L’obbligo di pagare la quota dei lavori straordinari nasce dal momento della delibera di approvazione (Cass. n. 17683/2012)

Redazione 16/10/12
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Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice di Pace di Taranto del 13 novembre 2002, il Condominio di via (omissis), chiedeva ingiungersi a U.P. il pagamento della somma di Euro 1.396,77 relativa a opere di rifacimento della facciata condominiale e spese provvisionali inerenti il transennamento della parte antistante lo stabile, deliberate nell’assemblea del 19 settembre 2002 e da ripartirsi secondo la tabella di proprietà.

L’ingiunzione veniva emessa il 15 novembre 2003.

Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione U.P. deducendo la nullità del decreto ingiuntivo, in quanto non preceduto da messa in mora, e chiedendone in ogni caso la revoca, in quanto la somma era già stata versata il 2 dicembre 2002 dopo l’approvazione definitiva del piano di riparto delle spese, avvenuta il 26 novembre 2002.

Il Condominio opposto contestava la fondatezza dell’opposizione e concludeva per il suo rigetto.

Con sentenza del 20 novembre 2003 il Giudice di pace di Taranto revocava il decreto ingiuntivo opposto e dichiarava cessata la materia del contendere, condannando l’opponente al pagamento delle spese di giudizio.

Per la riforma della sentenza proponeva appello U.P..

Nella resistenza del Condominio, il Tribunale di Taranto in composizione monocratica, con sentenza depositata il 21 settembre 2005, rigettava l’appello, confermando la statuizione di primo grado.

Il Tribunale, dopo aver ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specifici motivi di impugnazione, rilevava che l’obbligo di contribuire alle spese concernenti i lavori era sorto in capo all’appellante per effetto della delibera del 19 settembre 2002 e non a seguito della successiva delibera del 26 novembre 2002, riguardante solo l’approvazione di una variante. Considerava, inoltre, inammissibile il secondo motivo di gravame, con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto legittimo l’operato del Condominio, in quanto volta ad introdurre una eccezione nuova, in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.. Il Tribunale riteneva tuttavia il motivo infondato, atteso che legittimamente il Condominio aveva proceduto alla notifica del decreto ingiuntivo, quanto meno ai fini del pagamento delle spese e competenze del procedimento monitorio.

Infine, in merito alla doglianza relativa alla liquidazione delle spese processuali, il Tribunale riteneva che la revoca del decreto non rendesse irripetibili le spese e le competenze liquidate in ordine alla sua pronuncia, in quanto collegate alla situazione di mora esistente: andava, pertanto, applicato il principio della c.d. “soccombenza virtuale”.

Per la cassazione di tale sentenza U.P. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. Il Condominio intimato non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, consistente nella ritenuta idoneità della documentazione versata in atti ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo. Più in particolare, a dire del ricorrente, il Giudice era tenuto a statuire nel merito della pretesa fatta valere, cosa non avvenuta nel caso di specie, poichè il Giudice non avrebbe constatato nè verificato l’entità dell’importo realmente da essi versato.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., rilevando che nel giudizio di appello nessuna nuova eccezione era stata proposta in ordine alla legittimità dell’operato del Condominio. Il ricorrente rileva infatti che la doglianza relativa alla notifica del decreto ingiuntivo dopo l’avvenuto pagamento era stata introdotta al punto 3) dell’atto di opposizione: tale doglianza sorgeva proprio in forza della ritenuta erroneità del comportamento del primo giudice.

Con il terzo motivo di ricorso, infine, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del principio della soccombenza virtuale, dolendosi del fatto che nè il Giudice di primo grado nè quello di appello abbiano tenuto conto del fatto che tale principio può applicarsi solo nel caso in cui l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo sia determinato dall’adempimento totale sopravvenuto all’emanazione del decreto, pur permanendo contrasto sull’onere delle spese, perchè al momento dell’emanazione il decreto era giusto e valido. Nel caso di specie, invece, il decreto doveva essere considerato ingiusto e invalido sin dal momento della sua emanazione, circostanza peraltro confermata da entrambi i giudici del merito.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Invero, posto che, con l’approvazione dell’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1135 cod. civ., erano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria in relazione alle parti comuni dell’edificio (rifacimento facciata condominiale), le relative spese dovevano essere ripartite ai sensi dell’art. 1123 cod. civ.; disposizione, questa, che, come è noto, fissa il criterio di ripartizione delle spese condominiali necessarie per la conservazione delle parti comuni e per l’esercizio dei servizi, salvo diversa convenzione, nel valore della proprietà dei singoli condomini: il riferimento è quindi alle tabelle millesimali che hanno proprio il compito di precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini. Pertanto, poichè esisteva già una suddivisione in quote, il credito poteva ben considerarsi liquido ed esigibile, e ben poteva essere oggetto di richiesta con procedura monitoria.

