L’attualità dell’esigenza cautelare del provvedimento di sospensione del professionista è da ricondursi allo “strepitus fori” (Cass. n. 19711/2012)

Redazione 13/11/12
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Svolgimento del processo

Il 22 giugno 2011 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Monza dispose la sospensione cautelare dell’avv. P.D. dall’esercizio della professione forense.

L’impugnazione proposta dall’avv. P. avverso tale provvedimento fu rigettata dal Consiglio Nazionale Forense con decisione depositata il 30 gennaio 2012.

Detto consiglio ritenne che la sospensione cautelare fosse adeguatamente motivata, sia con riferimento alla gravità delle imputazioni penali elevate a carico del professionista, pur dovendosi prescindere in sede disciplinare da ogni giudizio circa la loro fondatezza, sia con riguardo allo strepitus fori che ne era derivato, testimoniato da articoli di stampa apparsi sui quotidiani. Escluse poi il consiglio che, ai fini dell’adozione della misura cautelare, si dovesse attendere la pronuncia di una sentenza definitiva all’esito del processo penale cui l’avv. P. era stato sottoposto; e reputò che non avesse rilievo il tempo decorso dal momento della commissione dei fatti addebitati al professionista, non bastando ciò ad attenuare l’attualità dell’allarme sociale cagionato da quei fatti.

Per la cassazione di tale decisione l’avv. P. ha proposto ricorso, articolato in due motivi ed illustrato da successiva memoria.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Monza ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso l’avv. P. lamenta un vizio del procedimento, consistente nel fatto che il Consiglio Nazionale Forense avrebbe acquisito d’ufficio il dispositivo e la copia integrale della sentenza penale di condanna in primo grado, emessa nei suoi confronti per reati di falso ed appropriazione indebita, non allegata al fascicolo trasmesso dai Consiglio dell’Ordine di Monza.

La censura appare inammissibile, per difetto di rilevanza, atteso che il fatto storico dell’emissione di detta sentenza di condanna non è contestato, e che non si evidenzia alcun profilo della decisione impugnata rispetto al quale possa avere avuto incidenza decisiva la lettura di specifiche affermazioni contenute nella motivazione o nel dispositivo di quella sentenza.

2. Il secondo motivo di ricorso è volto a denunciare la violazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 43 per essere stata la sospensione cautelare adottata a notevole distanza temporale dai fatti addebitati all’incolpato, solo dopo l’emissione della sentenza penale di condanna di primo grado a carico del professionista, e senza tener conto nè del fatto che si sarebbe trattato di comportamenti non gravi e non reiterati, nè dell’assenza di qualsiasi effettiva esigenza cautelare, rispetto alla quale era mancata comunque un’idonea motivazione.

Nemmeno tali doglianze appaiono meritevoli di accoglimento.

Questa corte ha già avuto modo di precisare che il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 43, comma 3, conferisce al consiglio dell’ordine il potere di disporre in via cautelare la sospensione dall’attività professionale sulla base di una valutazione d’incompatibilità dell’addebito con l’esercizio della professione, indipendentemente da ogni indagine sulla consistenza dell’incolpazione, che rimane riservata al giudice penale (cfr. Sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28505). Ciò premesso, le considerazioni che il ricorrente svolge per sostenere che quelli per i quali egli è stato condannato penalmente in primo grado sarebbe comportamenti di scarso rilievo, in difetto di ogni loro reiterazione, si risolvono in una valutazione di merito, non consentita in questa sede. L’asserita insufficienza della motivazione della decisione cautelare al riguardo, d’altronde, non sussiste: giacchè il riferimento alla già ricordata condanna penale, per fatti inerenti all’esercizio dell’attività professionale dell’incolpato, e l’eco che ne è derivato sulla stampa costituiscono ragioni idonee a giustificare, sul piano dell’argomentazione logica, l’esigenza cautelare sulla quale il provvedimento del consiglio dell’ordine si è basato.

Quanto, poi, al tempo decorso tra la commissione dei fatti per i quali il professionista è stato imputato e l’adozione del provvedimento impugnato, è sufficiente osservare che la già rilevata esigenza cautelare è stata desunta anche e proprio dallo strepitus fori determinato dalla pronuncia di condanna penale (sulla non arbitrarietà di una tale deduzione si veda la sentenza di queste sezioni unite 25 novembre 2009, n. 24760); e, rispetto al momento in cui questo strepitus fori si è manifestato, non può parlarsi di inattualità della misura cautelare, nè a tale effetto ha rilievo la circostanza che il relativo procedimento fosse stato già da alcun tempo avviato dal competente consiglio dell’ordine.

3. Il ricorso, dunque dev’essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

La Corte costituzionale si pronuncia sulla legge ex ******** sentenza n. 251 del 15 novembre 2012 la Corte costituzionale

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