E’ nullo il licenziamento del dipendente se sono violati i criteri contenuti nell’accordo sindacale (Cass. n. 19177/2013)

Redazione 19/08/13
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Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 24 luglio 2006 M.B. conveniva in giudizio la s.p.a. Ferrarelle chiedendo di accertarsi e dichiarasi il suo diritto al riconoscimento della qualifica dirigenziale a far tempo dal gennaio 1997 ovvero da altra data, e di accertare la invalidità, inefficacia o illegittimità del licenziamento intimatagli dalla società resistente con conseguente condanna della stessa al pagamento delle maggiori retribuzioni dovute per tale superiore inquadramento, della indennità di mancato di preavviso, della indennità supplementare di cui all’art. 19 del c.c.n.l. dei dirigenti di aziende industriali nella misura massima di 22 mensilità, nonchè della somma di Euro 17.251,92, asseritamente dovuta a titolo di incidenza sul t.f.r. delle predette differenze retributive, della indennità sostitutiva di preavviso e della indennità supplementare.

Chiedeva in subordine che venisse accertata la riconducibilità delle mansioni svolte a quelle di quadro ex art. 23 del c.c.n.l. per i dipendenti delle industrie alimentari, con conseguente condanna della convenuta al pagamento delle somme a titolo di differenze retributive; ed instava, infine, per il riconoscimento della illegittimità del licenziamento con condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nella misura minima di cinque mensilità e/o al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento sino allo effettivo reintegro con i relativi contributi previdenziali.

Dopo la costituzione della società e l’espletamento della istruttoria, il Tribunale in parziale accoglimento della domanda del ricorrente dichiarava l’inefficacia del licenziamento impugnato e per l’effetto condannava la società alla reintegra del ricorrente nel posto di lavoro nonchè al pagamento in suo favore delle retribuzioni dalla data del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione oltre rivalutazione monetaria ed interessi. Accertava inoltre il diritto del ricorrente alla inquadramento nella qualifica di quadro a partire dal 1 gennaio 1997, con la conseguente condanna al pagamento delle differenze tra le retribuzioni corrisposte e quelle spettanti in virtù dell’inquadramento riconosciuto nel periodo dal 27 dicembre 2000 sino al 1 aprile 2002 da quantificarsi tenuto conto della prescrizione quinquennale.

Avverso tale sentenza la società proponeva appello principale, deducendo la erroneità del riconoscimento del diritto del M. alla retrodatazione del suo inquadramento quale quadro e della dichiarazione della illegittimità del licenziamento, ed a sua volta il M. spiegava appello incidentale al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto allo inquadramento quale dirigente.

Con sentenza non definitiva del 23 settembre 2010, la Corte d’appello di Roma respingeva l’appello principale limitatamente ai motivi riguardanti l’impugnazione del licenziamento, e respingeva il gravame incidentale.

Avverso tale sentenza la s.p.a. Ferrarelle propone ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso M.B., che spiega a sua volta ricorso incidentale con due motivi.

La società propone infine controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., perchè proposti avverso una medesima sentenza.

2. Con il ricorso principale la s.p.a. Ferrarelle denunzia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo ai fini della risoluzione della controversia. Lamenta in particolare la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che l’inclusione del M. tra il personale da licenziare fosse arbitrario ed illegittimo in quanto estraneo al contenuto dell’accordo sindacale del 25 maggio 2005 con il quale la società, dopo avere quantificato specificamente il numero dei dipendenti in esubero presso ogni singola unità produttiva, aveva poi concordato – con effetto pienamente vincolante, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., comma 1, della L. n. 223 del 1991 – quali unici criteri di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità “la maturazione……..del diritto a pensione e la non opposizione a mobilità”.

A tale riguarda la ricorrente fa presente che, come emergeva dalla documentazione in atti, la posizione del M. non era comparabile con quella di altro dipendente pensionabile dal momento che era incontestato che egli aveva assunto la posizione di unico “Responsabile Order Processing Complaints”, con la qualifica di quadro, e che tale profilo professionale era indicato in esubero e pertanto il licenziamento trovava una idonea giustificazione.