Del resto, non può non rilevarsi che il ricorrente, secondo quanto si desume dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, in alcun atto del giudizio ha contestato che l’importo da esso dovuto sulla base delle prima deliberazione fosse diverso, e inferiore, rispetto a quello recato nel decreto ingiuntivo e dallo stesso pagato prima della notificazione del decreto stesso.

Del tutto infondato appare infine il rilievo secondo cui il giudice di appello non avrebbe esaminato nel merito la fondatezza della pretesa azionata dal Condominio con il procedimento monitorio, atteso che la debenza della somma recata dal decreto ingiuntivo è risultata ammessa dagli stessi opponenti, con il pagamento successivo alla emissione del decreto ingiuntivo, ancorchè anteriore alla notificazione del decreto stesso, mentre costituisce una questione nuova quella concernente la mancata indagine, da parte del giudice di appello, in ordine alla attivazione, da parte dell’amministratore del Condominio, di procedure monitorie nei confronti di altri condomini sulla base della delibera del settembre 2002.

Il secondo motivo è inammissibile.

Il giudice di appello ha bensì rilevato la novità della eccezione proposta dall’appellante in ordine alla circostanza dell’avvenuta notificazione del decreto ingiuntivo successivamente all’avvenuto pagamento della somma oggetto di ingiunzione, e tuttavia ha ritenuto il motivo infondato, svolgendo sul punto un’articolata motivazione.

Trova quindi applicazione il principio secondo cui “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza” (v., da ultimo, Cass. n. 22753 del 2011). Nè l’applicazione di un simile principio può essere esclusa ritenendo che la motivazione svolta dal Tribunale in ordine alla non fondatezza del secondo motivo di appello costituisca una motivazione ad abundantiam, in relazione alla quale dovrebbe predicarsi la carenza di interesse alla proposizione della impugnazione (v., da ultimo, Cass. n. 23635 del 2011; Cass. n. 3972 del 2012). Invero, il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte – secondo cui “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (Cass., S.U., n. 3840 del 2007) – deve ritenersi riferito alla statuizione del giudice di merito che abbia negato la propria potestas iudicandi, per una ragione preclusiva di ogni esame del merito della domanda (o della impugnazione) proposta, non anche al caso, quale quello di specie, in cui il giudice del gravame, lungi dallo spogliarsi dell’esame del merito dei motivi di opposizione, li ha specificamente presi in considerazione, pervenendo alla loro reiezione.

Il terzo motivo del ricorso è infondato.

La dichiarazione della cessazione della materia del contendere, giustificata dall’intervenuto spontaneo adempimento della prestazione prima della notifica del decreto ingiuntivo, non escludeva la legittimità della richiesta del decreto ingiuntivo e la infondatezza, nel merito, dell’opposizione, rendendosi così necessario, ai fini della regolamentazione delle spese di lite, fare ricorso al criterio della soccombenza virtuale.

Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto, ma si estende anche all’accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione, con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza; ne consegue che la cessazione della materia del contendere verificatasi successivamente alla notifica del decreto – nella specie per avvenuto pagamento della somma portata dal medesimo – travolge anche il medesimo decreto che deve essere revocato, senza che rilevi, in contrario, l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto estintivo rispetto al momento di emissione dell’ingiunzione (Cass. n. 13085 del 2008; Cass. n. 21432 del 2011). Ed è appunto ciò che il giudice di primo grado, come si desume dalla sentenza impugnata, ha fatto nel presente giudizio, revocando il decreto opposto, dichiarando cessata la materia del contendere per effetto del pagamento avvenuto dopo l’emissione del decreto ingiuntivo, ma prima della sua notificazione, e facendo poi ricorso al criterio della soccombenza virtuale. Invero, il giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, deve delibare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale (Cass. n. 1412 del 2011).

Circa la correttezza dell’applicazione di tale principio, deve ricordarsi che il giudice può, in qualsiasi stato e grado del processo, dare atto d’ufficio della cessazione della materia del contendere intervenuta nel corso di giudizio qualora ne riscontri i presupposti, e cioè se risulti ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti, a ciò non ostando la perdurante esistenza di una situazione di conflittualità in ordine alle spese, dovendosi provvedere sulle stesse secondo il principio della soccombenza virtuale (Cass. n. 1412 del 2011, cit.).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Condominio intimato svolto difese in questa fase.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Redazione