Esercizio abusivo della professione di psichiatra: cittadini non legittimati a ricorrere (Cass. pen. n. 45626/2012)

Redazione 21/11/12
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto

Avverso il decreto del GIP presso il Tribunale di Bari in data 28-9-2011 con cui, su conforme richiesta del PM competente e sull’opposizione a tale richiesta da parte di P.C., C.P. e PA.BA., veniva, con procedura de plano dichiarata inammissibile detta opposizione e disposta l’archiviazione del procedimento penale nei confronti di O.G. ed A.A. in ordine al reato di cui all’art. 348 c.p., i predetti opponenti hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo a motivi del gravame, in relazione ad una perizia a suo tempo svolta su persona frattanto deceduta la violazione di legge in merito alla diagnosi operata da soggetto non giuridicamente qualificabile quale psichiatra ma solo come psicologo, con la conseguente patente sussistenza del reato di cui all’art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione) in capo all’O. (con ritenuta originaria sussistenza di concorso con costui da parte del PM procedente dr. A.A.).
Con la requisitoria scritta in atti il PM in sede ha concluso per il rigetto dei ricorsi, ritenendo omessa la specifica richiesta di accertamenti suppletivi, fermo restando la motivata insussistenza della notizia di reato.
Ciò posto, è assorbente, ai fini che ne occupa, che il ricorso avverso il decreto de quo, sia proposto da soggetto legittimato e tanto e, nella specie, da soggetto cui ritualmente possa riconoscersi la qualità di persona offesa dal reato.
Orbene, come già ribadito da questa Corte di legittimità, l’interesse tutelato dal reato di cui all’art. 348 c.p. a che l’esercizio di determinate professioni sia consentito unicamente a chi è in possesso della prescritta abilitazione, riguarda in via diretta ed immediata la P.A., la cui organizzazione è offesa dalla violazione delle norme che regolano, appunto, talune professioni, mentre di riflesso coinvolge gli interessi ed professionali, con specifico riferimento alle associazioni professionali di categoria, ma giammai i privati cittadini, eventualmente e solo possibili danneggiati ma non già persone offese.
Ne consegue che, nella specie, è assorbente e va dedotto in via preliminare il difetto di legittimazione all’impugnazione da parte dei ricorrenti, non potendo loro correttamente attribuirsi la qualifica di persone offese dal reato ex art. 348 c.p. ipotizzato dall’accusa a carico degli indagati, a prescindere dai rilievi dedotti dal PG nella propria requisitoria scritta in atti e dal merito dell’intera vicenda.
I ricorsi, pertanto, vanno dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma equitativamente determinata nella misura di Euro trecento/00 alla cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro trecento/00 in favore della cassa delle ammende.

Redazione