Le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento per l’illegittimo licenziamento sono soggette a trattenuta IRPEF (Cass. n. 20482/2013)

Redazione 06/09/13
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Svolgimento del processo

R.F. propose ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso, dallo stesso presentata, della trattenuta IRPEF operata dal datore di lavoro sulla somma alla quale quest’ultimo era stato condannato, a seguito di licenziamento illegittimo, quale risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

La Commissione Tributaria di prima istanza accolse il ricorso ma detta sentenza, a seguito di appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, venne riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con la sentenza indicata in epigrafe.

Ritennero i Giudici di appello che la sentenza del Giudice del lavoro (dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento subito dal R.) aveva risarcito un lucro cessante, come tale costituente reddito imponibile ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2. Inoltre, la C.T.R. rilevò che, in genere, tutte le somme ed i valori comunque percepiti, anche a titolo risarcitorio, a seguito di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro, sono assoggettati a tassazione separata.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per la cassazione, affidato a tre motivi, R.F..

Ha resistito con controricorso Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, (art. 360, comma 1, n.3)” il ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nel ritenere che l’indennità liquidata dal Tribunale del Lavoro avrebbe la funzione di risarcire il danno da lucro cessante patito dal lavoratore in seguito alla sospensione dell’erogazione dello stipendio in forza di un licenziamento disciplinare illegittimo laddove tale indennità ha, invece, natura sanzionatoria dell’illegittimo comportamento del datore di lavoro.

2. Con il secondo motivo si denunzia la sentenza impugnata di omessa ovvero insufficiente motivazione circa il fatto controverso decisivo per il giudizio costituito dalla valutazione delle somme, erogate al lavoratore illegittimamente licenziato, come risarcimento del lucro cessante patito dal lavoratore per la sospensione della retribuzione nel periodo intercorrente tra il comminato licenziamento e la declaratoria di illegittimità dello stesso. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. avrebbe del tutto trascurato di motivare in ordine alla funzione dell’indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, procedendo direttamente a decidere se ci trovasse di fronte al risarcimento di un lucro cessante o di un danno emergente.

Con il terzo motivo – rubricato “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il ricorrente deduce che la disposizione posta dalla C.T.R. a fondamento della decisione (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16), ai sensi della quale sono sottoposte a tassazione separata tutte le somme percepite, anche a titolo risarcitorio, in seguito a provvedimento dell’Autorità giudiziaria relativo alla risoluzione del rapporto di lavoro, si limita a disciplinare le modalità di tassazione dei redditi che devono ritenersi imponibili ma nulla dice circa l’imponibilità ai fini IRPEF delle predette somme.

4. Il ricorso è infondato.

4.1. In tema di licenziamento illegittimo questa Corte ha reiteratamente affermato che la corresponsione dell’indennità commisurata alla retribuzione non effettivamente percepita costituisce presunzione “iuris tantum” di lucro cessante, mentre l’indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione “iuris et de iure” del danno causato dal recesso assimilabile ad una sorte di penale connaturata al rischio di impresa (cfr. Cass. sez. lav. n. 18146/07; id. n. 23666/2011). Ed ancora che “l’importo pari a cinque mensilità della retribuzione, previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 5, rappresenta una parte irriducibile dell’obbligazione risarcitoria complessiva conseguente all’illegittimo licenziamento” e che “quest’ultima obbligazione non ha una natura giuridica nè una causa distinta da quella che connota l’obbligazione risarcitoria complessiva conseguente all’illegittimo licenziamento. Essa ne costituisce, piuttosto, una parte, di importo – per come detto – in ogni caso irriducibile, dovuto anche ove la reintegra dovesse seguire a meno di cinque mesi dal licenziamento invalido” (Cass. n. 19770 del 2009).

Ciò posto, va rilevato che, a norma del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 48, comma 1 (nel testo qui in rilievo) “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo di rimborso spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali”; a mente dell’art. 6, comma 2, dello stesso D.P.R. “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi., e le indennità conseguite… a titolo di risarcimento dei danni, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”; e l’art. 16, comma 1, lett. a) del medesimo “. (nel testo risultante dalla modifica operata dal D.L. n. 41 del 1995, art. 32, comma 1, convertito nella L. n. 85 del 1995) dispone che l’imposta si applica separatamente sulle indennità e sulle somme percepite una tantum in “dipendenza della cessazione” dei rapporti di lavoro dipendente, nonchè a somma e valori, comunque percepiti “anche se a titolo risarcitorio…a seguito di provvedimento dell’Autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro”.

Dalla lettura coordinata di tali norme la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha tratto il principio, cui si ritiene dare continuità, secondo cui “nella materia oggetto di odierno esame, costituisce ius receptum che” tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistente nella perdita di redditi, ad esclusione di quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e quindi, tutte le indennità aventi causa o che traggono origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro costituiscono redditi da lavoro dipendente e come tali sono assoggettati a tassazione separata ed a ritenuta d’acconto (Cass. n. 3582/2003, n. 22803/2006, n. 10972/2009; id. n. 2196/2012 tutte in tema di indennità risarcitorie conseguente a risoluzione del rapporto di lavoro).

La sentenza impugnata ha, correttamente, applicato la norma di riferimento come interpretata da questa Corte onde va esente da censura.

Le spese processuali, tenuto conto della natura della controversia e di tutte le peculiarità della fattispecie, vanno integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese di questo grado.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2013.

Redazione