La mancata inclusione del vano sottotetto nell’ambito dell’oggetto della compravendita dell’appartamento legittima la proprietà condominiale del sottotetto (Cass. n. 4083/2013)

Redazione 19/02/13
Scarica PDF Stampa

Ordinanza

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 9 ottobre 2012, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: Con atto di citazione notificato il 23 febbraio 2005 il Condominio (omissis), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale della stessa città i sigg. S.L. e Sc.Gi., quali condomini dello stesso Condominio, per sentir accertare che il sottotetto dell’edificio condominiale era in proprietà comune di tutti i condomini e, conseguentemente, condannare i predetti convenuti al ripristino del sottotetto sovrastante il loro appartamento, sito all’ultimo piano dell’edificio, con ordine di demolizione delle opere realizzate al suo interno senza autorizzazione condominiale. Nella costituzione di entrambi i convenuti (i quali rivendicavano la titolarità del sottotetto quale pertinenza della loro abitazione), il Tribunale adito, con sentenza n. 364 del 2006, accoglieva integralmente la domanda attorea. Interposto appello da parte dei sigg. S. e Sc. e nella resistenza dell’appellato Condominio, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 718 del 2010 (depositata il 7 maggio 2010), rigettava il gravame e condannava gli appellanti, in solido fra loro, alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione la Corte torinese rilevava l’infondatezza dell’appello sul presupposto che, in base alle risultanze del titolo di provenienza della proprietà degli appellanti e, in ogni caso, anche in virtù delle dimensioni, dell’utilizzo e della destinazione del sottotetto, quest’ultimo rientrava nella proprietà comune dei condomini e, quindi, si apparteneva all’appellato Condominio.

Nei confronti della richiamata sentenza di appello (non notificata) hanno proposto ricorso per cassazione (notificato il 23 giugno 2011 e depositato l’8 luglio 2011) i sigg. S.L. e S. G., basato su due distinti motivi. Si è costituito in questa fase con controricorso l’intimato Condominio (omissis).

Con il primo motivo i ricorrenti hanno (testualmente) dedotto la violazione di legge con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 132, comma 2, n. 4, art. 118 disp. trans. c.p.c., art. 359 c.p.c., in relazione ai canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., prospettando l’erroneità della sentenza impugnata che si era basata sulle risultanze dell’atto di provenienza della loro proprietà, senza, però, che in essa fosse stato spiegato in quale parte del titolo era possibile ricavare la proprietà comune del sottotetto o attraverso quali ragionamenti logici era stato possibile pervenire a tale conclusione.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato (sempre testualmente) la violazione di legge con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 132 c..p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. trans. c.p.c., art. 359 c.p.c., in relazione a fatti decisivi per il giudizio evidenziati dall’appellante con riferimento ai principi di cui all’art. 2729 c.c.. Con tale doglianza i ricorrenti hanno inteso contestare la sentenza impugnata sul piano dell’inadeguatezza della valutazione degli elementi di fatto acquisiti agli atti e sotto il profilo dell’apodititticità della ritenuta prevalenza di alcuni elementi di fatto presuntivi su quelli di segno contrario dedotti dai medesimi ricorrenti nel giudizio di merito.

Rileva il relatore che entrambi i motivi svolti dai ricorrenti – esaminabili congiuntamente in quanto strettamente connessi – possano ritenersi manifestamente infondati, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione anche all’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

In primo luogo deve considerarsi che, diversamente dall’epigrafe dei motivi denunciati, i ricorrenti (facendo un univoco riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) hanno inteso denunciare un duplice vizio motivazionale nei sensi precedentemente richiamati, senza aver, peraltro, avuto riguardo alla prima doglianza, specificato (come sarebbe stato necessario: cfr., ad es., Cass. n. 10554 del 2010 e Cass. n. 6641 del 2012) i criteri ermeneutici assunti come violati dalla Corte territoriale in ordine alla dedotta erroneità dell’interpretazione del contenuto dell’atto di provenienza di acquisto della loro proprietà.

