Insidia stradale sorta subito prima dell’incidente: nessuna responsabilità per il Comune (Cass. n. 15196/2013)

Redazione 18/06/13
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Ordinanza

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, é stata depositata la seguente relazione:
“1. La sentenza impugnata, (App. Aquila, 3/10/2011 notificata 1/12/2011), confermando quella di primo grado, ha, respinto l’appello dato che “l’ipotizzata concretizzazione dell’insidia appena prima del fatto” ne avrebbe prima ancora che escluso la prevedibilità da parte del danneggiato, la tempestiva eliminazione da parte del Comune, così escludendo i profili di colpa su cui si basa la responsabilità ex art. 2043 c.c.
2. Il D. ricorre per cassazione, deducendo:
2.1. Omessa, insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo sulla valutazione delle prove.
2.2. Nullità della sentenza con riferimento all’art. 115 c.p.c.
2.3. Nullità della sentenza con riferimento all’art. 112 c.p.c.
3. Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
3.1. Con il primo motivo, si denunzia la “violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, sul presupposto che “il Giudice di appello avrebbe totalmente pretermesso l’esame delle doglianze che erano state devolute alla sua cognizione, nulla così statuendo sui fatti controversi e decisivi della controversia, quali, quelle relative alla ricorrenza o meno, nel caso di specie, dell’insidia” o “trabocchetto” e, segnatamente, dei suoi elementi costitutivi”. Il motivo è manifestamente privo di pregio, perché la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri – come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive” (in tale senso, ad esempio, Cass. 12 marzo 1996 n. 2008). In altri termini, è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle rifenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato (Cass. 6 settembre 1995 n. 9384, che dalla riferita premessa ha tratto la conclusione che il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Sempre in questa ottica, altresì, Cass. 14 aprile 1994 n. 3498): ne deriva che, è preclusa – in sede di legittimità – ogni censura con la quale il ricorrente, cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione (che non è un giudizio di merito di terzo grado), sollecita una diversa lettura delle risultanze di causa (in particolare, nella specie, l’interpretazione e le conseguenze da trarre dal complesso delle risultanze probatorie acquisite), atteso che non costituiscono vizi di motivazione idonei a legittimare il sindacato della Corte di Cassazione, quelli attinenti a una difformità di apprezzamento dei fatti e delle prove contenuto nella sentenza impugnata, rispetto a quello preteso o auspicato dalle parti.
Per di più, poiché “L’insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Tale situazione, pur assumendo grande importanza probatoria, in quanto può essere considerata dal giudice idonea a integrare una presunzione di sussistenza del nesso eziologico con il sinistro e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza del luogo, non esime il giudice dall’accertare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall’art. 2043 c.c. Pertanto, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza l’anomalia, vale altresì ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica” (sez. III, 13/7/2011 n. 15375).
3.2. Si deduce, con il secondo motivo, la “Violazione dell’art. 360, n. 4 cod. proc. civ. per nullità della sentenza con riferimento all’art. 115 c.p.c:”. A parte il rilievo che “Il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand’anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poiché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice” (sez. II, 12/07/2011 n. 15300), deve essere ribadito che “gli, art. 115 e 116 c.p.c. sono apprezzabili, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione, di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (che deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità) e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.” (sez. III, 31/08/11 n. 17852) e, tantomeno, sotto il profilo della “nullità della sentenza”, con conseguente inammissibilità del motivo.
3.3. Con il terzo ed ultimo motivo si denuncia la “Violazione dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. per nullità della sentenza con riferimento all’art. 112 c.p.c.. Il motivo, che è palesemente in contraddizione con quello precedente, non tiene conto che “il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per vio1azione dell’art. 112 c.p.c. ed è rilevante ai fini di cui all’art. 360, n. 4 stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione” (sez. Un. 18/12/2001 n. 15982) e che “Le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero “non rilevabili d’ufficio”, e non indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni “in senso lato” o “improprie”.
4. Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso.”
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
Il ricorrente ha presentato, memoria, non inficiante le argomentazioni in fatto e in diritto a base della relazione.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera, di consiglio, il collegio pur condividendo i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, evidenzia, tuttavia, anche l’inammissibilità del ricorso, nella parte in cui il ricorrente, anziché argomentare le censure dedotte, riproduce pedissequamente un’ampia serie di atti di causa;
il ricorso si rivela pertanto manifestamente inammissibile;
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3700,00, di cui Euro 3500,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Redazione