La declaratoria di incostituzionalità travolge il giudicato (Cass. pen. n. 21982/2013)

Redazione 22/05/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. All’esito di giudizio abbreviato il g.i.p. del Tribunale di Napoli ha dichiarato I.A. colpevole del reato di illecita detenzione per finalità commerciali di 32 dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e, per l’effetto, riconosciutagli l’attenuante del fatto lieve di cui all’art. 73, comma 5, L.S. stimata equivalente alla contestata recidiva qualificata ex art. 99 c.p., comma 4, lo ha condannato alla pena di quattro anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa. In sentenza il giudice ha specificamente chiarito di non poter procedere, nella ritenuta rilevanza (aut non escludibilità) della recidiva specifica gravante sull’imputato, ad un più favorevole bilanciamento della concessa attenuante speciale rispetto alla recidiva a causa del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti sancito per gli imputati recidivi specifici reiterati dall’art. 69 c.p., comma 4, come novellato dalla L. n. 251 del 2005, art. 3.

2. Adita dall’impugnazione dell’ I., incentrata sul solo trattamento sanzionatorio e sulla invocata disapplicazione della recidiva o concessione di attenuanti generiche onde adeguare la pena alla modesta offensività della condotta criminosa, la Corte di Appello di Napoli con sentenza del 3.5.2012 ha confermato la decisione di primo grado. I giudici del gravame, ribadito che nel caso di specie il divieto dettato dall’art. 69 c.p., comma 4 “verrebbe meno soltanto ove fossero ritenute sussistenti le condizioni per farsi luogo alla disapplicazione della contestata recidiva”, hanno escluso il ricorrere di tali condizioni, avuto riguardo alla concreta influenza della recidiva ascritta all’ I. nel qualificarne l’antigiuridicità del contegno criminoso e alla coeva assenza di motivi giustificanti il riconoscimento delle attenuanti innominate.

3. L’imputato I.A. ha impugnato personalmente per cassazione la sentenza della Corte di Appello partenopea, lamentando violazione di legge e carenza di motivazione per erronea qualificazione giuridica del fatto reato ascrittogli e per inadeguata e insufficiente analisi dell’elemento soggettivo della contestata fattispecie di cui all’art. 73, L.S..

4. I delineati generici motivi di censura appaiono manifestamente infondati rispetto alla completezza e logicità della disamina delle emergenze processuali asseveranti la penale responsabilità del ricorrente sviluppata dalla decisione di appello impugnata e dalla stessa decisione di primo grado.

4.1. Nondimeno la sentenza va annullata per una sopravvenuta causa di nullità della decisione in punto di trattamento sanzionatorio, rilevabile di ufficio da questo giudice di legittimità – nella perdurante attualità della regiudicanda – ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 c.p., comma 4, e art. 129 c.p.p., comma 2. Causa integrante vicenda modificativa in favorem rei (art. 2 c.p., comma 4) che investe la qualificazione, aggravata dalla recidiva, della condotta criminosa dell’ I. e che dispiega diretta incidenza sulla definizione del trattamento sanzionatorio allo stesso applicato.

Causa riveniente dalla illegittimità costituzionale dell’art. 69 c.p., comma 4, (in caso affatto omologo a quello dell’odierno ricorrente, in cui il giudice di merito segnalava di non poter disapplicare la recidiva specifica reiterata ascritta al giudicabile), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante ex art. 73, comma 5, L.S. sulla recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 4, dichiarata dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza 5.11.2012 n. 251. Il giudice delle leggi è pervenuto alla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69 c.p., comma 4, considerando il divieto di prevalenza dell’attenuante speciale del fatto di lieve entità sulla recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, irragionevole e lesivo dei principi di uguaglianza davanti alla legge e di proporzionalità della pena e rilevando che la recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, che – pur pertinenti al reato – non assumono nella individualizzazione della pena una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo, operando il principio di offensività non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti influenti sulla pena e sulla sua finale quantificazione (“Le rilevanti differenze quantitative delle comminatorie edittali del 1 e del 5 comma dell’art. 73, L.S. rispecchiano le diverse caratteristiche oggettive delle due fattispecie, sul piano dell’offensività e alla luce delle stesse valutazioni del legislatore: il trattamento sanzionatorio decisamente più mite assicurato al fatto di lieve entità, la cui configurabilità è riconosciuta dalla giurisprudenza comune solo per ipotesi di minima offensività penale, esprime una dimensione offensiva la cui effettiva portata è disconosciuta dalla norma censurata, che indirizza l’individuazione della pena verso l’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducigli alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato”).

