Errata diagnosi per colpa lieve: risarcimento danni per un intervento chirurgico effettuato a seguito di una errata diagnosi di cancro (Cass. n. 4030/2013)

Redazione 19/02/13
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Svolgimento del processo

1. B.N., con una prima citazione del maggio 1999, conveniva dinanzi al Tribunale di Parma, la Azienda Ospedaliera di (omissis) ed i chirurghi M.A. e Me.Ma. e ne chiedeva la condanna in solido al pagamento dei danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali conseguenti ad interventi chirurgici eseguiti il (omissis) ed il successivo (omissis) dai chirurgi con esiti invalidanti permanenti. Si costituivano la Azienda ospedaliera che eccepiva il difetto di legittimazione passiva, mentre il Me. sosteneva di avere svolto un ruolo secondario nel secondo intervento di laparoistectomia, restava contumace il M..

2.Una seconda citazione era proposta dalla B., in relazione allo intervento di laparoistectomia nei confronti della Regione di Reggio Emilia Romagna e della AUSL di (omissis), in persona del direttore generale quale commissario liquidatore, sempre con richiesta di risarcimento da parte degli enti convenuti. La Regione di costituiva deducendo difetto di legittimazione e la prescrizione del credito, chiamava in manleva la assicuratrice Assitalia e formulava eccezione di incostituzionalità dello art. 6 della legge 724 del 1994; la AUSL di (omissis) deduceva a sua volta difetto di legittimazione. La assicuratrice si costituiva ma chiedeva il rigetto della domanda di manleva.

Le cause erano riunite ed istruite con consulenza medico legale che accertava una invalidità permanente del dieci per cento, ritenendo l’intervento routinario, eseguito con diligenza e prudenza.

3. Il tribunale di Parma con sentenza del 11 marzo 2004 rigettava le domande della B. e la condannava alla rifusione delle spese di lite sostenute dal Me. e dalla AUSL di (omissis), disponendo per il resto come in dispositivo.

4. Contro la decisione proponeva appello la parte lesa, deducendo:

a. erronea declaratoria di estinzione del diritto di risarcimento per prescrizione;

b. erronea esclusione dello accertamento del mancato consenso informato;

c. erroneo operato dei sanitarì, la erronea necessità dello intervento a seguito della errata diagnosi di un carcinoma con conseguente non necessità dello intervento operatorio di laparoistectomia ed errata valutazione del danno, con richiesta di rinnovo di CTU;

d. mancata compensazione per giusti motivi delle spese di lite.

Resistevano tutte le controparti, chiedendo il rigetto del gravame.

5. Con sentenza del 26 agosto 2009 la Corte di appello di Bologna respingeva lo appello principale ed accoglieva l’appello incidentale della Regione condannando la B. a rifondere le spese sostenute in primo grado da Assitalia e condannava la B. a rifondere le spese di secondo grado a tutti gli appellati.

6. Contro la decisione ha proposto ricorso B.N. deducendo tre motivi di censura, illustrati da memoria; la Regione Emilia Romagna ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato ad unici motivo;la azienda ospedaliera universitaria di Parma unitamente all’Assitalia ha resistito con controricorso chiedendo il rigetto del gravame della B..

Motivi della decisione

7. Il ricorso principale merita accoglimento, mentre inammissibile risulta il ricorso incidentale. Per chiarezza espositiva si offre una sintesi dei motivi di ricorso ed a seguire la confutazione in diritto.

7.1. SINTESI DEI MOTIVI DEL RICORSO B..

Nel primo motivo si deduce error in procedendo per avere la Corte di appello ritenuto nuova domanda in appello la specificazione della causa petendi non nella errata conduzione dello intervento chirurgico ma nella errata diagnosi compiuta dai sanitari circa la patologia da cui era affetta la paziente e sulla cui sussistenza era stato reputato dai medici necessario tale intervento.

Nel secondo motivo si deduce error in iudicando per violazione dell’art. 1218 c.c., ed il vizio della motivazione in relazione allo accertamento di un peggioramento della patologia della paziente quale conseguenza della conclusione dello intervento. Si rileva in particolare che mentre la prova del peggioramento è medicalmente accertata, la Corte esclude che tale esito sia di per sè imputabile a colpa medica, piuttosto che ad una c.d. complicanza non prevedibile.

