rispondenza della stessa alle aspettative degli appellanti, secondo una prospettazione della vicenda che è stata motivatamente ritenuta inidonea ad integrare gli estremi di un illecito possessorio Al riguardo nessun rilievo, agli effetti della sostanziale legittimità del deliberato assembleare e della dedotta conseguente lesività della relativa esecuzione ex art. 1168, o anche art. 1170 cod. civ., possono assumere le assunte precedenti modalità di accesso (in bicicletta) allo stabile, preferite dai ricorrenti e dai loro clienti, sia perchè la relativa possibilità (peraltro già consentita dal preesistente c.d. “portoncino a passo d’uomo”, praticato nel portone, di cui è menzione negli atti di ambo le parti) non è stata impedita dall’apposizione del congegno di chiusura automatica e telecomandata, comportante soltanto pochi secondi di attesa, sia perchè chiaramente preminenti debbono ritenersi rispetto alle stesse le esigenze di sicurezza della collettività condominiale, in funzione delle quali è stata deliberata la suddetta innovazione.

In tal senso si è ripetutamente espressa la giurisprudenza di questa Corte che, sia in materia condominiale, sia in tema di esercizio di servitù di passaggio, ha costantemente ritenuto legittima, in quanto assolvente a finalità di migliore godimento del bene comune (o gravato da servitù), l’apposizione di dispositivi di chiusura a cancelli, portoni et similia, purchè le relative chiavi o congegni di apertura siano posti a disposizione degli aventi diritto (tra le altre, v. nn 14719/11, 17874/03, 6513/03, 15977/01); e nella specie non è stato, al riguardo, lamentato alcun rifiuto all’eventuale relativa richiesta.

Non miglior sorte merita il secondo motivo, considerato che nella specie, per le ragioni già evidenziate, non era esperibile la tutela possessoria, a fronte dell’esecuzione di una delibera dell’assemblea condominiale, non oggetto d’impugnazione, che, senza in alcun modo impedire o limitare l’esercizio delle normali facoltà di uso del bene comune, ex art. 1102 c.c. spettante ai partecipanti, con la disposta innovazione aveva soltanto, legittimamente ex art. 1120 c.c., disciplinato l’esercizio delle stesse nell’interesse della collettività dei condomini. Le particolari precedenti modalità di fruizione del bene comune (lasciando il portone aperto nelle ore diurne) pretese dai ricorrenti, in quanto comportanti la possibilità di accesso incontrollato, anche da parte di estranei, ad un complesso condominale (che non risulta dotato di servizio di portineria) non avrebbero potuto connotare in termini di meritevolezza il relativo compossesso e, pertanto, giustificarne il ripristino ex art. 1168 c.c. o art. 1170 cod. civ., a fronte di un comportamento dell’amministrazione che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto oggettivamente legittimo e scevro da animus spoliandi o anche turbarteli, tenuto conto delle perseguite esigenze di sicurezza e dell’accettabilità, in tale contesto, del lieve disagio richiesto agli utenti dalla necessità di azionare l’apertura con le chiavi o di attendere l’apertura dall’interno.

Palesemente irrilevanti, in tale senso, risultano le dedotte doglianze relative alle iniziali disfunzioni del congegno di apertura, trattandosi di inconvenienti rimediabili e non ascrivibili ad intenti spoliatori o molesti.

Altrettanto irrilevante è il profilo di censura doglianza deducente la mancata convocazione all’assemblea della S., non tanto perchè non si deduce se la relativa assenza avrebbe potuto incidere ai fini della formazione della prescritta maggioranza, quanto piuttosto in considerazione della circostanza che l’eventuale relativo vizio formale della delibera non è stato fatto valere in via di impugnazione della stessa. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio in favore del resistente condominio, liquidandole in complessivi Euro 2.200,00, di cui 200 per esborsi.

Redazione