Il concorso di colpa del minore riduce il risarcimento (Cass. n. 3242/2012)

Redazione 02/03/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. **** e C.D., in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore V., impugnano per cassazione, sulla base di due motivi, la sentenza della Corte d’appello di Roma, depositata il 15 settembre 2009, con la quale, riformando parzialmente quella di primo grado e in parziale accoglimento dell’appello della Renault Italia, detta Corte territoriale li dichiarava solidalmente responsabili dell’evento dannoso in lite nella misura del 30% e li condannava a restituire alla controparte il 30% della somma loro versata da detta società – ritenuta responsabile al 70% dello stesso evento – a titolo di risarcimento nelle predette qualità. 2. La vicenda processuale si è così sviluppata: **** e C.D., in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore G.V., convenivano in giudizio la S.p.A. Renault Italia avanti al Tribunale di Roma, assumendo che verso le ore 19.30 del giorno (omissis) la vettura Renault Espace, targata (omissis), di proprietà della S.r.l. Maxitravel, di cui era amministratore unico G.M., era stata arrestata dallo stesso in (omissis) con conseguente interruzione del funzionamento del motore. C.D. aveva aiutato i due figli minori a scendere dall’auto ferma per raggiungere l’abitazione dei familiari e aveva preso per mano il piccolo V. di tre anni.

Nello stesso tempo, si era attivato automaticamente il sistema di raffreddamento dell’auto, dotata di condizionatore d’aria e di motoventilatore, costituito da una ventola, posta sotto il cofano motore fra il muso esterno della vettura e i radiatori interni, e questa, nonostante che il motore fosse stato disattivato dal conducente, aveva cominciato a girare a velocità elevata. Il piccolo V., pur tenuto dalla madre con la mano destra, nel passare dinanzi all’auto, aveva infilato la mano sinistra nel muso dell’auto, che non era protetto da alcuna griglia, la ventola aveva catturato la mano del minore, che aveva trascinato nell’interno, e il meccanismo si era arrestato solo, quando la mano, incastrata nello stesso, ne aveva bloccato il funzionamento. I genitori avevano estratto dalla vettura la mano insanguinata del figlio, che avevano portato presso l’Ospedale di (omissis) e, quindi, di (omissis), da dove il minore era stato trasferito in (omissis), ove era stato sottoposto a due interventi chirurgici, in seguito ai quali aveva riportato la perdita completa del dito medio, la perdita quasi completa del dito anulare e la perdita parziale di tessuti del mignolo oltre una profonda cicatrice obliqua sul dorso della mano sinistra. Chiedevano, pertanto, che la S.p.A. Renault Italia rosse dichiarata responsabile dell’evento e condannata al risarcimento dei danni. Costituitosi il contraddittorio, la S.p.A. Renault Italia chiedeva il rigetto della domanda. Istruita la causa, il Giudice Unico del Tribunale con la sentenza 20-26 febbraio 2003, dichiarava che il fatto, che aveva provocato il sinistro in esame con lesioni personali a carico del minore G.V., era addebitabile alla S.p.A. Renault Italia. La S.p.A. Renault Italia proponeva appello, lamentando l’erroneità della sentenza impugnata.

Costituitosi il contraddittorio. gli appellati chiedevano il rigetto dell’appello, di cui assumevano l’infondatezza in fatto e in diritto.

