Intermediazione finanziaria: la condanna che rende esecutiva la sanziona finanziaria può essere impugnata anche dalla persona fisica colpevole dell’illecito (Cass. n. 19509/2013)

Redazione 23/08/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria in data 11 aprile 2006, ha dichiarato inammissibile l’opposizione promossa da T.E.J. (consigliere di amministrazione di Capitalia e della Banca di Roma dal 18 maggio 2000 al 1 luglio 2001), avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’economia e delle finanze n. 79589 del 19 luglio 2005, con cui era stato ingiunto il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione di norme legislative e regolamentari in materia di intermediazione finanziaria a Capitalia s.p.a. e a Banca di Roma s.p.a., con obbligo di regresso nei confronti di T.E.J., nella qualità di esponente aziendale dei detti istituti di credito.

La Corte d’appello ha ritenuto la carenza di legittimazione attiva dell’esponente aziendale rilevando che, in materia di sanzioni amministrative per violazione della disciplina in materia di intermediazione finanziaria, l’esponente aziendale, autore materiale dell’illecito, difetta di un interesse giuridico attuale e concreto alla rimozione del provvedimento impugnato, emesso nei confronti di un soggetto diverso.

Con il medesimo decreto, la Corte d’appello di Roma ha accolto l’opposizione proposta da Banca di Roma s.p.a. (già ********* Finanziaria s.p.a.) avverso il citato decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, annullando l’ingiunzione di pagamento, con obbligo di regresso nei confronti dei responsabili – emessa a carico dell’istituto opponente, mentre ha rigettato l’opposizione proposta da Capitalia s.p.a..

Per la cassazione del decreto della Corte d’appello Capitalia s.p.a. e T.E.J. hanno proposto ricorso sulla base di cinque motivi.

Il Ministero ha resistito con controricorso e ha proposto a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo, dolendosi dell’accoglimento dell’opposizione di Banca di Roma s.p.a..

Avverso il decreto della Corte d’appello di Roma ha proposto ricorso incidentale condizionato anche Banca di Roma s.p.a., sulla base di sei motivi, cui ha resistito, con controricorso, la CONSOB, la quale ha anche proposto ricorso incidentale condizionato.

In prossimità dell’udienza hanno depositato memoria i ricorrenti principali, Banca di Roma s.p.a., nonchè la CONSOB.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve preliminarmente essere disposta la riunione del ricorso principale e di quelli incidentali, in quanto relativi alla medesima decisione (art. 335 cod. proc. civ.).

2. – Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente principale T. E.J. si duole che la Corte d’appello di Roma lo abbia ritenuto privo di un interesse giuridico attuale e concreto alla rimozione del provvedimento sanzionatorio, individuando nella Banca, destinataria dell’ingiunzione, l’unica legittimata all’opposizione.

A tal fine il ricorrente prospetta violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, formulando il seguente quesito di diritto:

“Nei procedimenti sanzionatori instaurati ex art. 195 TUF, gli esponenti aziendali dell’intermediario nei confronti dei quali sia rivolto il provvedimento sanzionatorio, anche ove non siano direttamente destinatari di ingiunzione di pagamento, sono legittimati a promuovere l’impugnazione del provvedimento stesso presso la competente Corte d’Appello”.

2.1. – Con il secondo motivo del ricorso principale, si denuncia la illegittimità del decreto impugnato per violazione, da parte della CONSOB, del termine di 90 giorni di cui alla L. n. 689 del 1981 per la notifica delle contestazioni, e si chiede che venga affermato il seguente principio di diritto: “Nei procedimenti sanzionatori instaurati ex art. 195 TUF, 1) ai fini della conclusione dell’accertamento, comprensivo dell’acquisizione e della valutazione del fatto, la ripartizione tra gli uffici di vigilanza della CONSOB preposti agli accertamenti ed organi di vertice (la commissione) ha un rilievo meramente interno; 2) la contestazione della violazione all’interessato deve avvenire immediatamente non appena esaurito l’accertamento relativo alla singola ipotesi di violazione, non essendo consentito posticipare il termine per la contestazione dell’addebito in considerazione dello svolgimento di nuove indagini relative ad ulteriori ipotesi di violazione ancora in corso di accertamento; 3) nel corso dell’accertamento la valutazione dei fatti acquisiti non può costituire un espediente per dilatare il termine della contestazione in quanto, pur in assenza di limiti temporali predeterminati, tali indagini devono avvenire entro un termine congruo a seconda delle circostanze”.

