Infortunio sul lavoro: imprenditore condannato per l’incidente all’operaio a causa di un macchinario obsoleto (Cass. pen. n. 10323/2013)

Redazione 06/03/13
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Svolgimento del processo

-1- R.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia, del 20 settembre 2011, che ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città, del 9 febbraio 2009, che lo ha ritenuto colpevole del reato di lesioni colpose commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di C.A. e lo ha condannato alla pena di 309,00 Euro di multa ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in Euro 15.270,67.

Secondo l’accusa, condivisa dai giudici del merito, l’imputato, titolare del “(omissis)”, per colpa generica e specifica, quest’ultima consistita nella violazione dell’art. 2087 c.c., D.P.R. n. 547 del 1955, art. 82 e D.P.R. n. 626 del 1994, art. 35 avendo messo a disposizione dei lavoratori un’attrezzatura obsoleta e priva dei requisiti di sicurezza, ha provocato al C. lesioni giudicate guaribili in 111 giorni.

In particolare, è accaduto che l’operaio, mentre lavorava ad una pressa, ha subito lo schiacciamento del secondo dito della mano destra a causa dell’improvviso movimento verso il basso del punzone, provocato dal cattivo funzionamento della macchina.

-2- Avverso detta sentenza ricorre, dunque, il R., che deduce violazione di legge in punto:

a) Di affermazione della responsabilità. Sostiene in proposito il ricorrente che la pressa, pur vetusta, era provvista di idonee misure di sicurezza, idonee ad impedire infortuni. Gli stessi ispettori del lavoro, si aggiunge nel ricorso, avevano avuto modo di evidenziare come la macchina “sebbene non ispirata alle moderne misure di sicurezza, presentasse tutti gli accorgimenti del caso”;

b) Di liquidazione del danno, in relazione al quale la corte territoriale, a giudizio del ricorrente, non avrebbe tenuto conto del concorso di colpa della vittima ed avrebbe duplicato le voci di danno, liquidando il danno morale oltre che il danno biologico.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico.

a) Quanto al primo motivo di ricorso, osserva la Corte che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, è stato accertato dai tecnici della prevenzione, secondo quanto affermato nella sentenza impugnata, che la macchina alla quale era addetto il lavoratore infortunato non era solo obsoleta, ma anche tecnologicamente inadeguata e, cosa ancor più significativa, per nulla rispettosa delle norme antinfortunistiche, stante l’assenza di protezioni idonee ad impedire il contatto delle mani con il punzone.

Inoltre, il giudice del gravame ha aggiunto, senza essere contraddetto dal ricorrente, che il punzone si era abbassato improvvisamente, e senza il consenso dell’operatore, a causa del difettoso funzionamento del meccanismo di riaggancio e che un incidente del genere si era già verificato in precedenza ed era stato inutilmente segnalato all’imputato.

A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente richiama, genericamente, presunti giudizi resi dagli ispettori del lavoro e sostiene, apoditticamente, che la macchina presentava “tutti gli accorgimenti del caso”, ammettendo, tuttavia, che la stessa “non era ispirata alle moderne misure di sicurezza” e tacendo la circostanza secondo cui la pressa è stata successivamente messa a norma dall’imputato, in esecuzione delle direttive impartite dai tecnici intervenuti per l’occasione.

b) Non deducibile nella sede di legittimità è il secondo motivo, concernente l’aspetto risarcitorio della sentenza.

In proposito, il ricorrente altro non fa – evitando di confrontarsi con gli argomenti svolti dal giudice del gravame – che riproporre osservazioni già poste all’attenzione della corte territoriale, che le ha puntualmente esaminate, indicando con coerenza logica le ragioni del proprio dissenso rispetto alle tesi difensive. Si tratta, peraltro, di osservazioni palesemente infondate, laddove pretendono di individuare un inesistente concorso di colpa della vittima, costretto a lavorare ad una macchina che ne ha messo a repentaglio l’incolumità, e laddove richiamano sentenze della Cassazione civile, non meglio indicate, ed ignorano i principi dalla stessa affermati in proposito, puntualmente segnalati nella sentenza impugnata.

La manifesta infondatezza e la genericità del ricorso ne determinano l’inammissibilità, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.000,00 Euro in favore della Cassa delle Ammende.

La declaratoria d’inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato, pur maturata dopo la sentenza di secondo grado.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Redazione