L’illegittimità del contratto a termine non è sufficiente per invocarne la trasformazione a tempo indeterminato (Cass. n. 15524/2012)

Redazione 17/09/12
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Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello di S. G. avverso la sentenza n. 3/09 del 14 gennaio 2009 del Tribunale di Sassari e, in totale riforma di tale sentenza: 1) dichiara che tra la S. e il Banco di Sardegna s.p.a. intercorre un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal luglio 1993; 2) ordina la riammissione in servizio della lavoratrice nella sede e con le mansioni avute in precedenza; 3) condanna la suddetta società a corrispondere alla S. l’importo delle retribuzioni dal maggio 2005 fino all’effettiva reintegra, oltre agli accessori di legge.

La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il Tribunale ha respinto la domanda sul rilievo che il rapporto di lavoro, anche se illegittimamente avviato, si era comunque risolto per mutuo consenso;

b) in particolare il primo giudice, conformandosi a larga parte della giurisprudenza, ha ritenuto che la lunga inerzia della lavoratrice accompagnata da concordanti indici significativi, rendano palese la volontà in tal senso della stessa;

c) viceversa la semplice inerzia o il silenzio sono da considerare assolutamente neutrali e gli indici della rinuncia tacita ad un diritto da offrire e provare da parte di chi intenda avvalersene devono avere un univoco significato abdicativo;

d) tale caratteristica manca agli elementi evidenziati dal Tribunale:

1) la accettazione del TFR (che, per costante giurisprudenza non ha valenza dismissiva del diritto); 2) la partecipazione, non andata a buon fine, ad un concorso pubblico per l’assunzione presso il Banco di Sardegna (che denota la volontà di continuare, sia pure in forma diversa, il rapporto di lavoro con il Banco); 3) lo svolgimento di attività lavorativa in favore di istituti collegati con il Banco e solo una volta anche con terzi, con prestazioni cessate un anno prima dell’instaurazione del presente giudizio e attuate sempre con rapporti a termine (rispetto alle quali, anche per tale ultimo elemento, è da ritenere che abbia prevalso l’esigenza alimentare, senza che possa considerarsi essere venuta meno la volontà di proseguire il rapporto in oggetto).

e) ne consegue che l’unico elemento residuo è il lasso temporale intercorso tra l’ultimo rapporto e il tentativo di conciliazione, periodo di tempo nel quale la S., partecipando al suddetto concorso e lavorando alle dipendenze di terzi collegati con il Banco, ha dimostrato una volontà diversa da quella di considerare il rapporto de quo cessato;

f) nel merito, a fronte della mancata produzione dei contratti a termine regolari da parte del Banco e delle risultanze della prova testimoniale e, in particolare, della deposizione del teste G. – regolarmente assunta – da cui è emerso che la prassi aziendale era quella della sottoscrizione dei contratti dopo l’inizio della prestazione, i contratti stipulati con la S. non possono considerarsi legittimi sicchè la clausola appositiva del termine è nulla e si deve ritenere sussistente fra le parti, fin dal 1993 (data di inizio del primo rapporto) un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con prestazioni momentaneamente sospese e con obbligo del Banco di ripristinarlo, senza applicazione dell’art. 18 St.lav..

1- Il ricorso del Banco di Sardegna s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, ********* S..

La società ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ., nella quale chiede, in via subordinata rispetto all’accoglimento del ricorso, l’applicazione dello ius superveniem rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, in vigore dal 24 novembre 2010.

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175 e 1375 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sostiene l’illegittimità e contrarietà ai principi affermati dalla pertinente giurisprudenza di legittimità del capo della sentenza impugnata nel quale è stata esclusa la sussistenza degli elementi idonei e sufficienti all’affermazione dell’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro intercorso fra le parti per fac7’a concludentia.

In particolare si sottolinea che, secondo i suindicati principi, la mancanza di operatività del rapporto di lavoro protratta per un considerevole lasso di tempo non può che essere considerata come dimostrazione della mancanza di interesse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso.

Nella specie la S. ha cessato ogni attività lavorativa alle dipendenze del Banco di Sardegna il 30 giugno 1995 ed ha contestato la legittimità dei contratti a termine per la prima volta il 23 maggio 2005 (data di invio della richiesta alla Direzione provinciale del lavoro del tentativo obbligatorio di conciliazione).

E’, pertanto, evidente che il rapporto avrebbe dovuto essere considerato risolto, dato il lungo lasso di tempo (quasi dieci anni) nel quale la lavoratrice è stata inerte, con corrispondente legittimo affidamento del Banco sulla avvenuta definitiva cessazione degli effetti del rapporto stesso.