2.2. – Con il terzo motivo del ricorso principale – rubricato violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 e del regolamento CONSOB n. 12697/2000 – si deduce la illegittimità del decreto per violazione, da parte della CONSOB, del termine di conclusione del procedimento amministrativo di sua competenza previa disapplicazione dell’art. 4 del Regolamento CONSOB n. 12697/2000.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “La consumazione del termine che l’Amministrazione si è autoassegnata L. n. 241 del 1990, ex art. 2, comma 2, per la conclusione del procedimento sanzio-natorio ex art. 195 TUF comporta la decadenza dal potere di esercitare l’azione sanzionatoria e l’esaurimento-consumazione del potere stesso, il che è motivo di vizio del provvedimento tardivo che deve ritenersi non conforme al dettato legislativo e quindi annullabile”.

2.3. – Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del divieto di retroattività della sanzione amministrativa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 1, in relazione alla violazione dell’art. 21 TUF e dell’art. 56 del regolamento CONSOB n. 11522/1998, e si formula il seguente quesito di diritto: “L’art. 21, comma 1, lett. d), TUF richiede all’intermediario di adottare procedure “idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi”; lo stesso TUF delega la CONSOB a disciplinare con regolamento “le procedure relative ai servizi prestati” (art. 6, comma 2, del TUF). Al riguardo, l’art. 56 del regolamento CONSOB n. 11522/1998, fino all’agosto 2002, si limitava ad imporre la definizione di procedure idonee a ricostruire le modalità, i tempi e le caratteristiche dei comportamenti posti in essere nella prestazione dei servizi, mentre l’obbligo – ulteriore e non meramente esplicativo dell’art. 21, comma 1, lett. d), TUF – di dotarsi di “procedure idonee ad assicurare l’ordinata e corretta prestazione dei servizi” è stato introdotto solamente con delibera n. 13710 del 6 agosto 2002, in vigore dal successivo 18 agosto;

l’assenza, precedentemente al 18 agosto 2002, di procedure idonee ad assicurare l’ordinata e corretta prestazione dei servizi non è pertanto sanzionabile”.

2.4. – Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, lett. c) TUF e dell’art. 27 del Regolamento Intermediari in relazione alla qualificazione della fattispecie di conflitto di interessi rilevante ai fini della normativa di settore, e si chiede l’affermazione del seguente principio di diritto:

“Nell’ambito della prestazione alla clientela del servizio di negoziazione per conto proprio o per conto terzi da parte di un intermediario abilitato, non costituisce per l’intermediario negoziatore una ipotesi di conflitto di interessi rilevante ai sensi della normativa di settore e sottoposta all’obbligo di informativa al cliente (art. 21, comma 1, lett. c, TUF e art. 27 Regolamento CONSOB n. 11522/1998): 1) l’aver finanziato il soggetto emittente i titoli oggetto di negoziazione in quanto, essendo tali titoli già emessi e sottoscritti, la struttura economico-patrimoniale dell’emittente risulta indifferente ai successivi scambi dei detti titoli sul mercato secondario; 2) l’aver partecipato al consorzio di collocamento dei titoli oggetto di negoziazione in quanto, nel caso in cui la negoziazione dei titoli sia successiva all’avvenuta positiva conclusione del collocamento, gli eventuali obblighi assunti dall’intermediario relativamente al collocamento risultano già venuti meno”.

3. – Con il proprio ricorso incidentale il Ministero denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 195 TUF, dell’art. 2650 cod. civ. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: “l’art. 2650 c.c. e art. 58 del T.U.B. devono trovare applicazione ai fini dell’applicazione della disciplina prevista dall’art. 195 del T.U.F. laddove tra il momento della violazione e quello dell’applicazione della sanzione amministrativa sia intervenuta una cessione d’azienda”.

4. – Con il proprio ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso incidentale del Ministero, Banca di Roma s.p.a. svolge motivi coincidenti con quelli articolati nel ricorso principale.

5. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato, giacchè “in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’obbligatorietà dell’azione di regresso prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 9, nei confronti del responsabile, comporta, anche in ragione dell’efficacia che nel relativo giudizio è destinata a spiegare la sentenza emessa nei confronti della società o dell’ente cui appartiene, che, anche qualora l’ingiunzione di pagamento sia emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla persona fisica autrice della violazione dev’essere riconosciuta un’autonoma legittimazione ad opponendum, che le consenta tanto di proporre separatamente opposizione quanto di spiegare intervento adesivo autonomo nel giudizio di opposizione instaurato dalla società o dall’ente, configurandosi in quest’ultimo caso un litisconsorzio facoltativo, e potendosi nel primo caso evitare un contrasto di giudicati mediante l’applicazione delle ordinarie regole in tema di connessione e riunione di procedimenti” (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20929).

6. – Decidendo in ordine ad una controversia analoga alla presente, questa Corte ha ritenuto che l’accoglimento del motivo concernente l’affermazione della legittimazione attiva dell’esponente aziendale comportasse l’assorbimento delle altre censure (Cass. n. 14208 del 2012).

Invero, si è osservato nella citata pronuncia, che la conseguenza dell’accoglimento del ricorso proposto dalle persone fisiche, alle quali la Corte d’appello aveva negato la legittimazione all’opposizione, non potesse essere altra che la caducazione del provvedimento impugnato con effetto nei confronti di tutte le parti, e quindi anche per la parte in cui è stato rigettato il ricorso di Capitalia s.p.a..

Tale conclusione, peraltro già applicata da questa Corte nella sentenza n. 14406 del 2010, sia pure senza una specifica motivazione sul punto (l’esame degli altri motivi del ricorso proposto dall’istituto di credito e dagli esponenti aziendali, dei quali la Corte d’appello aveva in quel caso escluso la legittimazione, era stato ritenuto assorbito dall’accoglimento del primo motivo attinente alla legittimazione ad opponendum degli esponenti aziendali), è stata argomentata sulla base dei seguenti rilievi.

In primo luogo, si è rilevato che, ove così non fosse, nel giudizio di rinvio che farà seguito alla presente decisione per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, l’accertamento in ordine alla esistenza delle contestate violazioni, conseguente all’eventuale rigetto dei motivi di ricorso proposti dall’istituto di credito – l’unico nei confronti del quale la Corte d’appello abbia pronunciato sul merito dell’opposizione – non potrà non incidere anche sulla posizione degli esponenti aziendali, i quali, pur avendo manifestato la volontà di opporsi al provvedimento sanzionatorio e pur avendolo fatto unitamente all’istituto di credito, sono stati erroneamente ritenuti non legittimati alla partecipazione al giudizio di opposizione.

Si è poi osservato che per effetto della statuizione della Corte d’appello si è venuta a creare una singolare situazione, rinvenibile nei medesimi termini anche nel caso di specie: da un lato, gli esponenti aziendali – che pure avevano manifestato la volontà di opporsi al provvedimento sanzionatorio – sono stati erroneamente esclusi dal giudizio in quanto ritenuti carenti di legittimatio ad opponendum; dall’altro, la infondatezza dei motivi di opposizione proposti anche dagli esponenti aziendali – esaminati dalla Corte d’appello per rispondere alle medesime censure proposte dall’istituto di credito – è stata accertata dalla Corte d’appello. La statuizione sul punto è stata censurata sia dall’istituto di credito che dagli esponenti aziendali. E’ evidente, peraltro, da un lato, che le censure mosse in proposito dagli esponenti aziendali non possono in questa sede essere esaminate, non avendo le stesse formato oggetto di esame da parte del giudice dell’opposizione; dall’altro, che l’avvenuta dichiarazione di inammissibilità del ricorso in opposizione dai detti esponenti proposto rende le statuizioni di merito a loro non opponibili.

Ed ancora, si è rilevato che sarebbero invece ammissibili le censure svolte in ordine alla statuizione sul merito della opposizione dall’istituto di credito. Peraltro – si è osservato -, la utilità del giudizio di opposizione in sede di rinvio con riferimento alla posizione degli esponenti aziendali, destinatari dell’azione di regresso da parte dell’istituto di credito nel caso in cui il ricorso di quest’ultimo venisse rigettato, con conseguente definitività dell’accertamento di responsabilità in ordine alle violazioni oggetto del provvedimento sanzionatorio, verrebbe del tutto frustrata, nel senso che – in disparte eventuali eccezioni di tipo personale – gli esponenti medesimi sarebbero soggetti all’azione di regresso scaturente dal passaggio in giudicato della decisione di rigetto della opposizione nei confronti dell’istituto di credito. Ove invece si volesse ritenere non opponibile agli esponenti aziendali il giudicato formatosi nei confronti dell’istituto di credito, si ammetterebbe la possibilità di un inammissibile conflitto di giudicati.

