L’atto con il quale un Comune si esprime in ordine ad un progetto di “housing sociale” non è considerabile come atto politico (Cons. Stato n. 3609/2013)

Redazione 08/07/13
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FATTO

Con ricorso dinanzi al Tar Campania-Napoli, la società attuale appellante agiva per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Casagiove n. 5 del 15 marzo 2012 recante rigetto della proposta di edilizia residenziale (c.d. housing sociale) avanzata ai sensi dell’art. 11 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 e dell’art. 8 del D.P.C.M. 16 luglio 2009.
A seguito dell’emanazione dell’avviso indetto con decreto regionale n. 376/2010, la società ****** s.r.l. aveva proposto un programma di intervento di social housing da realizzarsi su suoli di proprietà siti nel Comune di Casagiove e classificati come aree a destinazione agricola dal vigente P.R.G..
Con decreti dirigenziali n. 510 dell’11 novembre 2010 e n. 62 del 3 marzo 2011 la società (unitamente ad altra società) veniva ammessa, rispettivamente, alla seconda e terza fase della selezione concorsuale. Per l’effetto, la proposta presentata dalla ZI.NI. s.r.l. accedeva alla procedura negoziata di cui all’art. 8 del decreto dirigenziale regionale n. 376/2010 (conferenza di servizi preliminare per ciascun ambito provinciale ex art. 14 bis L. 241/90).
Con nota del 9 febbraio 2012 la Regione invitava il Comune di Casagiove e la ZI.NI. s.r.l. presso i propri uffici per la prosecuzione di tale procedura negoziata e per la determinazione dei contenuti progettuali definitivi della proposta.
La Regione rappresentava inoltre che in data 19 ottobre 2011 era stato sottoscritto l’accordo di programma tra Regione e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti previsto dall’art. 4 del D.P.C.M. 16 luglio 2009 in ordine alle modalità di attivazione del programma di housing sociale regionale. Detto accordo prevedeva che, entro il termine di 180 giorni dalla comunicazione dell’avvenuta approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, la Regione avrebbe dovuto stipulare le intese con i Comuni interessati per la definitiva approvazione dei progetti ed il tempestivo avvio dei lavori. Pertanto, con la precitata nota la Regione invitava la ricorrente a trasmettere il progetto definitivo entro 45 giorni aggiungendo altresì che “Nello stesso termine andranno parimenti risolte eventuali problematiche di carattere urbanistico e/o ambientale”.
Tuttavia, i lavori della conferenza di servizi non si concludevano e, con la delibera consiliare n. 5 del 15 marzo 2012, oggetto del ricorso originario, il Comune di Casagiove esprimeva il proprio diniego sulle proposte di edilizia residenziale presentate dalla società ****** s.r.l..
In particolare, trattandosi di interventi da realizzare in aree classificate come agricole dal vigente strumento urbanistico, il Comune motivava il diniego in quanto sosteneva di preferire risolvere le problematiche residenziali nell’ambito della pianificazione urbanistica generale (avendo in corso la redazione del Piano Urbanistico Comunale – PUC) ritenuta più idonea e più adeguata in relazione all’interesse pubblico al corretto ed armonico utilizzo del territorio.
Il primo giudice rigettava i motivi di ricorso sostenuti dalla società ricorrente – che sosteneva quantomeno la esigenza di idonea motivazione a sorreggere un diniego che vanificava il percorso procedimentale già avviato su finalità aventi interesse strategico nazionale ai sensi di legge- non ritenendo che il Comune potesse essere costretto ad adeguarsi a decisioni prese da altri livelli amministrativi territoriali.
La scelta delle proposte di social housing da ammettere a finanziamento non può prescindere dall’assenso dei Comuni interessati, il cui apporto procedimentale è indispensabile al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento, specie allorquando tali programmi di intervento richiedono l’adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti.
Conseguentemente, andava esclusa dall’elenco degli interventi ammessi al programma regionale di edilizia residenziale la proposta per la quale il Comune interessato aveva espresso chiaro diniego.