3. Nella sentenza impugnata, la Corte territoriale ha affermato che, tenuto conto dell’epoca d’immatricolazione in Italia del veicolo, la responsabilità civile da prodotti difettosi in esame è disciplinata dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, recante l’attuazione della direttiva 85/374 CEE, e che è stato, a sua volta, successivamente abrogato dal detto D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 146. Il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, prevede che il danneggiato deve provare il danno, il rapporto causale con l’uso del prodotto e che quest’uso ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, tali da evidenziare la mancanza della sicurezza, che ci si poteva legittimamente attendere, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. citato, mentre il produttore è tenuto a dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto è stato messo in circolazione (vedi Cassazione Civile, sezione 3^, 08 ottobre 2007, n. 20985). La S.p.A. Renault Italia non riveste la qualifica di rivenditore intermedio, atteso che in Italia provvede solamente alla distribuzione di vetture, costruite dal produttore francese. Va, peraltro, affermata la legittimazione passiva dell’appellante, poichè questa, nella sua qualità di distributore degli automezzi marca Renault, prodotti in Francia dalla costruttrice società francese, di cui l’appellante è diretta emanazione, li ha distribuiti in Italia attraverso la sua rete di concessionari, da uno dei quali la vettura in oggetto è stata acquistata dalla prima proprietaria, che l’ha venduta a ***** Pertanto, in applicazione della riportata giurisprudenza (Cassazione Civile, sezione 3^, 08 ottobre 2007, n. 20985), andava affermata a carico dell’appellante la responsabilità civile da prodotti difettosi, disciplinata dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, atteso che i danneggiati avevano ottemperato all’onere, sugli stessi gravanti, di provare il danno, il rapporto causale con l’uso del prodotto e che quest’uso aveva comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, tali da evidenziare la mancanza della sicurezza, che si poteva legittimamente attendere, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. citato, mentre il distributore non aveva ottemperato al suo onere di dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto era stato messo in circolazione. In sostanza, la formulazione letterale del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, art. 1, nel far dipendere la speciale responsabilità del produttore per prodotti difettosi dal nesso di causalità tra il danno e il difetto dei prodotto, ha posto un prerequisito della detta responsabilità, con funzione limitativa dell’ambito d’applicabilità della stessa. Peraltro, i danneggiati, che hanno chiesto il risarcimento dei danni, hanno correttamente adempiuto all’onere di provare gli elementi costitutivi di tale diritto, e ciò perchè non può essere affermato che la semplice prova del nesso di causalità fra il danno ed il prodotto sia sufficiente a trasferire sul produttore l’onere di dimostrare che il prodotto non era difettoso o che sussistevano altre cause di esclusione della responsabilità. Il secondo motivo era parzialmente fondato. In tema di responsabilità del produttore, proseguiva la Corte territoriale, i prodotti devono essere fabbricati, confezionati e venduti in modo tale da non causare danni per la salute nelle normali condizioni d’impiego con esclusione della garanzia di sicurezza alla presenza di condizioni anomale d’impiego. Nella specie, nella prodotta copia del libretto delle istruzioni d’uso e manutenzione della vettura, alla voce “la manutenzione” è stato adeguatamente segnalato in un rettangolo e a caratteri in grassetto l’esistenza del “pericolo: non introdurre la mano o un oggetto, nelle aperture della calandra e del paraurti; il motoventilatore pilo avviarsi in qualsiasi momento, anche a contatto tolto. Il minore, che al momento del sinistro aveva la tenera età di circa tre anni, era affidato alla cura dei genitori e in particolare della madre, che sostanzialmente non ha osservato le istruzioni sull’uso della macchina e i divieti impartiti dal detto libretto delle istruzioni, avendo condotto il piccolo figlio per una mano nei pressi della parte anteriore dell’auto senza porre attenzione all’altra mano, che il minore, privo della dovuta sorveglianza da parte dei due genitori, ha introdotto nella calandra. Nella specie non andava ravvisata l’ipotesi di manifesta pericolosa utilizzazione impropria dell’auto, in cui l’imprudenza del danneggiato, che abbia riportato un danno a causa di siffatta impropria utilizzazione, integra il caso fortuito, agli effetti dell’art. 2051 c.c.. La società, infatti, aveva il dovere di prevedere inconsulti e improvvisi comportamenti da parte di minori o anche di particolari persone adulte, cui non poteva ovviare il mero avvertimento del pericolo, contenuto nel detto libretto delle istruzioni, che, peraltro, era ignorato da terzi estranei non acquirenti della vettura in esame. Detto avvertimento, peraltro, doveva essere conosciuto dal proprietario dell’auto, mentre, a causa della piccola età, non poteva essere a conoscenza del minore, che, comunque, non aveva capacità d’intendere e di volere. I due genitori, a loro volta, avevano nella specie il dovere di vigilare sulla condotta del piccolo figlio nel momento in cui lo stesso transitava dinanzi alla parte anteriore della vettura, poichè, conoscendo il descritto pericolo, dato dal “motoventilatore, che può avviarsi in qualsiasi momento, anche a contatto tolto”, dovevano vigilare con particolare attenzione sulla condotta del figlio minore nel momento in cui questo passava dinanzi alla griglia anteriore dell’auto. I due genitori non hanno fornito la prova liberatoria per superare la presunzione di colpa, di cui all’art. 2048 c.c., per cui andava dichiarata la loro concorsuale responsabilità per culpa in vigilando.

