Esclusione del nesso causale tra il tamponamento di lieve entità e la paresi intervenuta nel danneggiato a seguito di trattamento chirurgico (Cass. n. 21726/2013)

Redazione 23/09/13
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Svolgimento del processo

In data (omissis) C.S., mentre era fermo a bordo della sua auto Alfa 164 sulla tangenziale (omissis), veniva tamponato da un’auto condotta da V.L. e nella circostanza il veicolo del C. riportava danni al paraurti posteriore. Il giorno successivo, il medico di famiglia, al quale il C. riferiva di avvertire un forte dolore alla parte bassa della schiena, gli prescriveva dell’Aulin e degli esami radiografici.
Dopo oltre venti giorni, il (omissis) , il C. avvertiva un forte dolore alla schiena e, trasportato immediatamente al pronto soccorso, gli veniva diagnosticata un’ernia discale espulsa con compressione del midollo e veniva subito sottoposto ad intervento
chirurgico ma rimaneva paraplegico.
Il C. , quindi, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, il V. , la AIG Europe SA, assicuratrice del veicolo tamponante, la Automaggiore S.p.a., proprietaria dello stesso, e il medico curante, ******** , la cui negligenza professionale assumeva costituisse concausa dell’esito infausto.
Interveniva in giudizio volontariamente S.A. , moglie dell’attore, chiedendo il risarcimento dei danni da lei subiti.
Il Tribunale adito, con sentenza del 22 gennaio 2004, dichiarava esclusivo responsabile del sinistro del 21 aprile 1997 il Varese e lo condannava, in solido con la AIG Europe SA e la Automaggiore S.p.a. al risarcimento dei soli danni materiali riportati dall’Alfa 164 in occasione del ricordato tamponamento, rigettava ogni domanda proposta dal C. in relazione a danni alla persona nonché le domande proposte nei confronti del B. e compensava le spese tra tutte le parti.
Avverso tale decisione i coniugi C. S. proponevano appello, cui resistevano tutti gli appellati chiedendone il rigetto.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 5 ottobre 2006, rigettava il gravame e condannava gli appellanti alle spese.
Avverso la sentenza della Corte di merito C.S. e S.A. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Hanno resistito con controricorso V.L. , Maggiore ************ ed ********** SA nonché, con distinto controricorso, B.L. .
Quest’ultimo e i ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile, ai sensi del comma 2 dell’art. 27 del medesimo decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati dalla data di entrata in vigore dello stesso (2 marzo 2006), e successivamente abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n. 69 a decorrere dal 4 luglio 2009 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (5 ottobre 2006).
2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 115, II co. e 116 cod. proc. civ. e del combinato disposto degli artt. 2056 e 1223 cod. civ. e dei principi che disciplinano la valutazione delle prove e che impongono al Giudice, una volta disposta la consulenza tecnica d’ufficio, diretta ad accertare il nesso di causalità, tra l’incidente occorso e la patologia lamentata dal danneggiato, di fare riferimento alle risultanze tecnico scientifiche di cui all’elaborato peritale, per condividerne il contenuto, ovvero in relazione alle quali motivare il proprio dissenso” (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) nonché omessa illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.).
2.1. In relazione al primo motivo i coniugi C. S. pongono i seguenti quesiti di diritto:
– “Dica la Corte se, una volta disposta la consulenza tecnica d’ufficio, diretta ad accertare, in modo specifico, il nesso di causalità tra il fatto lesivo e le lesioni refertate e certificate ovvero se l’evento abbia cagionato anche solo un peggioramento delle condizioni del soggetto rispetto a quelle preesistenti, il Giudice, dopo aver riconosciuto la sussistenza di elementi, in relazione ai quali i CTU hanno riconosciuto che è difficile negare un ruolo concausale tra l’evento traumatico e la lesione certificata, sia vincolato a prendere in considerazione tali valutazioni tecnico-scientifiche e a riconoscere la sussistenza del nesso di causalità, seppure quale mera concausa, ovvero possa discostarsi da tali valutazioni, senza alcuna motivazione”.