Secondo il primo giudice, il ruolo del Comune è, in linea di principio, preponderante, in tema di localizzazione di interventi di housing sociale, in quanto ad esso spetta l’iniziativa e la formulazione di una compiuta proposta, mediante l’adozione del progetto di piano, competendo alla distinta autorità provinciale l’approvazione del medesimo, oltre che per ragioni di carattere ambientale, anche perché l’approvazione del PUC in corso di redazione deve essere preceduto dalla Valutazione Ambientale Strategica ex D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152.
Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la stessa società originaria ricorrente, che, dopo avere ricostruito la disciplina in materia, deduce i vizi di error in iudicando e violazione di legge sotto vari profili e cioè: la insostenibilità di atto politico e quasi non motivato del parere espresso dal Comune, sulla base della normativa in materia, che configura tali interventi di interesse strategico nazionale; la insostenibilità di un potere di veto o gradimento incondizionato sulla base delle competenze comunali; la sindacabilità da parte dell’adito giudice amministrativo dei pareri espressi dal Comune; la completa obliterazione di quanto sostenuto dalla ordinanza cautelare di questo Consiglio di Stato, che, sia pure in tale sede, aveva avvertito della esigenza di una concreta e adeguata valutazione del progetto di housing sociale alla luce delle risultanze complessive dell’iter procedimentale svoltosi a monte; si deduce come il parere del Comune avrebbe dovuto precedere e non seguire l’accordo di programma; con altro motivo si lamenta anche la erroneità della sentenza laddove ha condiviso la tesi della difesa comunale di inadeguatezza del progetto perché sovradimensionato, anche perché si tratta della ponderazione di interessi che non sono soltanto di rango comunale, ma anche sovracomunale; si lamenta la erroneità della sentenza, anche per la inconferenza delle affermazioni in ordine alla competenza in materia di valutazione ambientale strategica da parte dei Comuni.
Si deducono e ripropongono anche i vizi di illogicità del parere negativo, perché richiama un parere della Conferenza dei Capigruppo con riferimento al Piano Casa Regionale di due anni prima circa, del tutto non pertinente; è illegittimo il motivo di rinviare alla adozione del redigendo Piano Urbanistico Comunale.
Si è costituito il Comune di Casagiove, chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato. Deduce l’inammissibilità dell’appello perché non avrebbe impugnato il capo di sentenza relativo alla esclusione; per il resto insiste nel chiedere il rigetto dell’appello perché infondato.
Si sono costituiti altresì le amministrazioni statali appellate, con memoria di forma.
Alla udienza pubblica del 18 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. In via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, in quanto è evidente che la esclusione, il cui capo non sarebbe stato fatto oggetto di specifica impugnazione in appello, non è altro che la conseguenza automatica della conclusione della legittimità del diniego o parere negativo espresso dal Comune competente in relazione alla proposta di housing sociale al finanziamento regionale.
2. Nel merito, si osserva quanto segue, ricostruendo la normativa applicabile alla specie.
L’art. 11 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 (convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008 n. 133) – recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” – prevede, al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana, l’approvazione di un Piano nazionale di edilizia abitativa con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione economica (CIPE), di intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 D.Lgs. 28 agosto 1997 n. 281 e su proposta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ai sensi del terzo comma lett. e) della citata disposizione, il piano nazionale di edilizia abitativa ha ad oggetto la costruzione di nuove abitazioni, il recupero del patrimonio abitativo esistente e la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale sociale (c.d. social housing).
Tale Piano è stato approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 luglio 2009 che, all’art. 4, prevede la stipula di accordi di programma promossi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con le Regioni e i Comuni “al fine di concentrare gli interventi sull’effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale e di riqualificazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica, anche attraverso la risoluzione di problemi di mobilità, promuovendo e valorizzando la partecipazione di soggetti pubblici e privati”.
Ai sensi della richiamata disposizione, la stipulazione di tali accordi di programma avviene “sulla base delle procedure attuative di cui all’art. 8”.
