L’amministratore può agire in giudizio nei confronti di un condominio per la rimozione di alcune opere eseguite senza autorizzazione dell’assemblea (Cass. n. 4338/2013)

Redazione 21/02/13
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Svolgimento del processo

1 – Il Condominio dello stabile sito in (omissis), citò innanzi al Tribunale del capoluogo toscano il condomino B.F. chiedendo che fosse ordinata la rimozione di alcune opere (rampa scale per raggiungere la mansarda; vano ad uso cucina; trasformazione della copertura a tetto in locale ad uso esclusivo) dal medesimo poste in essere, senza autorizzazione, su spazi condominiali (vano scala) ed a servizio dell’appartamento di proprietà esclusiva, sito all’ultimo piano, di guisa da ostacolare l’uso delle cose comuni da parte degli altri condomini.

2- Il B., nel costituirsi, ammise di aver trasformato parte del tetto in terrazza ad uso esclusivo ma negò che da ciò derivasse un pregiudizio per gli altri condomini; negò altresì di aver eseguito interventi modificativi non assentiti.

3 – L’adito Tribunale respinse la domanda, opinando che le opere in contestazione sarebbero state effettuate sulla proprietà esclusiva del B. e che da esse non sarebbe derivato alcun nocumento all’utilizzo delle proprietà comuni da parte dei condomini.

4 – La Corte di Appello di Firenze, decidendo sul gravame del Condominio, ne accolse in parte le doglianze, condannando il B. alla rimessione nel pristino stato della parte del locale sottotetto sovrastante il vano scale condominiale e della porzione del tetto che era stata trasformata in terrazza; la detta Corte pervenne a tale decisione – per quello che ancor conserva interesse in questa sede -:

a – innanzi tutto disattendendo l’eccezione di carenza di legittimazione dell’amministratore dell’ente di gestione, sollevata dal B. in relazione alla mancata autorizzazione a proporre il giudizio da parte dell’assemblea condominiale, affermando in contrario che la causa avrebbe avuto finalità cautelari, come tali rientranti in quei giudizi in cui l’amministratore può agire o resistere autonomamente; b – in secondo luogo interpretando l’atto di acquisto del B., nel senso che con lo stesso il precedente proprietario avrebbe trasferito la porzione di fabbricato tra l’appartamento sito all’ultimo piano ed il tetto condominiale ma non il volume soprastante il vano delle scale condominiali, così che, avendo il B. creato nel sottotetto un nuovo locale, utilizzando non solo il volume del sottotetto sovrastante il proprio appartamento ma anche la cubatura sovrastante le scale condominiali, avrebbe determinato una modifica non consentita della cosa comune; e – in terzo luogo sostenendo che sarebbe stata illegittima anche la trasformazione di parte della copertura a tetto in terrazza ad uso esclusivo, dal momento che ne sarebbe derivato – per la parte sovrastante l’appartamento di altri condomini – lo snaturamento della funzione propria del tetto, posto non solo a copertura dell’edificio ma anche a garantire l’isolamento termico del medesimo e comunque formante oggetto di un diritto di accesso da parte dei condomini.

5 – Per la cassazione di tale sentenza il B. ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi; il Condominio ha resistito con controricorso, svolgendo ricorso incidentale, facendo valere due motivi; la causa è stata rinviata dapprima per consentire al Condominio di produrre le delibere di autorizzazione alla costituzione in giudizio e successivamente per l’astensione dalle udienze proclamata dall’Avvocatura.

Motivi della decisione

A – I due ricorsi vanno riuniti in quanto hanno ad oggetto la medesima sentenza.

B – La decisione della Corte di Appello è stata depositata in epoca anteriore al 3 marzo 2006, data di entrata in vigore dell’art. 366 bis c.p.c., introducente l’obbligo di formulare specifico quesito di diritto per l’ammissibilità del mezzo di impugnazione; ne deriva che è infondata l’eccezione di inammissibilità dei motivi del ricorrente, laddove nell’esposizione dei medesimi il B. sia incorso nella ricordata omissione.

I – Con il primo motivo del ricorso principale viene denunziata la violazione o falsa applicazione degli artt. 948, 1130, 1131 e 1136 cod. civ. in base all’assunto che l’Amministratore del Condominio sarebbe stato privo di legittimazione a promuovere il giudizio in quanto nella fattispecie lo stesso avrebbe fatto valere in sostanza un’azione di revindica, come tale non rientrante nel novero di quelle conservative che l’amministratore, à sensi dell’art. 1131 c.c., n. 4, può promuovere autonomamente; con il primo motivo di ricorso incidentale (evidentemente condizionato all’accoglimento dell’avversaria censura) il Condominio deduce invece l’esistenza di un vizio di motivazione nella pronunzia della Corte fiorentina laddove la stessa avrebbe ritenuto che con la Delib. Condominiale 2 dicembre 1986 l’assemblea non avrebbe dato mandato all’Amministratore di agire contro il B., assumendo erroneamente che l’autorizzazione avrebbe interessato altra causa.

1/a – Il primo motivo è infondato ed il correlativo mezzo incidentale ne risulta assorbito.