Nel terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., art. 13 Cost., e art. 54 c.p., nonchè il vizio della motivazione in relazione alla prova del danno da mancato consenso informato e del diritto del paziente ad essere informato. La tesi del ricorrente è che nella fattispecie in esame il consenso fu disinformato o male informato. Infatti la erroneità della diagnosi che accertava la presenza di un tumore, peraltro inesistente, indusse il paziente a sopportare un intervento chirurgico lesivo della sua integrità fisica anche se per finalità salvifiche, ma l’errore diagnostico, accertato dal consulente di ufficio sulla base di circostanze e riscontri documentali medici, risulta aver vulnerato lo assenso all’intervento, che ebbe esiti in parte nefasti e peggiorativi delle condizioni preesistenti, che pure esigevano cure, ma non invasive o invalidanti.

7.2. SINTESI DEL RICORSO DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA. Deduce la Regione nell’unico motivo l’error in iudicando in relazione agli artt. 2059 e 2697 c.c., ed il vizio della motivazione. La ricorrente incidentale chiede correggersi al motivazione della sentenza di appello nel punto in cui riconosce la violazione del consenso informato, senza poi provvedere alla quantificazione del danno. La correzione deriva dalla evidenza della corretta esecuzione dello intervento, con tutti gli accorgimenti per la riduzione del rischio delle complicanze.

8. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. 8.1. ACCOGLIMENTO DEI TRE MOTIVI DEL RICORSO PRINCIPALE. Il procuratore generale ha concluso per lo accoglimento delle tre censure, con precisa e coerente argomentazione che tiene conto degli arresti di questa Corte di cassazione sulla complessa e delicata materia della responsabilità medica, che indotto il legislatore ad una recente novella depenalizzatrice della responsabilità penale del medico per il caso di colpa lieve. Il riferimento è al D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3 comma 1, convertito nella L. 8 novembre 2012, che esclude la responsabilità medica in sede penale, se l’esercente della attività sanitaria si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Ma la stessa norma prevede che in tali casi, la esimente penale non elide l’illecito civile e che resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c., che è clausola generale del neminem laedere, sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la salute. La novellazione, che non riguarda la fattispecie in esame, ha destato non poche perplessità anche di ordine costituzionale, in relazione all’art. 77 Cost., comma 2, in quanto il testo originario del decreto legge non recava alcuna previsione di carattere penale e neppure circoscriveva il novero delle azioni risarcitorie esperibili da parte dei danneggiati.

La premessa che indica una particolare evoluzione del diritto penale vivente, per agevolare l’utile esercizio dell’arte medica, senza il pericolo di pretestuose azioni penali, rende tuttavia evidente che la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aguiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale. PUNTO fermo, ai fini della filomachia, gli arresti delle sentenze delle Sezioni unite nel novembre 2008, e tra queste la n.26973, ed in particolare nel punto 4.3 del c.d. preambolo sistematico, che attiene ai c.d. contratti di protezione conclusi nel settore sanitario, ed agli incipit giurisprudenziali ivi richiamati, e seguiti da decisioni di consolidamento.

Orbene, tenendo conto del diritto vigente, arricchito della interpretazione del diritto vivente e dalla giurisprudenza nomofilattica di questa Corte di legittimità, la prima censura risulta fondata, posto che la Corte di appello erroneamente ritiene nuova la specifica censura svolta nell’atto di appello in ordine alla deduzione dell’errore diagnostico sulla patologia che determina i medici ad un atto chirurgico invasivo e invalidante, erroneamente assentito.

Sul punto è da osservare come il tema originario della responsabilità medica sin dai due primi atti introduttivi, avesse indicato unitariamente il medesimo fatto dannoso, evidenziando l’errore diagnostico poi riscontrato in sede di consulenza medica, di guisa che la causa petendi, riconducibile alla responsabilità aquiliana e alla responsabilità da contatto sociale, sì riferiva ad unico fatto costitutivo della fattispecie circostanziata, da sussumere sotto la disciplina dei principi di responsabilità professionale e della struttura sanitaria, ribaditi sistematicamente nelle sezioni unite citate e successive conformi tra cui Cass. 3^ sez. civile 8 giugno 2012 n. 9290 su conformi conclusioni del PG e Cass. sez. sesta ord. 13269 del 2012.