3. Con il ricorso incidentale il M. lamenta a sua volta con il primo motivo violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte d’appello di Roma osservato il dettato dell’art. 345 c.p.c., nella parte in cui obbliga la notifica del ricorso entro dieci giorni dalla fissazione della udienza di discussione, non consentendo la norma di rito alcun margine di discrezionalità nel senso di far ritenere il suddetto termine quale meramente ordinatorio e non già perentorio, e richiama a conforto di tale assunto i principi stabiliti dalla sentenza n. 20604 del 30 luglio 2008.

3.2. Con il secondo motivo denunzia invece erronea e carente motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè omesso esame di prove decisive ed omessa ammissione di mezzi di prova rilevanti.

Più specificatamente il ricorrente rimarca che il giudice d’appello, nel disattendere il gravame incidentale per il riconoscimento della qualifica dirigenziale, non ha tenuto conto della documentazione in atti nonchè della circostanza che il Tribunale non ha inteso dare ingresso alla richiesta prova per testi in ordine alla mansioni di grandissimo rilievo in concreto svolte da esso ricorrente.

4. Esigenze di un ordinato iter motivazionale portano ad esaminare dapprima i motivi del ricorso incidentale.

5. Il primo motivo di detto ricorso è infondato.

5.1. Questa Corte di cassazione ha più volte statuito che nel rito del lavoro, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione (art. 435 c.p.c., comma 1) non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all’appellato uno “spatium deliberando non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione, perchè egli possa apprestare le proprie difese (art. 435 c.p.c., comma 2)(cfr. al riguardo Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358, ord., cui adde ancora ex plurimis; Cass. 12 aprile 2011 n. 8411 e più di recente Cass. 31 maggio 2012 n. 8685, che nel ribadire ancora una volta che il termine di dieci giorni assegnato all’appellante dall’art. 435 c.p.c., comma 2, non è perentorio, precisa poi che la sua inosservanza non comporta alcuna decadenza, sempre che oltre a restare garantito all’appellato uno “spatium deliberando di cui alla norma di rito non vi sia anche incidenza alcuna del comportamento della parte, in mancanza di differimento dell’udienza, sulla ragionevole durata del processo).

5.2. Nè questo ormai consolidato principio di diritto – cui si intende dare continuità nel doveroso rispetto della funzione nomofilattica della Corte di cassazione – si pone in contrasto con la decisione delle Sezioni Unite del 30 luglio 2009 n. 20604, richiamata dal M. a sostegno della sua censura, in quanto il dictum dei giudici di legittimità attiene ad una fattispecie diversa da quella ora scrutinata per avere ad oggetto la declaratoria – alla stregua del principio costituzionalizzato della “ragionevole durata” del processo (art. 111 Cost., comma 2) – di improcedibilità nel rito del lavoro dell’appello, pur tempestivamente proposto nel termine, ove il ricorso depositato con il decreto di fissazione dell’udienza non sia stato affatto notificato e dalla parte sia stato chiesto un nuovo termine una volta scaduto il precedente.

6. Il secondo motivo del ricorso in esame è invece inammissibile.

6.1. La Corte territoriale, confermando sul punto la decisione di primo grado, ha escluso sulla base delle risultanze istruttorie, che potesse riconoscersi al M. la qualifica dirigenziale osservando al riguardo che, al di là della entità degli ordini gestiti nello svolgimento delle sue funzioni (da Euro 200.000 sino ad Euro 800.000), il M. aveva nell’esercizio della sua attività una limitata autonomia essendo subordinato a due dirigenti, e risultando privo di poteri di firma o di rappresentanza della società.

6.2. Nel chiedere la cassazione della sentenza impugnata evidenziando gli errori della impugnata sentenza denunziati in ricorso, il M. – in violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione – ha fatto riferimento alla deposizione dei testi escussi senza riportare però integralmente i relativi capi di prova (articolati e non ammessi) e senza, quindi, dimostrarne la rilevanza ai fini decisori; per di più non ha allegato al ricorso stesso tutti i numerosi documenti in esso richiamati, e non ne ha indicato neanche il contenuto per significarne la portata e la ricaduta sulla decisione da prendere, in tal modo violando il principio della autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. tra le più recenti Cass. 31 luglio 2011 n. 13677 e Cass. 30 luglio 2010 n. 17915, secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, lamenti la mancata ammissione di un mezzo istruttorio o la mancata corretta valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, i giudici di legittimità devono essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative).

