Divieto di detenzione di armi (Cons. Stato n. 2035/2013)

Redazione 15/04/13
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FATTO e DIRITTO

1. – L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario del provvedimento del Prefetto della Provincia di Bologna prot. 320/05/Area 1 Bis in data 5 novembre 2007, con cui gli è stato fatto divieto di detenere armi e munizioni e conseguentemente di consegnare il fucile marca Winchester cal. 12 matr. L3284682 da lui detenuto, oltre che, in caso di dissequestro, la pistola marca ***** & ****** ritiratagli da parte degli agenti di P.S. in occasione dell’intervento operato in Bologna – Via (omissis) in data 22 febbraio 2005.

Il provvedimento traeva motivo da una lite tra vicini per motivi di circolazione veicolare, degenerata in aggressione fisica, durante la quale l’interessato esplodeva tre colpi di arma da fuoco con l’anzidetta rivoltella, con conseguenti denunce-querele reciproche per il delitto di lesioni volontarie lievi e, per quanto concerne il solo appellante, denuncia per il delitto di minaccia aggravata ( procedimento poi archiviato con provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Bologna in data 28 maggio 2007 ) e per il reato contravvenzionale di esplosioni pericolose ( in ordine al quale lo stesso G.I.P., con provvedimento in data 6 dicembre 2007, ha disposto il non luogo a procedere per intervenuta oblazione ).

L’interessato ha impugnato il provvedimento davanti al T.A.R. per l’Emilia Romagna, sede di Bologna. Il ricorso è stato respinto. Donde il presente appello.

2. – L’appellante lamenta che il T.A.R. abbia errato nel considerare aggressiva ed imprudente la condotta da lui tenuta in detta circostanza, posta dall’Amministrazione a base del provvedimento impugnato e che il provvedimento stesso sarebbe illegittimo nella misura in cui ha dedotto la sussistenza di un pericolo di abuso d’armi da parte sua da un uso invece “minimale e proporzionato, coerente con la volontà di difendersi senza mettere in pericolo l’aggressore”, ch’egli ha fatto dell’arma legittimamente detenuta nella citata occasione.

In altri termini, a giudizio dell’appellante, dalla fattispecie in esame non emergerebbero elementi o motivazioni tali da far ritenere perduta la sua affidabilità alla detenzione di armi, tanto da giustificare il provvedimento di divieto impugnato, che avrebbe altresì omesso di contestualizzare l’episodio dell’aggressione subìta “nell’ambito della sua complessiva condotta di vita e personalità”, anche successiva all’unico episodio preso in considerazione dall’Amministrazione, tenuto anche conto del fatto che il provvedimento inibitorio è stato emesso a distanza di due anni e nove mesi dal fatto.

Con memoria in data 20 gennaio 2013 l’appellante ha svolto ulteriori considerazioni a sostegno della tesi, secondo cui il provvedimento inibitorio sarebbe stato adottato dall’Amministrazione in assenza di una “attenta e motivata considerazione” delle sue qualità soggettive.

3. – Ritiene la Sezione che le censure così sintetizzate siano manifestamente infondate.

In proposito occorre osservare che l’art. 39 del T.U.L.P.S. attribuisce al Prefetto il potere di vietare la detenzione delle armi alle persone ritenute capaci di abusarne e, per la stessa ragione, quello di revocare l’autorizzazione al porto d’armi.

Il provvedimento di autorizzazione alla detenzione ed al porto delle armi, infatti, può essere rilasciato solo a persone assolutamente ineccepibili, in modo da scongiurare ogni perplessità su possibili abusi a tutela dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività ( Cons. St., VI, 27 gennaio 2012, n. 375 ).

L’autorità pubblica gode di ampia discrezionalità nel decidere se rilasciare o meno le relative licenza, o se del caso nel revocarle, come pure nel vietare, occorrendo, la detenzione delle armi (che di per sé non è sottoposta a licenza ma solo ad obbligo di denuncia da parte del detentore). Tale discrezionalità è data dalla legge nello scopo di prevenire non solo delitti ed abusi, ma anche gli involontari sinistri dovuti ad incapacità o negligenza; e la cronaca dà quotidianamente la conferma di quanto tali pericoli siano effettivi e diffusi.