1/b – Invero dall’esame del combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c. emerge che la prima norma, al punto 4, fa obbligo all’amministratore di: “compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”: nei limiti di questa attribuzione, l’amministratore del condominio ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi; secondo l’interpretazione di questa Corte, il legislatore ha inteso riferirsi agli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile (v Cass. 8233/07), cioè ad atti meramente conservativi (adde, nel medesimo senso, più di recente: Cass. 16230/2011; Cass. 14626/2010); più specificamente la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto la legittimazione attiva dell’amministratore ad agire in giudizio senza l’autorizzazione dell’assemblea: per conseguire la demolizione della soprelevazione realizzata in violazione delle prescrizioni e delle cautele fissate dalle norme speciali antisismiche (Cass., Sez. Un., 8 marzo 1986, n. 1552); per ottenere la rimozione di alcuni vani costruiti sull’area solare dell’ultimo piano (Cass. Sez. 2, 21 marzo 1969, n. 907); per conseguire la demolizione della costruzione effettuata, anche alterando l’estetica della facciata dell’edificio, sulla terrazza di copertura (Cass. Sez. 2, 12 ottobre 2000, n. 13611); in via possessoria, contro la sottrazione, ad opera di taluno dei condomini, di una parte comune dell’edificio al compossesso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 3 maggio 2001, n. 6190; Cass. Sez. 2, 15 maggio 2002, n. 7063); per chiedere il risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni (Sez. 2, 22 ottobre 1998, n. 10474).

1/d – Orbene dalla lettura della narrativa di fatto sopra riportata, appare evidente che il Condominio intese tutelare l’utilizzo da parte dei singoli condomini dello spazio a sottotetto e dell’area sovrastante il vano scale, assumendo che le opere poste in essere del B. sarebbero state idonee ad arrecare pregiudizio a tale uso:

l’esame dei titoli di provenienza e le statuizioni circa l’oggetto della vendita al B. non erano dunque finalizzati a valutare la titolarità in capo allo stesso di parte dei beni comuni, bensì – e per incidens – a sottoporre ad analisi critica le giustificazioni del convenuto alle pretese dell’ente di gestione.

2 – Con il secondo motivo il B. deduce che la sentenza della Corte fiorentina sarebbe stata viziata da violazione o da falsa applicazione dei principi relativi all’identificazione del contratto (art. 1321 cod. civ.); alla sua conclusione (art. 1326 cod. civ.);

alla nozione di transazione (art. 1965 cod. civ.) nonchè da vizio di motivazione – omessa, contraddittoria o insufficiente – allorchè avrebbe disatteso l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse del Condominio per effetto dell’intervenuta transazione a seguito dell’accettazione, da parte dell’assemblea condominiale in data 5 giugno 2001, della proposta, in quella sede avanzata da esso deducente, di porre termine all’intero contenzioso con il Condominio – avente ad oggetto anche altre cause – con compensazione delle spese; sul punto il ricorrente mette in evidenza che sarebbe stato contraddittorio dare atto dell’incontro tra la volontà conciliativa di esso ricorrente e quella dei condomini, nel corso di detta assemblea, per poi negare natura di transazione a tale atto.

2/a – Il motivo deve dirsi fondato in quanto dalla lettura del contenuto del verbale di assemblea riportato a fol. 7 del ricorso emerge che il condomino manifestò la sua ferma intenzione di rinunziare alle varie cause pendenti (“il sig. B. dichiara e sottoscrive e riconferma l’assoluta disponibilità a transigere tutte le cause attualmente pendenti, con compensazione delle spese, nei vari gradi del giudizio, senza condizione alcuna”) e che, contestualmente, l’assemblea diede il proprio assenso a tale manifestazione di volontà (“l’assemblea, allo scopo di tentare una generale pacificazione all’interno del condominio, delibera unanimemente di accettare la proposta transattiva così come formulata dal sig. B.”) prevedendo nel contempo l’affidamento al proprio legale dell’incarico di formalizzare il già raggiunto accordo (“…ed invita l’amministratore a contattare l’avv. C. perchè le decisioni abbiano le formali attuazioni…”).

2/b – A fronte di tali emergenze di causa il giudice dell’appello ha valorizzato esclusivamente il fatto che, successivamente, detto accordo non produsse gli sperati effetti, non ponendo a mente – e quindi incorrendo nel vizio di insufficiente motivazione – che la delibazione critica commessagli dal motivo di gravame aveva ad oggetto: da un lato, la verifica della formazione di un accordo – se vuolsi: “quadro” – sulla proposta del B. e, dall’altro, gli effetti di tale accordo; l’escludere la corrispondenza del pur riconosciuto incontro delle volontà allo schema portato dall’art. 1965 cod. civ. voleva dunque dire non portare la propria attenzione al prius logico rappresentato dal valore vincolante dato dall’accettazione della proposta e, con ciò, privare di consequenzialità logica il risultato interpretativo cui poi si era pervenuti (cfr. fol quinto della sentenza: “…cosa ben diversa da ciò che è necessario perchè possa ritenersi stipulato il contratto di cui all’art. 1965 cod. civ.”).

2.c – L’accoglimento del motivo comporta la cassazione della sentenza in parie qua commettendosi al giudice del rinvio una rinnovata valutazione dell’oggetto e dei limiti del già raggiunto accordo sulla continuazione della lite.

3 – Gli altri motivi del ricorso principale e di quello incidentale ne risultano assorbiti.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi; rigetta il primo motivo del ricorso principale;

accoglie il secondo e dichiara assorbiti gli altri motivi dello stesso nonchè del ricorso incidentale; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Redazione