Si è quindi ritenuto che la eventualità di un simile conflitto inducesse a ritenere assorbite le censure proposte dall’istituto di credito, nel senso che nel giudizio di rinvio, con la partecipazione degli esponenti aziendali che hanno espresso la volontà oppositiva e dell’istituto di credito, possa procedersi ad un nuovo esame della opposizione, il cui provvedimento conclusivo sia opponibile a tutte le parti del giudizio stesso.

In conclusione, si è affermato che il vulnus arrecato al diritto di difesa degli esponenti aziendali non potrebbe essere eliminato in altro modo che attraverso la caducazione del provvedimento giurisdizionale che, rigettando l’opposizione proposta dall’istituto di credito, è inevitabilmente destinato a precludere un diverso accertamento con riferimento alla posizione dei soggetti erroneamente dichiarati non legittimati all’opposizione congiuntamente proposta all’istituto di credito.

7. Tale ricostruzione del rapporto intercorrente tra la posizione processuale degli esponenti aziendali e quella dell’istituto di credito è stata valutata dalle parti del presente giudizio nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza e dallo stesso Procuratore Generale in udienza. Parte ricorrente ha condiviso la soluzione adottata dalla richiamata sentenza; la CONSOB ha espresso perplessità; il P.M. ha prospettato la eventualità di rimettere la questione in esame alle Sezioni Unite.

7.1. Il Collegio ritiene che l’orientamento di cui si è dato conto debba essere confermato, con le seguenti precisazioni.

Nella precedente pronuncia si è invero rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte, con riferimento alla persona fisica, autrice della violazione, sanzionata ma non direttamente ingiunta, sono pervenute alla conclusione che quest’ultima abbia la legittimatio ad opponendum e la posizione processuale del litisconsorte facoltativo. Si è altresì ricordato che le Sezioni Unite hanno rilevato che, ove non si ammettesse la legittimazione processuale delle persone fisiche autrici degli illeciti, sarebbero conseguenziali gli effetti del giudicato destinati a riverberarsi sulla successiva azione di regresso per cui, comminata la sanzione ai soggetti ritenuti autori delle violazioni, e però ingiunto il pagamento soltanto alla persona giuridica solidalmente responsabile con essi, allorchè questa, esaurite le proprie difese nel corso del procedimento amministrativo e poi del giudizio di opposizione, abbia pagato la sanzione, all’autore materiale del fatto non resterà che pagare in rimborso l’intero (salve limitate eccezioni personali che abbia da opporre alla società, ad esempio di compensazione), senza che egli possa più far valere alcun argomento circa l’illegittimità della sanzione nel corso del giudizio che lo veda convenuto dall’ente con l’azione di regresso.

Orbene, prendendo le mosse dalla detta qualificazione, il Collegio ritiene che nel caso in cui – come in quello di specie – l’esponente aziendale e l’istituto di credito propongano congiuntamente opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti dell’istituto per le violazioni commesse dall’esponente aziendale, con obbligo di regresso, si determini una situazione di litisconsorzio processuale, il quale richiede che il procedimento stesso, come introdotto, venga definito dalla Corte d’appello competente nei riguardi di tutte le parti opponenti. Ove poi la Corte d’appello, errando, abbia negato la legittimazione dell’esponente aziendale e, come nel caso di specie, abbia poi esaminato la posizione dell’istituto di credito, la cui responsabilità postula l’accertamento della violazione commessa da parte dell’esponente aziendale, la dipendenza esistente tra la posizione dell’istituto di credito e quella degli esponenti aziendali comporta, ove la questione venga devoluta alla cognizione del giudice dell’impugnazione, la necessità della partecipazione di quelle stesse parti al giudizio di impugnazione (in tale senso, Cass., n. 16699 / del 2012, relativa al rapporto tra creditore, debitore e fideiussore). Ovviamente, perchè ciò possa utilmente avvenire, la statuizione adottata in primo grado nei confronti dell’istituto di credito, tenuto conto della configurazione del rapporto intercorrente in materia tra esponenti aziendali e istituto di credito, e segnatamente dell’obbligo di regresso stabilito a carico dell’istituto di credito nei confronti degli esponenti aziendali nel caso di accertamento della sussistenza degli illeciti contestati, deve essere rimossa, onde consentire che quel giudizio ritualmente introdotto con l’atto di opposizione anche da parte degli esponenti aziendali, possa svolgersi nei loro confronti senza pregiudizi di sorta derivanti dalla già accertata sussistenza degli illeciti contestati.

