Giudice amministrativo – Giurisdizione – Vaglio di legittimità – Eccesso di potere (Cass. n. 3622/2012)

Redazione 08/03/12
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Svolgimento del processo

 

Il Dott. S.G. impugnò dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio la delibera con la quale, in data 17 aprile 2008, il Consiglio Superiore della Magistratura (in prosieguo indicato come CSM) aveva conferito al Dott. B. A. la carica di presidente della Corte d’appello di (OMISSIS).

 

Il Tribunale amministrativo, con sentenza del 12 maggio 2010, rigettò il ricorso e dichiarò inammissibili per difetto d’interesse i motivi aggiunti con cui il ricorrente aveva messo in discussione anche la validità del successivo trasferimento del ******** alla presidenza della Corte d’appello di (OMISSIS) e della delibera consiliare con cui era stato nuovamente messo a bando il posto di presidente della Corte d’appello di (OMISSIS).

 

L’appello proposto avverso tale decisione dal Dott. S. fu parzialmente accolto dal Consiglio di Stato, con sentenza resa pubblica il 28 marzo 2011.

 

Il Consiglio di Stato, per un verso, ritenne che effettivamente il Dott. S., il quale non aveva proposto la propria candidatura alla carica di presidente della Corte d’appello di (OMISSIS) nè aveva partecipato al nuovo concorso indetto per la presidenza della Corte d’appello di (OMISSIS) dopo il trasferimento del ********, non avesse interesse ad impugnare tale trasferimento e l’indizione del nuovo concorso per la copertura della vacanza del posto che ne era scaturita, essendo comunque questo un atto dovuto per il CSM. Ravvisò nondimeno un perdurante interesse dei ricorrente a censurare la validità della precedente nomina del medesimo ******** al vertice della corte umbra – nomina alla quale il Dott. S. aveva a suo tempo anch’egli concorso – sia in funzione di un eventuale risarcimento dei danno sia per ragioni di “ricostruzione della carriera”.

 

Nel merito, il Consiglio di Stato reputò che l’impugnata nomina del ******** fosse viziata da un difetto di motivazione, sintomatico di eccesso di potere, avendo il CSM privilegiato la maggiore versatilità e la maggiore esperienza ordinamentale del ********, in relazione alle sue pregresse funzioni di magistrato requirente in Cassazione e di componente del medesimo CSM, a scapito delle ben più significative e specifiche esperienze maturate dal ************* nello svolgimento di funzioni d’appello in ambito sia civile sia penale e senza tener conto della circostanza che quest’ultimo aveva già svolto di fatto funzioni direttive corrispondenti a quelle dell’incarico per cui concorreva.

 

Avverso tale sentenza il CSM, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso alle sezioni unite di questa corte per motivi di giurisdizione.

 

Il Dott. S. ha svolto in questa sede unicamente difese orali.

 

 

Motivi della decisione

 

1. Nel ricorso l’Avvocatura generale dello Stato riferisce di un atto di diffida inviato dal Dott. S. al CSM per sollecitare l’immediata esecuzione dell’impugnata sentenza del Consiglio di Stato, diffida in cui si prefigura altresì un’azione per il risarcimento del danno. Prima di esporre il contenuto del motivo di ricorso, l’Avvocatura svolge ampie considerazioni sull’impraticabilità di quanto preteso nell’anzidetta diffida e sulle condizioni occorrenti perchè possa configurarsi un’azione di danni per atti illegittimi della pubblica amministrazione. Di tali considerazioni non può, però, tenersi conto in questa sede, perchè non è ovviamente l’atto di diffida cui s’è fatto cenno a poter costituire oggetto del giudizio di cassazione.

 

Giova anche osservare che non ci si può qui occupare neppure della configurabilità di un emanando provvedimento del CSM che sia volto solo alla “ricostruzione della carriera” di un magistrato pretermesso nel conferimento di un incarico di presidente di corte d’appello, nè della stessa possibilità di equiparare un tale conferimento ad una progressione di carriera (sempre che di “carriera” possa parlarsi per i magistrati appartenenti all’ordine giudiziario): perchè tali questioni esulano dal perimetro del motivo di ricorso e, comunque, non attengono al rispetto dei limiti esterni della giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato.

 

Ci si occuperà dunque unicamente del motivo di ricorso inerente alla giurisdizione, proposto a norma dell’art. 362 c.p.c., motivo nella cui intestazione si afferma che il Consiglio di Stato avrebbe violato l’art. 111 Cost., comma 8, artt. 104, 105 e 107 Cost., oltre che il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 110. 2. Dopo aver ricordato i principi già ripetutamente affermati dalle sezioni unite di questa corte in ordine alla sindacabilità del cosiddetto eccesso di potere giurisdizionale, sussistente ogni qual volta il giudice amministrativo indebitamente invada con la propria decisione la sfera riservata al merito dell’agire dell’amministrazione, oltre che eventualmente quella spettante al giudice di un ordine diverso, l’Avvocatura ricorrente si sofferma sulle prerogative costituzionali attribuite al CSM nel conferimento degli incarichi giurisdizionali e sostiene che il Consiglio di Stato, operando direttamente il giudizio comparativo tra il curriculum professionale dei due candidati in competizione, sarebbe andato ben al di là dell’accertamento di un vizio di motivazione della delibera impugnata, invadendo la sfera di vantazione rigorosamente riservata al CSM. 3. Il ricorso non appare meritevole di accoglimento.

 

E’ fuor di dubbio che le decisioni del giudice amministrativo siano sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione quando detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito riservato all’amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (dunque, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso (cfr. tra le tante, da ultimo, Sez. un. n. 23302 del 2011).