In particolare, l’art. 8 del D.P.C.M. 16 luglio 2009 disciplina tali procedure statuendo che:
– le Regioni d’intesa con gli enti locali propongono al Ministero un programma coordinato di interventi volti a incrementare, in risposta alle diverse tipologie di fabbisogno abitativo, il patrimonio di edilizia residenziale sociale;
– attraverso procedure di evidenza pubblica, le proposte di intervento provenienti dai soggetti pubblici e privati interessati vengono vagliate e valutate ai fini dell’ammissibilità e dell’inserimento nel programma di edilizia abitativa;
– qualora, ai fini del coordinamento delle azioni previste nelle proposte di intervento, sia necessaria la contestuale definizione o variazione di più atti di programmazione economico-finanziaria e di pianificazione territoriale di competenza di amministrazioni diverse, è indetta un’apposita conferenza di servizi, cui partecipano tutti i soggetti interessati al rilascio di atti di assenso comunque denominati.
Ai sensi dell’art. 9 del citato D.P.C.M., i programmi di intervento dovevano pervenire al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti entro 180 gg. dalla pubblicazione del provvedimento ministeriale di ripartizione dei contributi appositamente stanziati.
Con decreto dell’8 marzo 2010, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ripartiva tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano le risorse del Piano nazionale di edilizia abitativa sulla base di predeterminati coefficienti ed assegnava alla Regione Campania la somma di euro 41.168.899,68 destinata a finanziare le quattro linee di intervento previste dall’art. 1 del Piano nazionale (incremento patrimonio edilizia residenziale pubblica, promozione anche da parte dei privati di interventi in project financing, agevolazione a cooperative edilizie, programmi integrati di promozione di edilizia residenziale sociale).
Con decreto dirigenziale n. 376 del 28 luglio 2010 la Regione Campania pubblicava l’avviso per la definizione del Programma regionale di edilizia residenziale di cui all’art. 8 del D.P.C.M. 16 luglio 2009, finalizzato ad individuare la disponibilità di soggetti pubblici, privati ed operatori economici proponenti interventi di edilizia residenziale sociale.
Tale avviso prevedeva una procedura articolata in tre fasi concernenti, rispettivamente: I) la verifica dei requisiti di ammissibilità delle proposte; II) la valutazione delle proposte medesime in base a parametri prestabiliti; III) la successiva procedura di negoziazione.
In dettaglio, ai sensi dell’art. 7 del suddetto avviso, per le proposte ritenute ammissibili era prevista l’attribuzione di massimo 100 punti assegnati in base ai seguenti criteri di valutazione: A) localizzazione degli interventi, 15 punti; B) qualità urbana, 45 punti; C) sostenibilità economica e gestionale, 40 punti.
Le proposte con un punteggio minimo di 60 punti potevano accedere alla successiva fase di approfondimento (procedura negoziata di cui all’art. 8) volta a determinare i contenuti progettuali definitivi delle proposte di housing sociale, anche con riferimento all’attivazione di operazioni urbanistiche di scambio, perequative e di incremento dei parametri volumetrici.
A tale scopo era prevista la convocazione da parte della Regione di una conferenza di servizi preliminare per ciascun ambito provinciale ai sensi dell’art. 14 bis L. 7 agosto 1990 n. 241 con la partecipazione dei soggetti proponenti ammessi nonché della Provincia e dei Comuni interessati. Il verbale conclusivo della conferenza di servizi doveva infine essere ratificato dal Comune interessato entro 30 giorni dalla sottoscrizione, al fine della necessaria dichiarazione di interesse pubblico della proposta progettuale (la mancata ratifica entro il termine prescritto avrebbe comportato l’esclusione delle proposte dall’elenco di quelle ammesse al finanziamento).
All’esito delle conferenze di servizi e sulla base del punteggio di valutazione, la Regione avrebbe formulato l’elenco delle proposte progettuali di housing ammesse a finanziamento nel programma regionale di edilizia residenziale sociale: per queste ultime sarebbe stato infine attivato l’accordo di programma di cui al D.P.C.M. 16 luglio 2009 (art. 8, quinto comma, del decreto dirigenziale 376/2010).