– “Dica la Corte se, accertata la sussistenza degli elementi in fatto in relazione alla cui esistenza i CTU hanno riconosciuto di non poter negare il nesso di causalità o concausale tra l’evento traumatico e la lesione certificata, la Corte possa, senza motivazione in ordine alle ragioni del dissenso rispetto alle conclusioni dei CTU escludere la invocata responsabilità in relazione alla mancanza del nesso causale”.
2.2. Osserva la Corte che – al di là della non del tutto corretta formulazione dei quesiti che precedono, alla luce dei canoni indicati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, risolvendosi gli stessi nel mero interpello della Corte in ordine alla correttezza o meno dell’operato del giudice del merito e difettando, comunque, il mezzo in parola di autosufficienza, essendosi i ricorrenti limitati a riportare, in ricorso, solo qualche frase, estrapolata dal contesto, tratta dalla relazione di ctu, pur avendo sulle risultanze dell’accertamento tecnico incentrato le censure all’esame – il motivo è infondato.
2.3. Ed invero, non sussistono né il vizio di violazione o falsa applicazione di legge indicato nella rubrica del motivo né i lamentati vizi motivazionali, evidenziandosi che, in relazione alla ritenuta insussistenza del nesso causale – la ricorrenza del quale era onere dei ricorrenti provare – tra il sinistro del 21 aprile 1997 e la paraplegia verificatasi il 14 maggio 1997, la Corte di merito ha dato ampia, congrua e coerente motivazione, immune da vizi logici e giuridici.
Al riguardo si evidenzia che i Giudici del secondo grado hanno tenuto conto che nel modulo di constatazione amichevole, stilato dai conducenti dei veicoli coinvolti nell’immediatezza del fatto, si da atto che l’auto del C. ha riportato solo danni al paraurti posteriore, il che lascia presumere che l’urto sia stato di lieve entità, e tanto risulta confermato dalle modeste riparazioni effettuate; inoltre, in relazione al punto del predetto modulo attinente a “feriti, anche se lievi”, risulta barrata la casella “NO”, a testimonianza che l’impatto non ha cagionato problemi fisici al C. , il quale dopo il fatto non si é neppure recato al pronto soccorso, non accusando, evidentemente, dolore o comunque conseguenze al tratto dorsale della colonna vertebrale. Tale quadro asintomatico, perfettamente coerente con il tipo di incidente verificatosi, considerato che i tamponamenti di lieve entità, quando arrecano conseguenze fisiche al conducente del veicolo tamponato, interessano il rachide cervicale (c.d. colpo di frusta) ma non la parte bassa del dorso, risulta corroborato, secondo la Corte di appello, dalla circostanza, riferita dallo stesso C. che lo stesso indossava al momento del tamponamento la cintura di sicurezza, la quale notoriamente mantiene praticamente fissa contro il sedile la parte bassa del dorso della persona.
Ha aggiunto la Corte di merito che in sede di anamnesi raccolta in occasione del ricovero presso l’Ospedale di Legnano, in data 14 maggio 1997, il C. ha riferito ai sanitari che all’esito del sinistro stradale in questione non accusava dolore né disturbi neurologici specifici e che solo la mattina di quel ricovero aveva avvertito, subito dopo il risveglio, lombalgia e successivamente parestesia. La Corte territoriale ha evidenziato, altresì, che, pur avendo il giorno dopo il sinistro il medico curante diagnosticato una “forte lombalgia bassa – D10/D12 da riferito incidente stradale” al C. , questi, in occasione della visita, ha riferito ai ctu di aver accusato nella notte precedente solo un “indolenzimento” alla schiena, risolto con l’assunzione di ***** per un paio di giorni, ed ha posto in rilievo che l’attuale ricorrente aveva ripreso sin da subito il suo lavoro di imprenditore e si era astenuto – evidentemente non avvertendone né la necessità né l’opportunità – dall’effettuare i controlli che il medico curante gli aveva prescritto.