4.2. Non è revocabile in dubbio che l’abrogato divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, L.S. sulla recidiva qualificata, vigente all’epoca dell’impugnata decisione di appello, ha inciso in consistente misura sulla pena detentiva (quattro anni di reclusione) inflitta al ricorrente I. per un episodio criminoso (illecita detenzione di sole 32 dosi singole di stupefacente) di cui le stesse due conformi decisioni di merito non hanno disconosciuto la contenuta gravità e offensività, tanto da definire il fatto reato come di lieve entità, cioè di minima offensività secondo le indicazioni delle Sezioni Unite di questa S.C. (Cass. S.U., 24.6.2010 n. 35737, P.G. in proc. ****, rv. 247911). E’ di tutta evidenza, allora, che il previgente divieto ex art. 69 c.p., comma 4, di bilanciamento delle circostanze del reato in termini di possibile prevalenza delle circostanze attenuanti (comuni o speciali) sulla recidiva, ha svolto diretta e significativa incidenza nel determinismo della sanzione inflitta all’ I. e stabilita, come precisa la sentenza di appello, applicando la cornice edittale disegnata dall’art. 73, comma 1, **** (pena base detentiva individuata nella misura minima di sei anni di reclusione, poi diminuita ex art. 442 c.p.p.).

4.3. L’ovvia conseguenza giuridica si inquadra, quindi, nel palese potenziale interesse dell’imputato I. a far valere, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, la sopravvenuta illegittimità in parte qua della maggior porzione di pena irrogatagli in ragione dell’applicato preesistente divieto ex art. 69 c.p., comma 4; interesse del prevenuto che trascende gli esiti decisori della sentenza della Corte territoriale oggetto del suo ricorso ed al quale non può far velo la pur rilevata inammissibilità dell’impugnazione.

Illegittimità parziale della pena, dunque, derivante dall’effetto abolitivo del divieto di cui all’art. 69 c.p., comma 4, in rapporto alla riconosciuta attenuante del fatto di lieve entità sancito dalla illustrata sentenza n. 251/2012 della Corte Costituzionale (cfr., in tema di sopravvenuta incostituzionalità dell’aggravante della clandestinità del cittadino straniero di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 bis: Cass. Sez. 6^, 17.11.2010 n. 40836, Nasri, rv. 248533; Cass. Sez. 2^, 11.2.2011 n. 8720, Idriz, rv. 249816; Cass. Sez. 1^, 15.3.2011 n. 16292, ****** e altri, rv. 249968).

Al riguardo è appena il caso di osservare, come di recente ribadito da questa stessa Corte regolatrice, per un verso che il principio generale per cui la declaratoria di incostituzionalità, incidente fin dalla sua originaria vigenza sulla norma penale eliminata dall’ordinamento, rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici in corso con effetti invalidanti assimilabili all’annullamento (Corte Cost. sentenza n. 127/1996), rinviene una eccezione in materia penale sino a travolgere lo stesso giudicato (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 4: “quando in applicazione della norma dichiara incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”).

Per altro e connesso verso, se il ridetto principio è pacificamente applicabile alle sole disposizioni penali sostanziali, deve convenirsi che nella nozione di norma penale sostanziale, “intesa come disposizione che correla la previsione di una sanzione ad uno specifico comportamento e che stabilisce una differenza di pena in conseguenza di una determinata condotta”, può sussumersi ogni ipotesi o situazione in cui “sia stabilita una sanzione penale per un aspetto dell’agire umano, essendo indifferente – da questo punto di vista – che la norma disciplini un autonomo titolo di reato o una circostanza” del reato (in questi termini Cass. Sez. 1^, 25.5.2012 n. 26899, P.M. in proc. Harizi, rv. 253084, che ha ritenuto operante la dichiarata incostituzionalità dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis – per gli effetti di cui all’art. 673 c.p.p. – anche in relazione ad una sentenza definitiva di condanna, altresì puntualizzando che: “L’interpretazione letterale e logico-sistematica della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 4, permette di ritenere che l’ambito applicativo della norma non è limitato alla fattispecie incriminatrice intesa in senso stretto, ma riguarda qualunque parte della condanna pronunziata in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale e impedisce, perciò, anche solo una parte dell’esecuzione della sentenza irrevocabile, quale appunto quella relativa alla porzione di pena irrogata in attuazione della norma poi dichiarata costituzionalmente illegittima; approdo interpretativo che appare l’unico conforme al quadro costituzionale di riferimento e, in particolare, ai principi fissati dagli artt. 27 e 3 Cost., e art. 25 Cost., comma 2”).

4.4. Conclusivamente l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Napoli deve essere annullata con rinvio limitatamente al processo di determinazione della pena applicata ad I.A., affinchè in un nuovo giudizio sul punto siano adeguatamente vagliati gli effetti derivanti dalla dichiarata illegittimità costituzionale parziale del divieto previsto dall’art. 69 c.p.p., comma 4, (Coste Cost. sentenza n. 251/2012) in correlazione con la attenuante del fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5 L.S. già riconosciuta al ricorrente imputato I..

P.Q.M.

Annulla limitatamente alla pena la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2013.

Redazione