A favore della medesima conclusione avrebbero dovuto essere correttamente valutati molteplici elementi oggettivi che il Tribunale ha correttamente valorizzato, mentre la Corte sassarese, con motivazione apodittica e contraddittoria, ha considerato irrilevanti, cioè: 1) lo svolgimento di attività lavorativa protrattosi per un lungo periodo (dal 1998 al 2004) alle dipendenze di altri datori di lavoro (rispetto al quale la Corte si è limitata a porre l’accento sull’esigenza alimentare che ha motivato la scelta della lavoratrice, senza però indagare sulla compatibilità della scelta stessa con l’assenza di qualsiasi manifestazione di volontà della S. volta a dimostrare il proprio intendimento di sentirsi ancora dipendente del Banco, per di più operando una incomprensibile distinzione tra attività svolta aliunde a tempo determinato e a tempo indeterminato, distinzione che, ai presenti fini, è del tutto ininfluente); 2) la partecipazione, non andata a buon fine, ad un concorso pubblico per l’assunzione presso il Banco di Sardegna (che la Corte territoriale illogicamente si è limitata a considerare espressiva della volontà di lavorare presso il Banco, senza porsi il problema della compatibilità della scelta di partecipare al suindicato concorso con quella di considerare ancora in vita il pregresso rapporto di lavoro alle dipendenze del Banco); 3) la mancanza di ogni atto di messa in mora del Banco per quasi dieci anni e l’instaurazione del presente giudizio solo dopo l’intervenuta prescrizione di tutti i crediti retributivi e contributivi nascenti dal rapporto di lavoro in oggetto.

Da ciò si desume la palese illegittimità della sentenza impugnata, la cui motivazione muove dall’erroneo presupposto secondo cui la risoluzione tacita del rapporto di lavoro è configurabile solo ove vi sia un “rifiuto espresso” del lavoratore di riprendere servizio, il che significa negare (come in definitiva ha fatto la sentenza impugnata) qualunque rilevanza al comportamento concludente delle parti.

2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 115 c.p.c., art. 414 c.p.c., n. 5, art. 416 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In via subordinata, rispetto alle precedenti censure, si contesta l’affermazione della Corte sassarese secondo cui il datore di lavoro non avrebbe assolto l’onere probatorio relativo al rispetto delle formalità prescritte dalla legge non avendo, in particolare, dimostrato l’esistenza di un atto scritto firmato dalla lavoratrice almeno contestualmente all’inizio dell’attività.

Si sostiene che nessuna prova regolarmente acquisita ha dimostrato che il contratto a termine con la S. sia stato stipulato dopo l’inizio dell’attività lavorativa, visto che soltanto il teste G.G.A. ha fatto riferimento a tale circostanza.

Tuttavia, come ritualmente eccepito, non solo la Corte d’appello ha ritenuto ammissibile la prova per testi benchè fossero passati dieci anni dalla fine del rapporto ma ha addirittura ritenuto possibile escutere il G., benchè questi non fosse indicato nè nominativamente nè per carica ricoperta nel Banco nella lista testi della S.. In tale lista infatti si faceva riferimento al Direttore del personale del Banco, mentre il G., nel periodo che interessa, è stato prima Vicedirettore e poi Direttore della sola filiale di (omissis).

3.- Con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Per quel che riguarda la causale dei rapporti a termine in oggetto, la Corte territoriale ha precisato che al processo di informatizzazione di alcuni servizi non avrebbe potuto essere attribuito carattere eccezionale e transitorio, avendo esso una durata pluriennale.

Si osserva, al riguardo, che invece le esigenze nascenti dal processo di informatizzazione del sistema del Banco risultavano del tutto idonee – secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità a giustificare l’assunzione di personale a tempo determinato, perchè comportavano un incremento di attività non gestibile con la normale struttura organizzativa, come emerso chiaramente dalle risultanze istruttorie, ignorate dalla Corte sassarese.

2 – Esame delle censure.

4.- Il primo motivo del ricorso va accolto, per le ragioni di seguito esposte.