La Corte di merito sulla base delle riferite circostanze, considerate dalla stessa concordanti, univoche e precise, ha ritenuto che il C. , in occasione del sinistro di cui si discute in causa, non abbia subito in realtà alcun trauma alla schiena o, a tutto voler concedere, abbia subito un trauma del tutto lieve e senza conseguenze, inidoneo a costituire concausa delle gravi lesioni poi insorte. I Giudici di secondo grado hanno pure osservato che all’inidoneità lesiva ricavabile dalle stesse caratteristiche, entità e importanza dell’evento del (omissis) andava aggiunto che nei successivi venti giorni circa il C. aveva continuato a lavorare e a svolgere le sue normalità attività in situazione di piena asintomaticità e che alcun riscontro probatorio ha trovato la c.d. “sindrome a ponte”, dedotta dagli attuali ricorrenti, evidenziando a tale riguardo che né i sanitari che eseguirono l’intervento, né gli altri controlli successivi né il collegio di ctu che ha esaminato il caso hanno potuto accertare quando la lesione intravertebrale e il distacco del frammento siano avvenuti ed ha conclusivamente escluso, per le ragioni già riportate, che il tamponamento del 21 aprile 1997 potesse cagionare tale conseguenza.
3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e “dei principi e delle norme che disciplinano la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e secondo cui il Giudice deve pronunciarsi con sentenza, che come tale deve constare, necessariamente di una parte motiva, su tutte le domande proposte” (art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.); 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e “dei principi e norme che impongono all’appellante specifiche censure tese a scardinare il ragionamento logico-giuridico posto a base della sentenza impugnata se ed allorquando esista una motivazione cosicché laddove non esiste una motivazione è sufficiente che l’appellante si limiti a censurare la sentenza per omessa pronuncia e a riproporre la domanda” (art. 360, primo comma, c.p.c.); 3) insufficiente e illogica motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.).
3.1. In relazione al secondo motivo i ricorrenti pongono i seguenti quesiti di diritto:
“Dica la Corte se allorquando sia stata proposta una domanda da parte dell’intervenuta volontariamente, che ha invocato jure proprio danni morali esistenziali e patrimoniali in conseguenza dei danni alla persona subiti dal coniuge che diviene affetto da paraplegia, e con ordinanza il giudice abbia rilevato l’inammissibilità dell’intervento, la sentenza che definisce il grado, che si limiti ad indicare nell’epigrafe la parte che ha spiegato intervento e che nel dispositivo pronunci in tal senso: rigetta le ulteriori domande di risarcimento danni alla persona, sentii alcuna motivazione in ordine alla ammissibilità dell’intervento e delle domande con esso spiegate, debba ritenersi viziata ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero possa ritenersi idonea a costituire, comunque, una pronuncia specifica sulle domande proposte dal soggetto che ha spiegato intervento”;
– “Dica la Corte se, allorquando sulla domanda proposta dalla parte che ha spiegato intervento volontario, il Giudice abbia deciso, limitandosi a rigettare tutte le domande, senza alcuna specifica motivazione, in ordine alla ammissibilità e fondatezza delle domande proposte dalla parte intervenuta volontariamente, la stessa parte, che propone appello avverso la predetta sentenza, lamentando il difetto di pronuncia sulla domanda e limitandosi a riproporre la stessa, sia, o meno, onerata anche a prospettare specifiche ragioni di merito per cui il suo intervento debba essere dichiarato ammissibile”;
– “Dica la Corte se, allorquando il Giudice con ordinanza istruttoria abbia affermato l’inammissibilità dell’intervento e con la sentenza che definisce il giudizio si sia limitato a pronunciare il rigetto delle domande, senza alcuna motivazione in ordine all’inammissibilità dell’intervento stesso, possa ritenersi che l’ordinanza istruttoria, considerato che nell’epigrafe della sentenza viene indicata la parte intervenuta e il dispositivo contempla il rigetto delle domande, (possa ritenersi che l’ordinanza) sia trasfusa nella sentenza, con conseguente sanatoria del vizio di forma, ovvero debba ritenersi che, a tal fine, la sentenza avrebbe dovuto, nella parte motiva, richiamare, quanto meno, l’ordinanza ovvero argomentare le ragioni della inammissibilità dell’intervento”.
3.2. Il rigetto del primo motivo del ricorso assorbe l’esame delle questioni sollevate con il secondo motivo del ricorso, atteso che risulta comunque del tutto superfluo esaminare la domanda proposta dalla S. , il cui esito é strettamente connesso alla fondatezza o meno delle domande proposte dal C. .
4. Tenuto conto della peculiarità delle questioni esaminate e della particolarità della vicenda oggetto di causa, va disposta l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Redazione