La specificazione dello error in iudicando riferito alla sequela dello errore diagnostico e intervento chirurgico assentito sulla base di errata informazione delle condizioni di salute, non costituisce domanda nuova, ma è atto intrinseco alla deduzione di una domanda diretta ad accertare la responsabilità civile secondo le circostanze note ed allegate. PARIMENTI incongrua è la motivazione che da un lato accerta il peggioramento delle condizioni del paziente a seguito dell’intervento chirurgico e d’altro lato esclude la imputabilità soggettiva in ordine alla mancata realizzazione della prestazione di garanzia, in un intervento detto routinario.

LA PROVA della colpa lieve non esime dalla responsabilità civile, che considera la colpa in una dimensione lata, inclusiva del dolo e della diligenza professionale, e nel caso di specie i medici e la struttura non hanno dato la prova esimente della complicanza non prevedibile o non prevenibile, prova che incombe alla parte che assume l’obbligo di garanzia della salute, e che non è stata data, mentre, al contrario il paziente ed i consulenti di ufficio e di parte attestano un aggravamento delle condizioni di salute non altrimenti spiegabile se non per una difettosa conduzione della prestazione sanitaria nella sua continuità.

SUSSISTE pertanto e la violazione della regola generale dell’art. 1218 c.c., in relazione ad una situazione di inadempimento obbiettivamente grave,per la configurazione del rapporto contrattuale di garanzia, e per la difettosa motivazione che non considera il tema e l’onere della prova, che il paziente fornisce come prova dell’aggravamento e della sequenza naturale tra l’atto invasivo ed ablativo e la invalidazione scientificamente non dovuta.

PARIMENTI FONDATO è IL TERZO MOTIVO, che ha impegnato il Procuratore generale in una accurata ricostruzione dello stato della giurisprudenza, a partire dalle SU 11 gennaio 2008 n.576 richiamate dalle successive SU del novembre appena citate, cui questa Corte aggiunge la recente sentenza del 27 novembre 2012 n. 20894, che ancora puntualizza le condizioni di manifestazione e di formazione del consenso informato, che ha natura bilaterale ed esprime un incontro di volontà libere e consapevoli, consenso che si configura quale diritto inviolabile della persona e che trova precisi referenti negli artt. 2, 13 e 32 Cost..

La fattispecie in esame si caratterizza da un contestuale errore di informazione e di assenso all’atto chirurgico, ma l’errore diagnostico non deriva da colpa lieve, ma da una gravissima negligenza, l’avere operato prima di avere la certezza di un tumore conclamato e diffuso tale da rendere improrogabile lo intervento.

Mentre, si assume, che si trattava di intervento routinario.

NON è dunque avvenuto un incontro di volontà efficace in relazione ad un contenuto di informazione medica assolutamente carente e fuorviante.

Sulla base di queste considerazioni il ricorso principale deve essere accolto e la cassazione è con rinvio vincolante quanto ai principi di diritto da osservare, pur nella valutazione delle prove iuxta alligata et probata ma pur sempre facendo attenzione all’onus probandi.

8.2. INAMMISSIBILITA’ DEL RICORSO DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA. Il ricorso nell’unico motivo deduce un error in iudicando per la violazione degli artt. 2059 e 2697 c.c., per pervenire ad una correzione della motivazione nel punto in cui la Corte di appello ammette in astratto l’an debeatur per violazione del consenso informato. Ma sul punto questa Corte accoglie proprio la censura proposta dalla vittima di un consenso disinformato, e dunque il motivo, nella sua formulazione, difetta di specificità.

PARIMENTI incomprensibile appare il motivo dedotto come vizio motivazionale, con citazione di un arresto giurisprudenziale di Cass. 9 febbraio 2007 n. 2847, che non appare pertinente al caso di specie.

ANCHE su questo punto la censura non attiene alla logica motivazionale ma ad un error in iudicando che sostanzialmente configura la ripetizione della prima censura.

P.Q.M.

RIUNISCE i ricorsi ed accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale della Regione Emilia Romagna, cassa e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

Redazione