L’art. 8 dell’allegato A dell’Avviso per la definizione del Programma regionale di edilizia residenziale sociale, prevedeva quindi che nella fase procedurale di negoziazione venisse convocata da parte della Regione una Conferenza di servizi preliminare ex art. 14 bis della legge n. 241/90 con la partecipazione dei soggetti proponenti, la Provincia e i Comuni interessati.
È previsto, ai comma 3 e 4 del medesimo art. 8, che “3. Il verbale conclusivo della Conferenza di servizi deve essere ratificato dal Comune interessato entro trenta giorni dalla sottoscrizione, al fine della necessaria dichiarazione di interesse pubblico della proposta progettuale di Housing Sociale in questione . 4. Decorso il termine di trenta giorni le proposte non ratificate sarebbero state escluse dall’elenco di cui al comma successivo” ovverosia dall’elenco delle proposte progettuali ammesse al finanziamento nel Programma regionale di edilizia residenziale sociale”.
In tal senso, pertanto, la positiva dichiarazione di interesse da parte del Comune sul cui territorio deve essere realizzato l’intervento, è certamente indispensabile ai fini della prosecuzione dell’ammissione del progetto tra quelli finanziabili, prevedendo la disposizione in questione che il Comune si esprima positivamente sul progetto, mediante ratifica del verbale conclusivo della Conferenza dei servizi, determinandone il carattere di interesse pubblico della stessa.
Non può sostenersi che tale ratifica o assenso sia un atto vincolato da parte del Comune (anche in presenza di una dichiarazione di interesse strategico nazionale di tali interventi ai sensi del comma 11 dell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008 n.112 convertito in legge 6 agosto 2008, n.133) non essendovi alcuna indicazione normativa in tal senso e, anzi, lasciando la disposizione in esame la questione alla valutazione discrezionale dell’Ente stesso.
Ciò è, peraltro, reso più evidente dalla previsione del quarto comma del’art. 8 richiamato secondo cui in caso di mancata ratifica la proposta è automaticamente esclusa da quelle finanziabili, in quanto anche la sola mera inerzia del Comune comporta la non ammissione della proposta alle fasi successivi.
Risulta quindi evidente come la ratifica sia condizione essenziale e che la stessa non sia un atto vincolato bensì sia oggetto delle scelte amministrative del Comune.
Tale conclusione è in linea con le generali competenze attribuite al Comune in materia di governo del territorio e pianificazione urbanistica che impediscono che, in mancanza di specifiche disposizioni legislative, interventi edilizi di housing sociale siano localizzati sul territorio di un Comune senza che quest’ultimo si sia espresso positivamente, anche perché il medesimo Comune è l’ente più idoneo a valutare i bisogni di edilizia residenziale sociale sul suo territorio.
Nella suddetta materia non può sostenersi che l’atto con cui il Comune si esprime in ordine al progetto di housing sociale sia considerabile un atto politico, come tale svincolato da ogni obbligo di motivazione e sottratto al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo.
Il presupposto per cui un atto soggettivamente e formalmente amministrativo possa ritenersi avere natura politica è che lo stesso costituisca espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico.
Alla nozione legislativa di atto politico concorrono due requisiti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo: occorre, da un lato, che si tratti di atto o provvedimento emanato dal Governo, e cioè dall’Autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica; dall’altro, che si tratti di atto o provvedimento emanato nell’esercizio del potere politico, anziché nell’esercizio di attività meramente amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2588) ovverosia debba riguardare la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6083; Consiglio di Stato, sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397).
È evidente come l’atto in esame, ovverosia la manifestazione di interesse relativa ad un progetto di housing sociale, non possa rientrare tra gli atti politici, in quanto pur provenendo da un organo di vertice del Comune, riguarda sul piano oggettivo la localizzazione di un intervento edilizio, ovverosia un atto rientrante nella competenza amministrativa dell’Ente.