5.- Come costantemente affermato da questa Corte, e come qui si ribadisce, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.:

a) affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto (a termine), nonchè del comportamento concludente tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (vedi, fra le tante: Cass. 18 novembre 2010, n. 23319; Cass. 11 marzo 2011, n. 5887);

b) all’uopo non è di per sè sufficiente la mera inerzia o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto (vedi, per tutte: Cass. 28 settembre 2007 n. 20390, Cass. 10 novembre 2008 n. 26935, Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279) e, in ogni caso, la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice del merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (vedi: Cass. 11 novembre 2009 n. 23872; Cass. 10 novembre 2008 n. 26935, Cass. 28 settembre 2007 n. 20390, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554, Cass. 11 dicembre 2001 n. 15628, Cass. 2 dicembre 2000 n. 15403);

c) in particolare, essendo configurabile la risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 1372 c.c., comma 1, anche in presenza non di dichiarazioni ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, è suscettibile di una qualificazione in tal senso il comportamento delle parti che, in relazione alla scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto, determinano la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto per una durata e con modalità tali da evidenziare il loro completo disinteresse alla sua attuazione (Cass. 11 settembre 2003, n. 13370; Cass. 6 luglio 2007, n. 15264; Cass. 11 novembre 2009, n. 23872; Cass. 4 agosto 2011, n. 16932; Cass. 15 giugno 2001, n. 8106; Cass. 29 marzo 1995, n. 3753).

E stato, inoltre, precisato che fra le circostanze sintomatiche della manifesta carenza di interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto, assumono rilievo l’esistenza di un rilevante e significativo intervallo temporale fra la scadenza dell’ultimo dei contratti a tempo determinato e l’iniziativa giudiziale, il reperimento di altra idonea occupazione, il contenuto professionale delle mansioni svolte (vedi, in tal senso: Cass. 11 novembre 2009, n. 23872 cit.).

6.- Nel caso di specie la Corte territoriale si è discostata dai suddetti principi perchè ha escluso che potessero avere un univoco significato di risoluzione per mutuo dissenso tacito elementi invece assolutamente significativi, quali 1) il lungo lasso temporale intercorso tra la conclusione dell’ultimo rapporto di lavoro tra le parti (30 giugno 1995) e l’invio della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione (23 maggio 2005); 2) la partecipazione della S., non andata a buon fine, ad un concorso pubblico per l’assunzione presso il Banco di Sardegna; 3) lo svolgimento da parte della interessata, nel corso del suddetto intervallo, di attività lavorativa sia in favore di istituti collegati con il Banco e sia in favore di terzi.

Nè va omesso di rilevare che la suddetta decisione della Corte sassarese è sorretta da una motivazione del tutto illogica e incongrua nella quale si sostiene che:

a) il suindicato lasso temporale intercorso tra l’ultimo rapporto e il tentativo di conciliazione, non sarebbe significativo in quanto in tale periodo di tempo la S., partecipando al suddetto concorso e lavorando alle dipendenze di terzi collegati con il Banco, avrebbe dimostrato una volontà diversa da quella di considerare il rapporto de qua cessato, anzichè dimostrare semplicemente di avere interesse a trovare un lavoro (anche alle stesse dipendenze del Banco), nella convinzione della avvenuta cessazione del precedente rapporto con il Banco stesso;

b) la partecipazione (non andata a buon fine) ad un concorso per l’assunzione indetto dallo stesso Banco di Sardegna viene illogicamente considerata come manifestazione della “volontà di continuare, sia pure passando per una forma diversa, il rapporto di lavoro” con il Banco in oggetto, anzichè venire considerata come un inequivoco sintomo dell’interesse della S. a trovare un lavoro, nella consapevolezza dell’avvenuta risoluzione del precedente rapporto intercorso con il Banco;

c) lo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze di altri datori di lavoro è reputato inidoneo a dimostrare il venire meno della volontà di proseguire il rapporto in oggetto, sul rilevo che nella relativa assunzione – che non ha comportato il rifiuto di riprendere l’attività con il Banco abbia prevalso l’esigenza alimentare, senza considerare che, per le ragioni dianzi esposte, fare riferimento alla manifestazione di un “rifiuto”, si pone in radicale contraddizione con la stessa ammissibilità della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito.

A ciò è da aggiungere che la Corte territoriale non ha attribuito il dovuto rilievo al comportamento concludente dell’altra parte contrattuale, che è stato ugualmente inerte.

In questa situazione, dai suddetti elementi da valutare nel loro insieme – non poteva non desumersi l’avvenuta manifestazione tacita, ma inequivoca dell’incondizionata volontà di porre fine al rapporto in oggetto e che tale volontà fosse comune ad entrambe le parti, le quali, pertanto, ne avevano piena consapevolezza.

Tanto basta per accogliere il primo motivo del ricorso.

7.- Il secondo e terzo motivo sono assorbiti dall’accoglimento del motivo precedente.

3 – Conclusioni.

8.- In conclusione, il ricorso deve essere accolto, nei limiti sopra indicati. La sentenza va, quindi, cassata in riferimento alle censure accolte, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, per decidere la causa nel merito e quindi per respingere la domanda di S.G..

In considerazione delle vicende della controversia ed dell’esito della stessa si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di S.G..

Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo.

Redazione