7. Il compiuto esame del ricorso incidentale consente ora la decisione anche di quello principale, che va rigettato perchè privo di fondamento.

7.1. La società Ferrarelle ha sostenuto che nessuna comparazione era nel caso di specie possibile tra tutti i lavoratori aventi il diritto alla pensione di anzianità ai fini della determinazione della messa in mobilità, dal momento che la posizione del M. era l’unica in esubero nell’area in cui operava ed aveva per di più il dipendente già maturato il diritto a pensione. In base a tale assunto la società ha addebitato alla sentenza impugnata, come già ricordato, un vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7.2. Come si evince dalla chiara lettera della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, la individuazione dei lavoratori da porre in mobilità deve avvenire – nel rispetto delle finalità sottese allo istituto della cassa integrazione – sempre tenendo presente le “esigenze tecnico-produttive ed organizzative” del complesso aziendale. Va però nello stesso tempo rimarcato come la stretta connessione tra l’interesse del singolo lavoratore alla conservazione del posto di lavoro con quello del recupero della produttività delle imprese – da perseguire con ricadute sul piano occupazionale di minore impatto possibile – giustifica il ruolo delle organizzazione sindacali volto a cercare un equilibrato bilanciamento tra tali distinti interessi.

Ciò consente alle suddette organizzazioni di disporre di margini di flessibilità nei criteri di scelta dei lavoratori – carichi di famiglia, anzianità, ed ancora “esigenze tecnico-produttive ed organizzative”- capace di privilegiare un criterio sull’altro, e di applicarne uno soltanto (cfr. al riguardo tra le altre: Cass. 26 giugno 2006 n. 14728, che ritiene legittimo e razionalmente giustificato il criterio adottato in sede di accordo collettivo, della maggiore anzianità anagrafica e contributiva; Cass. 24 marzo 1998 n. 3133, che ritiene consentito dare rilievo con un accordo sindacale anche alle sole esigenze tecnico-produttive ed organizzative ferma restando sempre l’osservanza del criterio di non discriminazione) o infine di stabilire un concorso tra più criteri, sempre che la loro applicazione non lasci – nella individuazione dei singoli lavoratori da porre in cassa integrazione o da licenziare – spazi di discrezionalità suscettibili di aggirare il principio di non discriminazione tra lavoratori.

7.3. Nella gestione delle crisi delle imprese il ruolo del sindacato finisce così per assumere una indubbia rilevanza – come ora espressamente attestato dalla recente L. 28 agosto 2012, n. 92, art. 45, – perchè il legislatore, dando continuità ad un dictum già enunciato dai giudici di legittimità (cfr. al riguardo tra le altre: Cass. 28 ottobre 2008 n. 35892), ha attribuito agli accordi tra le parti sociali una efficacia sanante anche degli eventuali vizi della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12.

7.4. Corollario di quanto sinora detto è che il ricorso della società va rigettato.

7.5. La sentenza impugnata ha infatti al riguardo osservato che nel caso di specie l’utilizzo del criterio di individuazione del lavoratore risultava arbitrario ed illegittimo in quanto estraneo al contenuto dell’accordo sindacale del 25 giugno 2005 con cui la società Ferrarelle, dopo avere quantificato il numero dei dipendenti in esubero presso ogni singola unità produttiva, aveva concordato con effetto vincolante quali unici criteri di individuazione dei lavoratori “la maturazione… del diritto a pensione e la non opposizione a mobilità”, ed aveva anche precisato che tali criteri erano “alternativi e sostitutivi” di quelli indicati dalla L. n. 223 del 1991, citato art. 5, comma 1. Criteri questi però disattesi dalla società nel momento in cui aveva proceduto ad una inutile comparazione della posizione del M. con quella degli altri dipendenti della società.

8. Per concludere, la sentenza impugnata per essere supportata da una motivazione congrua, ineccepibile sul piano logico e per avere fatto corretta applicazione della normativa regolante la materia in esame, si sottrae ad ogni censura che le viene mossa in questa sede di legittimità.

9. Ricorrono giusti motivi in ragione delle reciproca soccombenza per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013.

Redazione