Diversamente dalla ricostruzione argomentativa dei ricorrenti, la Corte di appello piemontese ha, con motivazione del tutto adeguata e logica oltre che rispondente esattamente ai principi giuridici applicabili in materia, desunto la natura condominiale del vano sottotetto sulla scorta della conferente valutazione del titolo di provenienza (del 1978) di acquisto della proprietà da parte dei medesimi appellanti, nel quale, oltre alla mancata inclusione del vano sottotetto nell’ambito dell’oggetto della compravendita dell’appartamento, si attestava che il Condominio nel quale era ubicata, al quinto piano, l’unità immobiliare acquistata era composto da due fabbricati, serviti ciascuno da una scala, strutturati in un piano scantinato, piano terreno, cinque piani superiori e piano sottotetto. Pertanto, ispirandosi alla corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e all’art. 1367 c.c., la Corte territoriale è – anche in coerenza con l’esatta interpretazione dell’art. 1117 c.c. – pervenuta alla conseguente logica conclusione che già dallo stesso titolo di proprietà degli odierni ricorrenti, considerato complessivamente (nel rapporto tra la precisa descrizione della composizione dell’unità immobiliare oggetto dell’acquisto e la specifica individuazione delle parti condominiali), emergeva che il sottotetto dedotto in controversia, lungi dal conformarsi come una semplice camera d’aria posta a servizio degli alloggi sottostanti, costituiva un vero e proprio piano autonomo, distinto dalle unità immobiliari collocate al quinto piano.

Del resto, la Corte di secondo grado, difformemente da quanto si deduce con il secondo motivo, non ha fondato la sua decisione su un percorso argomentativo di tipo presuntivo, avendo, invece, raggiunto la richiamata soluzione sulla scorta delle risultanze dirette della predetta prova documentale, avvalorate dalla logica e corrispondente valutazione di altri idonei elementi rimasti accertati, quali quelli riconducibili alla circostanza che il S. e la Sc. fin dalla data (1978) dell’acquisto del loro appartamento e fino alla data (2004) di realizzazione dell’accesso diretto al sottotetto, per utilizzarlo come ripostiglio, non avevano mai ritenuto nè manifestato la loro intenzione di considerare tale porzione immobiliare sovrastante come una pertinenza dell’alloggio di loro proprietà, nonchè ai plurimi elementi univoci dai quali era oggettivamente desumibile la funzione di sottotetto propriamente condominiale del vano controverso. A questo proposito, la Corte territoriale, con motivazione sufficiente e del tutto logica, ha valorizzato quest’ultimo dato ponendo riferimento alle dimensioni dei locali, alla presenza al suo interno di impianti comuni (come il vano macchina dell’ascensore condominiale) realizzati anteriormente all’intervento dei ricorrenti, all’accesso autonomo al sottotetto direttamente dal vano scala condominiale, alla circostanza che gli stessi appellanti avessero (secondo quanto già evidenziato) utilizzato il bene solo parzialmente, autolimitando l’estensione del preteso diritto ad una parte del sottotetto, implicitamente riconoscendo l’esistenza dei diritti di terzi sul bene medesimo.

Pertanto, alla stregua del percorso motivazionale adeguatamente e logicamente sviluppato, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che il sottotetto del fabbricato denominato “Condominio (omissis)” dovesse ritenersi di proprietà comune di tutti i condomini, sia per gli elementi di prova evincibili direttamente dall’esame del titolo di proprietà degli odierni ricorrenti (suffragato anche dalle risultanze del regolamento condominiale) sia per il fatto che tale locale era, in effetti, predisposto ed idoneo per essere utilizzato come vano autonomo in funzione dell’esercizio di un servizio di interesse condominiale. E, per giungere a tale conclusione la Corte di secondo grado si è anche uniformata all’orientamento pressochè costante di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 6027 del 2000; Cass. n. 8968 del 2002 e, da ultimo, Cass. n. 17249 del 2011, ord.), secondo cui l’appartenenza del sottotetto di un edificio va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo esso compreso nel novero delle parti comuni dell’edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all’uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. è, in ogni caso, applicabile nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all’uso comune oppure all’esercizio di un servizio di interesse condominiale (condizione, questa, che la Corte territoriale ha ritenuto comunque sussistente, sulla scorta dei ricordati riscontri oggettivamente rilevati e valorizzati), quando tale presunzione non sia superata dalla prova della proprietà esclusiva, nella specie non offerta dagli attuali ricorrenti (ed anzi smentita dalle stesse emergenze del loro titolo di acquisto).

In virtù delle esposte argomentazioni, avendo la sentenza impugnata deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte senza che siano stati offerti elementi per mutare il pregresso orientamento (cfr. Cass., S.U., ord., n. 19051/2010) ed essendo rimasta esclusa la configurazione dei dedotti vizi motivazionali, si deve ritenere, in definitiva, che sembrano emergere le condizioni, in relazione al disposto dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, (ed avuto riguardo all’art. 375 c.p.c., n. 5), per poter pervenire al possibile rigetto totale del proposto ricorso per sua manifesta infondatezza.

Rilevato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, non risulta depositata alcuna memoria difensiva ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e senza che l’audizione dei difensori abbia apportato ulteriori argomenti rispetto al contenuto del ricorso e del controricorso;

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Condominio controricorrente, nella misura liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Redazione