Tale atto, quindi, per quanto abbia un ambito di discrezionalità amministrativa piuttosto ampia, riguardando anche il governo del territorio, è comunque soggetto all’obbligo di motivazione e al normale regime di legittimità degli atti amministrativi, dovendo l’azione amministrativa sempre svolgersi in base ai principi di buona amministrazione, mediante scelte logiche e razionali, debitamente motivate.
Anche nelle ipotesi in cui la discrezionalità amministrativa si presenta come ampia, il sindacato del giudice amministrativo potrà censurare i profili di irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti e difetto di motivazione.
Come già ha osservato sia pure in sede cautelare questo Consesso (ordinanza della quinta sezione n. 3830 del 2012) la motivazione deve essere adeguata a seguito di una valutazione concreta del progetto di housing sociale, alla luce delle risultanze complessive dell’iter procedimentale svoltosi.
Il Comune con la delibera n.5 del 2012, al di là delle premesse dell’atto, ha motivato il suo dissenso in base alla circostanza che sarebbe in corso di redazione il PUC e che in quella sede intenderebbe procedere alla verifica e alle scelte delle destinazioni nell’ambito della pianificazione urbanistica generale del territorio, più idonea e più adeguata in relazione all’interesse pubblico al corretto ed armonico utilizzo del territorio.
Viene altresì richiamata la posizione espressa dalla Conferenza dei Capigruppo del 23 febbraio 2010, che in merito alle possibilità relative al Piano Casa regionale, aveva espresso la volontà di attuare la risoluzione di tali problematiche all’interno della variante al PRG, allora in itinere ed oggi definitivamente approvata.
Tale motivazione, collegata alla mera esistenza di una procedura di formazione di un nuovo Piano Urbanistico Comunale, appare allo stato generica e inidonea a giustificare l’esito negativo, in quanto non fornisce specifiche ragioni sul perché tale nuova programmazione escluderebbe la possibilità di realizzazione dell’intervento mediante l’approvazione di limitati varianti al fine del progetto in questione.
In sostanza, il provvedimento comunale sembra basato sul presupposto erroneo che basti avere in programma una nuova pianificazione urbanistica per escludere automaticamente la possibilità di qualsiasi iniziativa progettuale che, sebbene inserita in un programma Regionale di edilizia residenziale sociale, necessiti di una limitata variante al PRG di un’area a destinazione agricola.
Dall’esame degli atti risulta, difatti, che l’iniziativa in questione non sia stata presa in esame nella sua completezza e concretezza e l’organo procedente si sia fermato all’esame dell’aspetto formale dell’esistenza di un procedimento per una nuova pianificazione urbanistica.
La mera esistenza di tale procedimento, però, non si palesa come circostanza di per sé idonea a giustificare il parere negativo da parte del Comune in ordine al progetto in esame, dovendosi una valutazione negativa esprimersi su fondate ragioni carattere tecnico-urbanistico, sulla necessità di tutela di interessi pubblici prevalenti o sull’esistenza di motivate ragioni di opportunità amministrativa realmente incompatibili con l’iniziativa in questione.
Il provvedimento appare quindi affetto da difetto di motivazione.
D’altra parte, nelle premesse dell’atto il Consiglio Comunale ha dovuto richiamare – e non potrebbe essere altrimenti – i vari atti, procedimenti e fasi e quindi premettere che : 1) il DPCM del 16 luglio 2009 pubblicato sulla G.U. 19 agosto 2009 di approvazione del Piano nazionale di Edilizia Abitativa; 2) la delibera della Giunta Regionale n.572 del 22 luglio 2010 con cui la Regione ha approvato le linee in materia di ERS per la redazione e attuazione dei programmi finalizzati alla risoluzione di tali problematiche abitative e alla riqualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, sulla base delle quali emanare l’avviso pubblico per la definizione del programma regionale di edilizia residenziale sociale di cui all’art. 8 DPCM 16 luglio 2009; 3) il D.D. n.376 del 28 luglio 2010 con cui è stato approvato l’avviso per la definizione del programma regionale di edilizia residenziale sociale, pubblicato sul BURC del 2 agosto 2010; 4) la valutazione eseguita dalla Regione Campania con D.D. 62 del 3 marzo 2011 pubblicata sul BURC n.15 del 7 marzo 2011 di approvazione delle proposte che accedono alla fase di approfondimento e definizione conclusiva mediante l’attivazione della procedura negoziata ex art. 8 del richiamato avviso; 5) che in tale elenco figurano due proposte prodotte da privati, che riguardano il Comune di Casagiove; 6) che in attuazione di tali fasi la Regione Campania convocava una conferenza di servizi preliminare ai sensi dell’art. 14 bis legge 241 del 1990 e che alla seduta del 5 maggio 2011 hanno partecipato rappresentanti del Comune; 7) che in data 30 marzo 2011 la società odierna appellante aveva inviato al Comune il progetto preliminare per le valutazioni.
