Inutile invocare circolari ministeriali a sostegno della propria domanda: sono meri atti interni non vincolanti per il giudice (Cass. pen. n. 25170/2012)

Redazione 25/06/12
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Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Salerno ha rigettato, in data 28.6.2011, quale giudice dell’esecuzione, la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive disposto con sentenza emessa il 7.7.2006 dalla Corte medesima, presentata nell’interesse di L.M. A..

Avverso tale provvedimento il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un unico motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, rilevando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente respinto la richiesta, supportata dal rilascio, in data successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, di un permesso di costruire in sanatoria per “condono edilizio”, in quanto le opere realizzate consistevano in un capannone di mq 450 avente destinazione non residenziale.

La condonabilità delle opere, secondo il ricorrente, era stata esclusa dal giudice dell’esecuzione sulla base di quanto disposto dalla L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 25, dichiarato incostituzionale con sentenza n. 196/2004 ed interpretato dalla circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 7 dicembre 2005 n. 2699 nel senso che deve ritenersi ammessa la condonabilità degli interventi aventi destinazione non residenziale.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

 

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Come si è avuto modo di affermare ripetutamente, il D.L. n. 269 del 2003, art. 32 limita l’applicabilità del condono edilizio, con riferimento alle nuove costruzioni, a quelle aventi destinazione residenziale (Sez. III, n. 8067, 27 febbraio 2007; Sez. III n. 21679, 7 maggio 2004; Sez. III, n. 14436, 24 marzo 2004; Sez. III, n. 3358, 29 gennaio 2004), ciò in quanto l’art. 32, comma 25, ultimo periodo si riferisce espressamente alle nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

Nella fattispecie, come evidenziato chiaramente nel provvedimento impugnato, il manufatto che si assume condonato consisteva in un capannone avente una superficie di mq 450 e destinazione evidentemente non residenziale.

4. Del tutto inconferenti risultano, inoltre, i reiterati richiami effettuati in ricorso alla già indicata giurisprudenza costituzionale, atteso che la sentenza n. 196 del 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione correttamente applicata dalla Corte territoriale solo nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 del medesimo art. 32 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati.

5. Altrettanto correttamente i giudici dell’esecuzione hanno ritenuto del tutto privo di rilievo il contenuto della richiamata circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Va a tale proposito ribadito quanto già affermato (Sez. III, n. 19330, 17 maggio 2011) proprio con riferimento al suddetto documento e, cioè, che la circolare interpretativa è atto interno alla pubblica amministrazione che si risolve in un mero ausilio interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poichè non può comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo.

Con l’occasione si richiamava una precedente pronuncia delle Sezioni Unite Civili di questa Corte sulla natura ed efficacia delle circolari la quale aveva evidenziato, con riferimento a quelle interpretative in materia tributaria, la natura di atti meramente interni alla pubblica amministrazione che esprimono esclusivamente un parere dell’amministrazione medesima non vincolante per il contribuente, per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice (SS.UU. civili n. 23031, 2 novembre 2007), osservando che “la circolare emanata nella materia tributaria non vincola il contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento ad essa uniforme, in piena coerenza con fa regola che in un sistema tributario basato essenzialmente sull’auto tassazione, la soluzione delle questioni interpretative è affidata (almeno in una prima fase, quella, appunto, della determinazione dell’imposta da corrispondere) direttamente al contribuente. La circolare nemmeno vincola, a ben vedere, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall’ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo “per violazione della circolare”: infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l’atto emanato sarà legittimo perchè conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l’atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge. La circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata… La circolare non vincola, infine… il Giudice tributario (e, a maggior ragione, la Corte di Cassazione) dato che per l’annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione data dall’amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere disapplicata la circolare, in quanto l’ordinamento affida esclusivamente ai Giudice il compito di interpretare la norma (del resto, ai Giudice tributario è attribuita, nella materia tributaria, la giurisdizione esclusiva)”.

6. Del tutto correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha proceduto alla valutazione del titolo abilitativo sanante esibito nel corso dell’udienza.

La giurisprudenza di questa Sezione ha da tempo chiarito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensì doverosa verifica dell’integrazione della fattispecie penale (si vedano Sez. III, n. 21487, 21 giugno 2006, contenente dettagliata ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza sul tema; Sez. III, n. 40425, 12 dicembre 2006, Sez. III, n. 1894, 23 gennaio 2007; Sez. III, n. 41620, 13 novembre 2007; Sez. III, n. 35389, 16 settembre 2008; Sez. III, n. 9177, 2 marzo 2009; Sez. III, n. 28225, 10 luglio 2008; Sez. III, n. 14504, 2 aprile 2009; Sez. III, n. 34809, 8 settembre 2009; Sez. III, n. 35391, 30 settembre 2010).

Il menzionato potere dovere del giudice in presenza dell’atto abilitativo illegittimo deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poichè il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. III, n. 23080, 10 giugno 2008; conf. Sez. III n. 26144, 1 luglio 2008; Sez. III, n. 12869, 24 marzo 2009; Sez. III n. 27948, 8 luglio 2009; Sez. III, n. 31479, 29 luglio 2008).

Le argomentazioni poste a sostegno dell’orientamento appena richiamato valgono, ovviamente, anche per quanto riguarda il giudizio di esecuzione, con riferimento al quale questa Corte ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di “condono edilizio” non determina l’automatica revoca dell’ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l’obbligo di accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge (Sez. III, n. 39767, 11 novembre 2010; Sez. III, n. 46831, 22 dicembre 2005).

Il provvedimento impugnato risulta, pertanto, del tutto immune da censure.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Redazione