Il Comune non è responsabile per la caduta del pedone in una buca facilmente visibile, manca la prova tra nesso causale ed evento (Cass. n. 13514/2013)

Redazione 29/05/13
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In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, é stata depositata la seguente relazione: “1 – La sentenza impugnata, depositata il 21 gennaio 2011, confermando – sia pure con diversa motivazione – quella di primo grado, ha, per quanto qui rileva, respinto la domanda risarcitoria del C., ritenendo che non potesse dirsi accertata, neanche con criterio probabilistico, a causa della caduta, che poteva essere derivata da fattori diversi ed altrettanto plausibili (un malore, un inciampo, una perdita di controllo da velocità eccessiva, una manovra azzardata). In ogni caso, era pacifico che l’incidente era avvenuto in condizioni di massima visibilità, data l’ora e la stagione, in totale assenza di traffico e di altri disturbi, con ampio margine di percorrenza: dunque, anche a voler ammettere che la caduta fosse avvenuta sulla buca di cui all’allegazione di parte, si sarebbe dovuto riconoscere – come dalle foto in atti – che essa era ben visibile da congrua distanza ed ampiamente evitabile. L’evento, quindi, anche in quest’ultima ipotesi, non avrebbe potuto non essere ricondotto che al fatto della vittima, che, ad evidenza, non aveva prestato nessuna attenzione al suo incedere: condotta, dunque, interruttiva del’ipotizzato nesso causale, dal momento che, per converso, un’adeguata, normale ed esigibile diligenza da parte dell’infortunato avrebbe escluso il danno.
2 – Ricorre per cassazione il C. con due motivi; il Comune resiste con controricorso e propone anche ricorso incidentale in ordine alla compensazione delle spese di secondo grado, nonché ricorso incidentale condizionato quanto alla non ricorrenza della responsabilità ex art. 2051 c.c.; l’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
3. – Il ricorrente deduce i seguenti motivi:
3.1. violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., e del’art. 14.1 C.d.S., perché la prima di dette disposizioni conterrebbe un’ipotesi di responsabilità oggettiva e che nella specie era stato documentato uno specifico più significativo dislivello creatosi intorno ad un tombino;
3.2. insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale la mancanza di prova che la caduta fosse avvenuta in occasione del predetto dislivello o di altra sconnessione o irregolarità del fondo stradale.
4. – La decisione riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Diversamente da quanto eccepito in controricorso dal Comune, il ricorso è tempestivo, non applicandosi al presente procedimento, instaurato precedentemente, la riduzione a sei mesi del termine “lungo” d’impugnazione disposta dalla legge n. 69 del 2009, nonostante la sentenza impugnata sia stata pubblicata dopo l’entrata in vigore di detta legge. Si deve, invero, ribadire che, in materia di cosiddetto termine lungo di impugnazione, l’art. 327 cod. proc. civ., come novellato dall’art. 46 della legge n. 69 del 2009 mediante riduzione del termine da un anno a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58 della medesima legge, ai giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio 2009, essendo quindi ancora valido il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia anteriore a quella data (Cass. n. 6784 e 6007 del 2012).
4.1. – Le censure – che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione, essendo tutte rivolte a contestare la ritenuta mancanza del nesso eziologico tra l’evento dannoso e la “cosa” in custodia – implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in realtà, un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, senza tenere presente:
4.2. quanto alla valutazione di elementi probatori (contestate specie nella seconda censura), il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza e quindi su di un giudizio di fatto dei giudici di merito non può spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perché ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa tale controllo muovere esclusivamente (attraverso il filtro delle censure proposte dalla parte ricorrente) nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c.. Tale controllo riguarda infatti unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione,
che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, Cass., nn. 27162/09, 26825/09, 15604/07 e 21153/10, in motivazione);
4.3. quanto agli elementi di cui s’invoca l’omessa considerazione nel secondo motivo, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. n. 19976/2009; 13958/2007, in motivazione; 7981/2007; 2140/2006; 22154/2004;
4.4. nonché, circa le restanti censure del primo motivo, il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui, in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue, l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo comunque sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l’accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all’intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004). L’attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. 4279708; 20427708; 5910/11 secondo cui la norma dell’art. 2051 cod. civ., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa – Principio enunciato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.).
4.5. La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, proprio esaminando gli elementi la cui considerazione il ricorrente assume che sia stata erroneamente valutata. Attenendosi ai riferiti principi, è stata esclusa la prova ad opera della parte ricorrente della sussistenza del nesso eziologico tra la strada ed il suo stato di manutenzione, da un lato, e la caduta, dall’altro, essendo stato accertato, in linea di fatto che la caduta si è verificata per fatto dello stesso danneggiato.
4.6. Le doglianze comunque sono (oltre che inammissibili anche) manifestamente infondate atteso:
– da un lato, che la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non esonera il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità costituisce caso fortuito anche la riferibilità dell’evento a una condotta colposa dello stesso danneggiato (Cass., 17 gennaio 2008, n. 858) e nella specie è stato escluso un nesso causale tra la cosa in custodia e il sinistro occorso alla ricorrente;
– dall’altro, che il caso fortuito cui fa riferimento l’art. 2051 c.c. deve intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279). Deve ribadirsi – infatti – che nel caso in cui l’evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un’ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279).
5. – Il rigetto del ricorso principale assorbe ogni decisione in ordine al motivo di ricorso incidentale esplicitamente condizionato. Manifestamente infondato, invece, è il ricorso incidentale in tema di spese, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione del potere di compensazione delle spese, adeguatamente motivando al riguardo, stante la modificazione della motivazione della sentenza di primo grado, pur restando fermo il rigetto della pretesa risarcitoria dell’attore.
6. – Il relatore propone la trattazione dei ricorsi in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto degli stessi, assorbito l’incidentale condizionato”.
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
L’intimata “Avira” ha presentato memoria, della quale si condividono le argomentazioni, dovendosi, contrariamente da quanto affermato, per mera svista, nella relazione, riconoscersi lo svolgimento di attività difensiva di questa nel giudizio, attraverso il deposito di controricorso.
L’intimato “Comune di Pessano con Bornago” ha presentato memoria con cui ribadisce l’erroneità della statuizione della Corte di appello, nella parte in cui compensa le spese del giudizio di secondo grado, poiché pur riconoscendo che il giudice di primo grado avesse errato la qualificazione del fatto, da tale circostanza non mutava l’esito del giudizio e pertanto l’intimato ne usciva comunque vittorioso.
A tal proposito, deve ribadirsi che in tema di regolamento di spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. Pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 264/2006, n. 16012/2002).
Nel caso di specie, il giudice ha legittimamente esercitato i poteri in tema di compensazione delle spese di lite, individuando il giusto motivo nella modificazione della motivazione della sentenza di primo grado.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che tanto il ricorso principale quanto quello incidentale, devono perciò essere rigettati essendo manifestamente infondati;
vanno compensate le spese del presente grado di giudizio tra la parte ricorrente ed il Comune, stante la reciproca soccombenza; le spese seguono la soccombenza nel rapporto tra parte ricorrente ed Aviva.
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi. Compensa le spese tra la parte ricorrente ed il Comune e condanna la prima al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti dell’Aviva, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge. 

Redazione