4. – Sulla base di tali premesse, la Sezione ritiene che l’operato della Autorità di Pubblica Sicurezza sia stato nel caso di specie assolutamente conforme al disposto dell’art. 39 del T.U.L.P.S., che persegue proprio l’obiettivo di prevenire la commissione di reati e di fatti lesivi dell’incolumità pubblica.

Un concreto abuso dell’uso delle armi si è invero nella fattispecie, a differenza da quanto prospetta il ricorrente, effettivamente verificato, come chiaramente risulta dalla anzidetta decisione di archiviazione del G.I.P. per il delitto di minaccia aggravata al ricorrente stesso contestato in relazione all’accertata estrazione da parte sua nel corso del predetto litigio della rivoltella regolarmente detenuta ed alla successiva esplosione con la stessa di tre colpi, la quale, in espressa adesione alle argomentazioni svolte dal P.M. a sostegno della richiesta di archiviazione, qualifica la condotta del medesimo in termini di travalicamento dei limiti della proporzione tra offesa e difesa.

Tanto basta, ad avviso del Collegio, a sostenere logicamente e congruamente la contestata valutazione, posta in essere dall’Amministrazione, di affievolimento della certezza di un corretto uso delle armi in possesso dell’appellante, posta a base del provvedimento oggetto del giudizio.

Invero, è chiaro che, esercitandosi il potere di vietare la detenzione di armi con riguardo all’interesse pubblico all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo che può derivare dall’uso delle armi nonché in riferimento alla condotta ed all’affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse, anche un singolo, oggettivamente incontrovertibile, fatto relativo all’abuso delle armi, pur in presenza di una condotta complessivamente esente da mende, è tale da far venir meno il necessario margine assoluto di sicurezza circa il buon uso delle armi, che solo può consentirne la legittima detenzione.

Una volta, dunque, che il fatto stesso risulti valutato in termini prognostici di pericolosità senza che emergano elementi di irrazionalità od arbitrarietà, risulta evidente altresì che il lasso di tempo intercorso tra il fatto ed il provvedimento interdittivo non può in alcun modo considerarsi, come pretende il ricorrente, indice di contraddittorietà dell’azione amministrativa, avendo anzi l’Autorità non incongruamente inteso basare la propria valutazione sui fatti come accertati in sede penale ( pur con ésiti di archiviazione del relativo procedimento ); fatti che rivelano, come s’è detto, quanto meno un’insufficiente capacità di dominio dei proprii impulsi ed emozioni da parte dell’interessato ( cfr.: Consiglio di Stato, sez. VI, 24 novembre 2010, n. 8220; id., 10 dicembre 2010, n. 8707; id., 8 ottobre 2008, n. 4918; id., 18 gennaio 2007, n. 63 ), nella misura in cui essi sono ascrivibili ad “un eccesso colposo di legittima difesa” ( v., ancora, in tal senso, l’indicato provvedimento di archiviazione ).

Né, per finire, indizi favorevoli ad una diversa qualificazione del veduto comportamento dell’odierno appellante sono ricavabili dall’intervenuta estinzione per oblazione del reato di esplosioni pericolose pure a lui ascritto per l’occasione, dal momento che il fatto in sé ( l’esplosione di colpi di arma da fuoco, in un luogo abitato e sulla pubblica via, con tutti i rischi ch’esso comporta ), nella sua sussistenza e nella sua attribuibilità all’imputato, emerge dalla stessa contestazione e ch’esso si rivela, come già detto, più che sufficiente a sorreggere il controverso giudizio prognostico di non abuso delle armi da parte del titolare, che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario ( Consiglio di Stato, Sez. VI, 6.7.2010, n. 4280 ), laddove, nel caso di specie, si è in presenza di elementi aventi connotazione ben più pregnante dei meri indizi.

5. – Il ricorso, in definitiva, non risulta sostenuto da elementi di fondatezza, il che ne impone la reiezione.

La manifesta infondatezza del ricorso giustifica la condanna dell’appellante al pagamento delle spese in favore della controparte; nella relativa liquidazione tuttavia si terrà conto della minima attività difensiva dispiegata da parte dell’Amministrazione.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese legali del grado in favore dell’Amministrazione costituita, liquidandole in euro 1.000, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 26 marzo 2013,

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