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamentano che la motivazione sulla base della quale la Corte territoriale ha ritenuto il concorso di colpa non sarebbe assolutamente condivisibile sotto diversi profili, premettendo che un bambino di tre anni condotto per mano dalla madre è comunque adeguatamente sorvegliato. In primo luogo, il libretto di istruzioni d’uso del veicolo, nella specie, si compone di due parti, delle quali la prima legata al vero e proprio utilizzo del mezzo da parte dell’acquirente e/o del conducente, ovvero contenenti le indicazioni relative alle manovre necessarie per l’accensione e lo spegnimento del motore del mezzo, delle luci, il sistema frenante, il controllo dell’olio motore, età, e quindi di tutte quelle nozioni alle quali una persona di ordinaria diligenza può accedere e comprendere, senza alcuna particolare conoscenza tecnica in ordine alla terminologia utilizzata e alle manovre stesse da intraprendere. La seconda parte, risulta per tabulas decisamente più tecnica e di non pronta comprensione, tanto che è destinata a coloro che professionalmente dovranno intervenire sulla meccanica e sulle parti del mezzo. Proprio la frase riguardante la ventola di raffreddamento risulta non immediatamente e non facilmente comprensibile, perchè indicare che il moto venti latore può avviarsi in qualunque momento, anche a contatto tolto, non chiarisce ad una persona di ordinaria diligenza che, anche quando il mezzo è in stato di completo arresto, ed a motore spento, la ventola può autonomamente ed inaspettatamente prendere a girare, senza che il proprietario o il conducente possa in qualche modo intervenire per bloccare il funzionamento della ventola stessa qualora ravvisi motivi di pericolo, tanto dall’interno del mezzo, quanto dall’esterno. Conseguentemente, addossare alla madre del minore, non proprietaria della vettura, essendo quest’ultima per di più un veicolo aziendale e non di proprietà di persona fisica, la responsabilità di non aver osservato le istruzioni, non dell’uso del veicolo, ma della sua manutenzione, appare francamente paradossale. Infatti, il libretto, oltre a non essere chiaro sul punto, può essere letto, per quanto riguarda la manutenzione, se del caso dal proprietario del veicolo, e, in misura minore, dal legale rappresentante della società proprietaria del veicolo stesso, ma non certo dai suoi familiari, che, in tal senso, non solo non hanno alcun obbligo diretto, ma nemmeno debbono avere quella diligenza tale da indurli alla lettura del libretto stesso, essendo del tutto estranei all’uso del mezzo, ad eccezione del fatto che dallo stesso sono trasportati come terzi, ma, quand’anche dovessero saltuariamente utilizzarlo, certo leggerebbero le indicazioni contenute nel libretto per l’uso soltanto in caso di necessità.

Inoltre, è accaduto che il figlio minore del legale rappresentante della società proprietaria del mezzo per fatalità sia rimasto esso coinvolto nell’evento dannoso. Ma qualora nell’evento dannoso fosse rimasto coinvolto un altro bambino, sarebbe accaduta esattamente la stessa disavventura senza che vi fossero responsabilità di sorta addossabili o addebitagli al proprietario o conducente del mezzo. Ne consegue che, aldilà del contenuto del libretto d’istruzioni d’uso e di manutenzione, la pericolosità del difetto di fabbricazione era ed è in re ipsa, poichè la mancata apposizione di una semplice, economicamente di valore risibile, grata antintrusione avrebbe ottenuto l’effetto che nessuna persona fisica, minore o maggiorenne che fosse, potesse correre il concreto pericolo di vedere lesionate le dita della propria mano, per qualsivoglia motivo infilata all’interno della calandra anteriore del veicolo (ad esempio, nel caso di una caduta a terra da parte di un soggetto che è inciampato o scivolato). Infine, anche quando il proprietario o conducente del mezzo fosse stato reso edotto di tale situazione pericolosa, una volta arrestato il veicolo, non era ipotizzabile che dovesse scendere repentinamente dal mezzo stesso, per poi rimanere stabilmente dinanzi alla calandra anteriore fin quando non si fosse arrestato il sistema di raffreddamento forzato, a modo di sentinella per tutta la durata temporale necessaria, senza potersi assolutamente allontanare.