 

E’ però altrettanto indubbio ed evidente che, per esercitare la propria giurisdizione di legittimità, e quindi valutare gli eventuali sintomi dell’eccesso di potere dai quali un atto amministrativo impugnato potrebbe essere affetto, il giudice amministrativo non può esimersi dal prendere in considerazione la congruità e la logicità del modo in cui la medesima amministrazione ha motivato l’adozione di quell’atto. Neppure quando perciò si tratti – come nella specie – di un atto a contenuto fortemente valutativo, cui certamente inerisce un ampio grado di discrezionalità anche tecnica, si può negare al giudice il potere- dovere di vagliarne la relativa motivazione, ai fini e nei limiti sopra accennati; e, se pure è vero che, in siffatte situazioni, esiste il rischio che detto giudice travalichi quei limiti e sostituisca indebitamente la propria valutazione a quella dell’amministrazione, per riscontrare un tale eccesso non basta certo soltanto il fatto che il giudice si sia soffermato a soppesare gli argomenti sui quali la motivazione dell’atto impugnato si articolava.

 

Non gli sarebbe altrimenti possibile esprimere alcun giudizio sulla congruità e logicità di quella motivazione, che si perverrebbe così all’inammissibile risultato di rendere di fatto insindacabile.

 

Occorre allora riuscire a cogliere la linea di discrimine – talora sottile, ma mai inesistente – tra l’operazione intellettuale consistente nel vagliare l’intrinseca tenuta logica della motivazione dell’atto amministrativo impugnato e quella che si sostanzia invece nello scegliere tra diverse possibili opzioni valutative, più o meno opinabili, inerenti al merito dell’attività amministrativa di cui si discute. Altro è l’illogicità di una valutazione, altro è la non condivisione di essa. Un conto è stabilire quali criteri di valutazione l’amministrazione intende privilegiare nel compiere una certa scelta, a quali elementi essa intende dare maggior peso ed a quali un peso minore o come ritiene di dover contemperare i primi con i secondi, altro conto è motivare la concreta applicazione di quei medesimi criteri nel caso concreto. L’insindacabilità della valutazione discrezionale dell’amministrazione ad opera del giudice non esclude che sia invece sindacabile una motivazione che non consenta di comprendere i criteri ai quali quella valutazione si è ispirata o che, peggio ancora, manifesti l’illogicità o la contraddittorietà della loro applicazione nella fattispecie concreta.

 

Ciò posto, è evidente che, per vedere accolta la propria doglianza, l’amministrazione ricorrente non avrebbe potuto limitarsi – come invece ha fatto – a denunciare che la pronuncia del Consiglio di Stato “sembra lambire l’esercizio di un potere valutativo di merito”, ma avrebbe dovuto evidenziare se ed in qual punto il riesame della motivazione della delibera consiliare, da parte di quel giudice, sia andato oltre i limiti di un sindacato di logicità e non contraddittorietà. Limiti che non possono dirsi trascesi sol perchè l’impugnata sentenza discorre dei requisiti dei due candidati che concorrevano al conferimento del medesimo incarico: volta che quei rilievi appaiono espressamente finalizzati ad evidenziare l’incongruità logica di una motivazione la quale, premessa l’eccellenza delle qualità professionali di entrambi i candidati, ha poi fatto leva sulla versatilità e sulle conoscenze ordinamentali di uno di essi senza dar conto delle ragioni per le quali ha considerato che tali elementi dovessero prevalere sulla varietà di esperienze professionali (e specificamente dirigenziali) dell’altro. Non è dunque l’uso come parametro di valutazione dei suaccennati criteri della versatilità e dell’esperienza in materia ordinamentale ad essere stato censurato dal giudice amministrativo, bensì l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione addotta nella delibera del CSM per giustificare come essi sono stati applicati dal medesimo CSM soppesando e comparando la storia professionale dei due candidati in concorso. E che un tale giudizio non abbia invaso la sfera riservata alle determinazioni discrezionali di competenza dell’amministrazione è confermato dall’ovvio ma pur espresso rilievo, contenuto nell’impugnata sentenza, secondo cui l’annullamento della delibera in questione non pregiudica in alcun modo “le ulteriori determinazioni che l’Amministrazione assumerà”:

 

stando ciò a significare che il Consiglio di Stato non ha inteso – nè certo avrebbe potuto – operare esso stesso una qualche valutazione comparativa tra i magistrati che si erano candidati alla carica di presidente della Corte d’appello di (OMISSIS), bensì solo far venire meno l’atto amministrativo, viziato da eccesso di potere, che quella valutazione aveva operato, lasciando così aperto ogni spazio al CSM nella determinazione del contenuto di una nuova eventuale successiva delibera, adeguatamente motivata e non affetta da un analogo vizio.

 

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato, con l’enunciazione del seguente principio di diritto.

 

“Non eccede dai limiti della propria giurisdizione il giudice amministrativo se, chiamato a vagliare la legittimità di una deliberazione con cui il Consiglio Superiore della Magistratura ha conferito un incarico direttivo, si astenga dal censurare i criteri di valutazione adottati dall’amministrazione e la scelta degli elementi ai quali la stessa amministrazione ha inteso dare peso, ma annulli la suindicata deliberazione per vizio di eccesso di potere, desunto dall’insufficienza o dalla contraddittorietà logica della motivazione in base alla quale il Consiglio Superiore ha dato conto del modo in cui, nel caso concreto, gli stessi criteri da esso enunciati sono stati applicati per soppesare la posizione di contrapposti candidati”. 5. La peculiarità della vicenda e la già rilevata difficoltà di cogliere di volta in volta la linea di discrimine tra sindacato di merito e di legittimità nell’ambito del giudizio amministrativo suggeriscono di compensare tra le parti le spese processuali.

 

 

P.Q.M.

 

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Redazione