Ora, sulla base della complessa procedura ora descritta – pur partendo dalla affermazione che le scelte urbanistiche spettano al Comune per competenza – non può non osservarsi che, anche per il principio generale di economicità dell’attività amministrativa, non possa assistersi allo spreco della pregressa attività istruttoria, che ha ponderato e valutato interessi anche di rango sovra comunale come si desume dalla normativa in materia, ammettendo una motivazione apodittica e non adeguatamente istruita e ponderata in ordine alla concretezza dell’intervento proposto, che consentiva di accedere al finanziamento parziale dello stesso.
La manifestazione di interesse relativa ad un progetto di housing sociale non può quindi rientrare tra gli atti politici, in quanto pur provenendo da un organo di vertice del Comune, riguarda sul piano oggettivo la localizzazione di un intervento edilizio, ovverosia un atto rientrante nella competenza amministrativa dell’Ente. Tale atto, quindi, per quanto abbia un ambito di discrezionalità amministrativa piuttosto ampia, riguardando anche il governo del territorio, è comunque soggetto all’obbligo di motivazione e al normale regime di legittimità degli atti amministrativi, dovendo l’azione amministrativa sempre svolgersi in base ai principi di buona amministrazione, mediante scelte logiche e razionali, debitamente motivate. Anche nell’ipotesi in cui la discrezionalità amministrativa si presenta come ampia, il sindacato del giudice amministrativo può censurare i profili di irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamenti dei fatti e difetto di motivazione.
In un ambito sia pure in parte diverso, (Consiglio Stato sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7131) si è ritenuto che il semplice avvio del procedimento di revisione del piano regolatore generale – e quindi la giustificazione della pendenza del procedimento di revisione del PRG – non costituisca adempimento da parte del comune dell’obbligo di attribuire la riqualificazione urbanistica alla zona rimasta priva di specifica disciplina a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante, atteso che l’adempimento esatto e non elusivo di tale obbligo può essere dato soltanto dallo specifico ed immediato completamento del piano regolatore generale per quella zona, senza attendere la conclusione delle ulteriori e dilatorie procedure che comportano la riconsiderazione dell’intero piano urbanistico.
D’altronde, sia pure in via successiva e integrativa, la difesa comunale (pagine da 4 in poi), oltre a riportare il motivo esposto del diniego, riporta passaggi della Relazione dell’Assessore competente, che pure fa riferimento ad altre ragioni (non abbracciate né richiamate dalla delibera impugnata), con riguardo alla sproporzione del numero degli appartamenti e altro.
L’accoglimento del motivo di censura procedimentale relativo al difetto di motivazione, con salvezza delle successive attività procedimentali, esime il Collegio dall’esame degli altri motivi.
3. Per le considerazioni sopra svolte, salve le successive determinazioni dell’amministrazione, in riforma dell’appellata sentenza, va accolto il ricorso originario ai sensi di cui in motivazione, con annullamento dell’atto originariamente impugnato.
La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza per il Comune; le spese sono liquidate in dispositivo. Sussistono giustificati motivi di compensazione per il resto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e di conseguenza, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso originario.
Condanna il Comune appellato al pagamento in favore dell’appellante delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro cinquemila. Compensa le spese nei confronti della altre parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013

Redazione