Pertanto, la parte di motivazione anzidetta dell’impugnata sentenza avrebbe dovuto essere definita contraddittoria circa un fatto assolutamente decisivo nell’ambito del presente giudizio, poichè verte sulla difettosità o meno del prodotto in relazione alla pericolosità determinata da tale difettosità tanto per il consumatore/proprietario/conducente, quanto per i terzi in genere, quali i pedoni, etc.”. 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 2048 c.c. in relazione alla responsabilità dei genitori in ordine al danno cagionato al minore da esso stesso. La parte motiva della sentenza, inoltre, indica che i genitori avevano il dovere di vigilare sulla condotta del figlio minore nel momento in cui lo stesso transitava dinanzi la parte anteriore dell’autovettura, e che dovevano vigilare con particolare attenzione sulla sua condotta. Conseguentemente, la stessa Corte di merito indica che i medesimi genitori, non avendo fornito la prova liberatoria per superare la presunzione di colpa di cui all’art. 2048 c.c., debbono essere dichiarati concorsualmente responsabili per culpa in vigilando. Anche tale affermazione sarebbe non condivisibile. Infatti, l’art. 2048 c.c. espressamente recita che il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati (…) che abitano con essi e, nel successivo comma 3, che le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. Dalla semplice lettura della norma anzidetta è del tutto evidente che la norma dell’art. 2048 c.c. si applica nella sola ipotesi di danni che il minore procura a terzi e che i genitori sono responsabili ex art. 2048 cod. civ. per illecito commesso dal figlio minore capace di intendere e di volere, quando non riescano a fornire la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto, che si concretizza nella dimostrazione di aver impartito al minore un’educazione consona alle condizioni familiari e sociali e di aver esercitato una vigilanza adeguata all’età; non può intendersi prestata una prova liberatoria, quando dall’analisi delle modalità attraverso le quali si è realizzato l’illecito sia possibile ricavare una cattiva educazione ed una scarsa vigilanza.

Conseguentemente i genitori del minore V. non avrebbero avuto alcun obbligo di fornire la prova liberatoria di cui all’art. 2048 c.c., comma 3, in quanto, nel caso in specie, non si era verificato alcun fatto illecito, o considerato come tale, commesso dal minore stesso nei confronti di terzi, quindi tale richiamo normativo nella fattispecie è del tutto fuori luogo, anche tenuto conto del fatto che entrambi i genitori del medesimo hanno mantenuto una ordinaria vigilanza in ordine ai suoi comportamenti, il primo, per quel che poteva fare, dall’interno del l’auto vettura, e la seconda assicurandosi che il bambino non compisse movimenti inconsulti tenendolo per mano. Pertanto, doveva escludersi ogni ipotesi di culpa in vigilando nel caso in specie, e tantomeno doveva fornirsi prova liberatoria in tal senso, essendo il fatto accaduto del tutto fortuito, tanto dal non far ricorrere neanche l’ipotesi di cui all’art. 2051 c.c..

5. Resiste con controricorso la Renault Italia e chiede dichiararsi inammissibile o infondato il ricorso; propone, altresì, ricorso incidentale per insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio relativamente alla dedotta carenza della propria legittimazione passiva.

6. La pronuncia riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

7. Secondo l’ordine logico delle questioni, va anzitutto esaminato il secondo motivo del ricorso principale, dato che riguarda il tema della configurabilità del comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, come concorrente nella produzione dell’evento dannoso, e della possibilità, o meno, che esso integri il fatto colposo del danneggiato-creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma primo. Il motivo è infondato e va rigettato, sebbene la sentenza presenti alcuni errori di diritto nella motivazione, che vanno corretti, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, essendo esatto il dispositivo.

7.1. Il richiamo operato dalla Corte territoriale all’art. 2048 c.c. è, come sostenuto dai ricorrenti, fuori luogo. Infatti, si deve ribadire che l’art. 2048 c.c. postula l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto sono configurabili la culpa in educando e la culpa in vigilando (Cass. 26 giugno 2001 n. 8740).

Non può, invece ravvisarsi un fatto illecito in danno di se stesso.