In tal senso, il Collegio ritiene quindi di dare continuità a quanto statuito da Cass. n. 14208 del 2012, non ravvisandosi neanche la necessità di investire della questione le Sezioni Unite, non essendo tale soluzione in linea di contrasto con la qualificazione del rapporto in termini di litisconsorzio facoltativo, salva la verifica della detta qualificazione sul piano processuale, nel caso in cui – come nella specie – il giudizio sia stato originariamente proposto da istituto di credito ed esponenti aziendali destinatari della contestazione della condotta illecita, da cui è scaturita la sanzione irrogata all’istituto di credito, con obbligo di esercitare l’azione di regresso.

8. – L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale determina quindi l’assorbimento degli altri motivi, ma non del ricorso incidentale proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, volto a censurare l’autonomo capo del decreto della Corte d’appello di Roma con cui è stata accolta l’opposizione proposta dalla “nuova” Banca di Roma s.p.a., cessionaria del ramo di azienda della “vecchia” Banca di Roma s.p.a. ed è stata annullata l’ingiunzione di pagamento emessa nei confronti della detta società.

Anche a questo proposito, deve rilevarsi che nella sentenza n. 14208 del 2012, questa Corte ha esaminato una analoga questione pervenendo a ritenere infondato il ricorso incidentale del Ministero dell’economia e delle finanze; e ciò sul rilievo – valido anche nel caso di specie – che il ricorso stesso non attinge la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

La Corte d’appello, invero, ha ritenuto che la responsabilità solidale delle società e degli enti ai quali gli autori delle violazioni “appartengono” debba essere accertata con riferimento al momento in cui la violazione è stata commessa, e quindi dando rilievo al legame esistente in quel momento tra la persona fisica autrice della violazione e l’istituto di appartenenza.

Peraltro, l’amministrazione ricorrente in via incidentale non si pone il problema del significato da attribuire alla previsione, contenuta sia nell’art. 2560 c.c., comma 2, sia nel D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, secondo cui il cessionario in tanto risponde delle obbligazioni del cedente, in quanto queste risultino dai libri contabili obbligatori, e non deduce che la detta circostanza fosse acquisita agli atti del giudizio di opposizione.

Il ricorso incidentale del Ministero dell’economia e delle finanze va, quindi, rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale di Banca di Roma s.p.a..

8.1. Il rigetto del ricorso incidentale del Ministero delle Finanze comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato di Banca di Roma s.p.a. e del ricorso incidentale condizionato proposto da CONSOB avverso tale ricorso incidentale condizionato.

9. – Nei rapporti tra tali parti, relativamente alla statuizione del decreto impugnato concernente la posizione di Banca di Roma s.p.a. le spese del giudizio possono essere compensate, mentre con riguardo alle statuizioni del decreto impugnato che vengono caducate, la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità va rimessa al giudice di rinvio.

10. In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri, rigettato il ricorso incidentale del Ministero, con assorbimento del ricorso incidentale di Banca di Roma s.p.a., il decreto impugnato va cassato limitatamente alle statuizioni riguardanti la declaratoria del difetto di legittimazione degli esponenti aziendali e alla reiezione della opposizione proposta da Capitalia s.p.a., ferma la statuizione relativa all’accoglimento della opposizione proposta dalla “nuova” Banca di Roma s.p.a..

La cassazione va disposta con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale procederà a nuovo esame delle opposizioni proposte dagli esponenti aziendali e da Capitalia.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, con esclusione di quelle che hanno formato in questa sede oggetto di compensazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; rigetta il ricorso incidentale del Ministero dell’economia e delle finanze e dichiara assorbiti il ricorso incidentale di Banca di Roma s.p.a. e della CONSOB, compensando tra queste parti le spese del giudizio di legittimità;

cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e alla statuizione di rigetto dell’opposizione di Capitalia s.p.a.; rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, con esclusione di quelle che hanno formato in questa sede oggetto di compensazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 gennaio 2013. 

Redazione