I colloqui telefonici fra detenuto e difensore possono superare i limiti previsti solo in caso di urgenza (Cass. pen. n. 40011/2013)

Redazione 26/09/13
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Svolgimento del processo

Il Magistrato di sorveglianza dell’Aquila ha dichiarato, in favore del detenuto A.G., il diritto di effettuare colloqui telefonici con il proprio difensore senza le limitazioni al numero di colloqui previsto dall’art. 39 reg. pen. ed ha altresì dichiarato che non compete all’Amministrazione alcun potere di valutazione discrezionale della richiesta di colloqui telefonici con il difensore, imponendole di consentire i colloqui telefonici del detenuto a semplice richiesta. Ha in particolare osservato che nessuna norma dell’ordinamento penitenziario, e del regolamento di esecuzione, disciplina espressamente la materia della corrispondenza telefonica tra il detenuto per titolo di condanna definitivo e il difensore. Di fronte a tale vuoto normativo, deve aversi riguardo ai principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 212 del 1997, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 18 nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della pena, e specificamente che il diritto di difesa deve potersi esplicare in relazione a qualsiasi possibile procedimento contenzioso suscettibile di essere instaurato per la tutela delle posizioni garantite, e dunque anche in relazione alla necessità di preventiva conoscenza e valutazione – tecnicamente assistita – degli istituti e rimedi apprestati allo scopo dall’ordinamento. Il diritto.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria -, deducendo: – violazione di legge. Le conversazioni telefoniche del detenuto con il difensore, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina penitenziaria generale della corrispondenza telefonica di cui all’art. 18, comma 5 ord. pen., e art. 39 reg. pen.. Su questa premessa, l’Amministrazione penitenziaria ha invitato i Direttori degli istituti penitenziari a fare ampio uso, in riguardo ai detenuti del circuito di media sicurezza, del potere discrezionale di consentire corrispondenza telefonica, anche difensiva, oltre i limiti numerici stabiliti nell’art. 39, comma 2 reg. pen., ove ricorrano motivi di urgenza o di particolare rilevanza, indicati nel medesimo articolo al comma 3. Oltre alla possibilità di avere contatti telefonici, così interpretativamente ampliata, il detenuto ha il diritto, senza limitazione alcuna, di contatti visivi, epistolari e telegrafici con il difensore.

A fronte di tale quadro normativo, il giudice ha errato nel ritenere che vi sia una lacuna di regolazione per quanto attiene ai contatti telefonici con il difensore, dimenticando che l’art. 35 disp. att. c.p.p., comma 5, prescrive che, quando sono autorizzati colloqui telefonici fra l’imputato detenuto e il suo difensore, non si applica la disposizione che consente la registrazione e l’ascolto delle conversazioni, così attestando che anche i colloqui telefonici con il difensore sono soggetti ad autorizzazione e non sono assolutamente liberi. L’equiparazione fatta tra colloqui telefonici e colloqui visivi non tiene conto delle differenze normative e sostanziali tra questi ultimi ed i primi.

Ha poi depositato memoria A.G., con cui ha dedotto l’inammissibilità dell’impugnazione perchè il ricorso è stato depositato nella cancelleria del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila e non già in quella del magistrato di sorveglianza dell’Aquila, che è il giudice che ha emesso il provvedimento. Ha quindi replicato alle argomentazioni di ricorso, affermandone la manifesta infondatezza.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente rilevarsi l’ammissibilità del ricorso, perchè ritualmente proposto. Esso è stato depositato presso la cancelleria del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, come si rileva dal timbro apposto su di esso, che non può considerarsi cancelleria di un giudice diverso – il Magistrato di sorveglianza dell’Aquila – che ha emesso il provvedimento impugnato, dal momento che il Tribunale non ha una struttura di cancelleria autonoma rispetto a quella del Magistrato del luogo ove ha sede la Corte di appello. Non può dirsi, pertanto, che sia stata violata la disposizione di cui all’art. 582, in relazione all’art. 591 c.p.p., in forza della quale l’atto di impugnazione, salvo che sia altrimenti disposto dalla legge, deve essere presentato, a pena di inammissibilità, nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Il ricorso, oltre che ammissibile, è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

Questa Corte ha avuto già modo di affermare che “la disciplina di cui al D.P.R. n. 230 del 2000, in tema di colloqui telefonici, per i quali sussiste un limite numerico settimanale e la sottoposizione alla valutazione del direttore dell’istituto di pena, si riferisce anche al difensore, atteso che il legislatore ha inteso limitare i colloqui telefonici per problemi di gestione tecnica degli impianti, e che in dipendenza di ciò non si configura una violazione del diritto di difesa in quanto il detenuto può mantenere contatti grafici e visivi con il proprio difensore senza apposizione di limiti” – Sez. 1, n. 43154 del 14/10/2004 (dep. 4/11/2004), Roccalba, Rv. 230094 -.

Il principio deve essere ribadito, senza che possa farsi distinzione tra detenuti per condanna definitiva e detenuti ancora sottoposti a processo, dato che il D.P.R. n. 230 del 2000, art. 39, comma 4, nel prescrivere testualmente che “gli imputati possono essere autorizzati alla corrispondenza telefonica, con la frequenza e le modalità di cui ai commi 2 e 3, dall’autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza”, parifica le due condizioni.

Non è infatti corretta l’impostazione interpretativa fatta propria dal Magistrato di sorveglianza che ha equiparato i colloqui visivi con il difensore a quelli telefonici, i quali ultimi, invece, impegnano inevitabilmente, per il loro svolgimento, scelte di gestione tecnica degli impianti, di cui l’Amministrazione penitenziaria non può non farsi carico attraverso appositi provvedimenti autorizzatori. La disposizione di cui all’art. 35 disp. att. c.p.p., comma 5, citata in ricorso, è un importante indice normativo dell’assenza di lacune di previsione e smentisce la premessa del ragionamento interpretativo sviluppato dal provvedimento impugnato, in forza del quale corrispondenza telefonica con il difensore e colloqui visivi con lo stesso devono essere regolati allo stesso modo e senza alcun potere di limitazione in capo all’Amministrazione.

Questa Corte, con la sentenza n. 20163 del 2011 di questa stessa Sezione, ha sul punto precisato che le disposizioni del Regolamento penitenziario, sì come interpretate alla luce della circolare ministeriale dell’aprile 2010, pur essa citata nel ricorso ora in esame, consentono al direttore dell’Istituto di pena di autorizzare i detenuti a effettuare conversazioni telefoniche con i propri difensori al di là dei limiti numerici indicati, sempre che il detenuto rappresenti, anche sommariamente, motivi di urgenza o di particolare rilevanza. Ed ha però chiarito che l’esercizio del diritto di corrispondenza telefonica con il difensore “deve necessariamente trovare un contemperamento nelle esigenze di tutela della collettività esprimibile con l’esercizio di un potere di controllo da parte degli organi preposti su soggetti condannati”, senza che sia prospettabile il pericolo di nocumento alle strategie difensive del condannato, a cui è fatto carico unicamente di una concisa e sintetica indicazione delle ragioni sottese alla richiesta di colloquio, neanche oggetto di comunicazione all’autorità giudiziaria, e non anche dei dettagli delle scelte difensive da fare o valutare unitamente al difensore.

Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato, con rinvio al giudice che lo ha emesso perchè provveda ad un nuovo esame, da condursi alla luce dei principi di diritto appena indicati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di sorveglianza dell’Aquila.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2013.

Redazione