Quindi in ipotesi di autolesioni del minore non è applicabile la norma di cui all’art. 2048 c.c., ma quella di cui all’art. 1218 c.c. o art. 2043 c.c., a seconda se ricorra una responsabilità contrattuale o extracontrattuale del soggetto tenuto alla vigilanza (argomento desumibile, tra le altre, da Cass. n. 5067/2010; 24456/2005; nonchè S.U. n. 9346/2002).

7.2. Il decisum, tuttavia, come si è anticipato, resiste alle censure mosse con il mezzo in esame. Infatti la Corte di merito ha ritenuto che l’apporto causale della convenuta al verificarsi dell’evento fosse da limitare nella misura del 70%, mentre il 30% fosse da ascrivere alla madre, che non aveva sorvegliato ed impedito che il bambino ponesse la mano vicino alla ventola. Sennonchè, così operando, la Corte di appello, anzitutto, ha ravvisato in punto di fatto un apporto causale all’evento dannoso (nella misura del 30%) nel comportamento dello stesso bambino, per quanto incapace, e quindi (ma ciò è già un posterius logico) ha ritenuto che la responsabilità di tale comportamento anomalo fosse da ascrivere al genitore a norma dell’art. 2048. Inoltre, nell’affermazione della responsabilità della convenuta danneggiale, ha legittimamente (come si dirà) ritenuto operante il limite costituito dal concorso colposo del soggetto danneggiato, per quanto minore, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1, indipendentemente dal punto poi se tale comportamento anomalo fosse nella fattispecie ascrivibile alla omessa vigilanza della madre (nell’ambito del distinto rapporto tra questa ed il minore).

In ogni caso, va osservato, che nè il minore – rappresentato dai genitori – nè il padre hanno richiesto il risarcimento del danno alla convenuta Renault a norma dell’art. 2055 c.c. e, quindi, per l’intero (cfr. Cass. n. 4633/1997), nella qualità di condebitrice solidale (salvo la sua rivalsa nei confronti della madre), nè sotto tale profilo è stata impugnata la sentenza, ma sotto il diverso profilo che non sia stata affermata l’esclusiva responsabilità della Renault con condanna della stessa al risarcimento dell’intero danno da essa causato.

Quanto alla ritenuta operatività, nella fattispecie, dell’art. 1227 c.c., comma 1, costituisce principio di diritto ripetutamente affermato quello secondo il quale il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell’evento dannoso, può integrare il fatto colposo del danneggiato – creditore previsto dall’art. 1227 c.c., comma 1, applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell’art. 2056. Pertanto, il comportamento del danneggiato, incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell’evento dannoso, può integrare il fatto colposo del danneggiato-creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma 1, applicabile in tema di responsabilità extracontrattuale per il richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.. Quindi, il fatto del minore danneggiato che con il suo comportamento abbia contribuito alla produzione del danno è valutabile dal giudice al fine di stabilire il concorso delle colpe e la loro compensazione, con la conseguente riduzione proporzionale del danno da risarcire (cosi, specificamente, Cass. n. 14549/2009; 4332/1994).

La tesi opposta si fonda su una lontana pronuncia di questa Corte Suprema (n. 1650 del 1959) con la quale si affermò il principio contrario che non poteva cioè il risarcimento essere diminuito a causa del comportamento del danneggiato incapace, per minore età o per altra causa, di intendere e di volere. Tale decisione fu però superata dalla sentenza delle Sezioni Unite del 17 febbraio 1964 n. 351 la quale stabilì che quando un oggetto incapace per minore età o per altra causa subisce un evento di danno in conseguenza di fatto illecito altrui in concorso col proprio fatto colposo, l’indagine deve essere limitata all’esistenza della causa concorrente, prescindendo dall’imputabilità del fatto all’incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo ed il risarcimento è dovuto dal terzo danneggiato solo nella misura in cui l’evento possa farsi risalire a colpa di lui. Non vi sono ragioni per discostarsi da tale insegnamento, il quale è coerente col principio che non può attribuirsi al colpevole una responsabilità maggiore di quella derivante dalla obbiettiva efficienza causale del suo comportamento allorchè questo concorra con quello egualmente eziologicamente efficiente del danneggiato.

7.3. Nè vale, per sostenere l’opposto principio, rilevare che nell’art. 1227 c.c., comma 1, si parli di atto colposo del creditore, per cui la disposizione non dovrebbe essere applicata ogni qual volta non si possa parlare di colpa, come nel caso dell’incapace. E’ stato in proposito osservato che l’espressione non va intesa come riferentesi all’elemento psicologico della colpa che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità. Per fatto colposo, ai fini che qui rilevano, deve intendersi il comportamento umano, obiettivamente in contrasto con norme positive o di comune prudenza tenuto dal soggetto, come se esso fosse capace.

Quindi è corretta la decisione di contenere la condanna della convenuta Renault nei limiti del suo concorso causale e cioè al 70%, ma ciò non per effetto dell’art. 2048 c.c., come sostenuto dalla sentenza impugnata, ma per effetto dell’art. 1227 c.c., comma 1, ed in questi termini va corretta la motivazione in diritto dell’impugnata sentenza.

7.4. Va, per ultimo, osservato, che l’improprio riferimento alla mancata prova liberatoria di cui all’ultimo comma dell’art. 2048 c.c. non ha inciso sull’assetto dell’onere probatorio nella controversia in esame, in quanto si deve sottolineare che l’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, – ravvisata in concreto dalla Corte territoriale – non rappresentando un’eccezione in senso proprio, deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; pertanto, anche il giudice d’appello può valutare d’ufficio tale concorso di colpa nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare in foto la propria responsabilità (Cass. n. 6529/11; 23734/09; 1213/06; 5127/04).

8. Anche il primo motivo si rivela privo di pregio. Ricostruiti nei termini esaminati in relazione al precedente motivo i presupposti giuridici del ritenuto concorso del “fatto colposo” del danneggiato, le doglianze formulate dai coniugi G. nel mezzo in esame si rivelano generiche e tendenti unicamente a prospettare un’inammissibile diversa lettura delle risultanze processuali, rispetto alle quali la Corte territoriale ha congruamente e correttamente motivato.

8.1. Invero, l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 1227 c.c. costituisce un’indagine di fatto, che, in quanto adeguatamente motivata, sfugge all’analisi di legittimità (Cass. n. 5511/03; 1306/89). Si deve, inoltre, ribadire che il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 7921/11, ord.; 6435, 5274 e 5066/07; 1109/06, in motivazione; 15805/05; 17369 e 15693/04; 11936/03).

8.2. Nella specie, il giudice di appello ha rilevato che: a. nel libretto d’istruzioni d’uso e manutenzione dell’auto era segnalata, in un rettangolo ed in grassetto, l’esistenza del “pericolo di non introdurre la mano o un oggetto nelle aperture della calandra e del paraurti e che il motoventilatore si sarebbe potuto avviare in qualsiasi momento, anche a contatto tolto”; nella circostanza non era ravvisabile l’ipotesi di manifesta pericolosa utilizzazione impropria dell’auto, in cui l’imprudenza del danneggiato, che avesse riportato un danno a causa di siffatta impropria utilizzazione, avrebbe integrato il caso fortuito, agli effetti dell’art. 2051 c.c., c. la società aveva il dovere di prevedere inconsulti e improvvisi comportamenti da parte di minori o anche di particolari persone adulte, cui non poteva ovviare il mero avvertimento del pericolo, contenuto nelle istruzioni.

Dal conto loro, i ricorrenti si limitano a riproporre i propri apprezzamenti delle risultanze di causa senza specificare quali siano le ragioni che renderebbero contraddirtene o altrimenti viziate le affermazioni contenute nella sentenza impugnata. In particolare, non hanno specificato perchè non dovesse ritenersi contrario alle comune norme di prudenza porre la mano nell’apertura della calandra o del paraurti di un auto, da poco fermatasi.

9. Privo di pregio si rivela anche il motivo del ricorso incidentale.

Esso è stato proposto sotto il profilo del vizio motivazionale, ex art. 360, n. 5, ed in questi termini è infondato, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che Renault Italia S.p.A. non fosse solo rivenditore intermedio, ma anche distributore del prodotto dalla casa francese, quale diretta emanazione della stessa. In queste affermazioni non è ravvisabile alcun vizio motivazionale. Ove, invece, avesse ritenuto che il distributore del prodotto in Italia non fosse responsabile, la ricorrente incidentale avrebbe dovuto impugnare detta statuizione della sentenza a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ma ciò non è avvenuto.

10. Le spese del presente giudizio vanno compensate data la reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Redazione