Dipendente con infermità assegnato a mansioni incompatibili non può rifiutare di sottoporsi ai controlli medici: legittima la sospensione della retribuzione ex art. 1460 c.c. (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 23/4/2015, n. 8300)

Redazione 23/04/15
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Il Caso: un dipendente assegnato a mansioni lavorative ritenute incompatibili con la propria infermità, contestava le mansioni assegnate. Invitato dall’azienda ad indicare altre mansioni compatibili non rispondeva all’invito né accettava di sottoporsi ad accertamenti medici disposti dal datore di lavoro, che in conseguenza lo sospendeva dal servizio.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello territoriali rigettano la richiesta del lavoratore di illegittimità del provvedimento adottato dall’azienda.

La Suprema Corte stabilisce che “l’assegnazione del lavoratore a mansioni che egli afferma incompatibili col suo stato di salute può consentirgli di chiedere al datore di lavoro la riconduzione a mansioni compatibili, ma non gli permette di rifiutare di sottoporsi a legittimi controlli medici, così esponendo il datore a pericolo di responsabilità ex art.2087 cod. civ. Il rifiuto dà facoltà al datore di sospendere la prestazione retributiva ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., alla condizione della sottoposizione del lavoratore ad accertamento sanitario, onde evitare il licenziamento”.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 23 aprile 2015, n. 8300

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7 maggio 2012 la Corte d’appello di Roma confermava la decisione, emessa dal Tribunale di Latina, di rigetto della domanda proposta da S.S. contro la s.p.a. Aero sekur ed intesa alla dichiarazione d’illegittimità del provvedimento 24 aprile 2009, di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, da considerare, in subordine, come licenziamento privo del giustificato motivo. La Corte osservava che lo S. era stato assunto il 27 giugno 2005 attraverso il collocamento obbligatorio, in quanto affetto da minorazione del sessanta per cento per aplasia dell’avambraccio sinistro. Assegnato ad una mansione compatibile con quest’infermità e lamentando la difficoltà d’esecuzione, egli non aveva risposto all’invito, del 29 ottobre 2007, di indicare altre mansioni compatibili; il 26 marzo 2009 la società lo aveva sospeso dal servizio ma con corresponsione della retribuzione.
Ai successivi e ripetuti inviti a sottoporsi a visite mediche anche presso centri speciali egli aveva risposto col rifiuto, adducendo il diritto al trattamento riservato dei dati personali. Era seguito il provvedimento del 24 aprile 2009, dallo S. qualificato come irrogativo di sanzione disciplinare, un nuovo inutile invito a presentarsi, del 29 aprile 2009, ed una conferma della sospensione, dell’8 maggio successivo.
La Corte d’appello escludeva la natura disciplinare del provvedimento, ravvisando l’estinzione dell’obbligazione lavorativa per impossibilità non imputabile al debitore (art.1256 cod. civ.), e della correlativa obbligazione retributiva.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione lo S. mentre la s.p.a. Aero sekur resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con unico motivo il ricorrente lamenta “l’illegittimità, nullità, inesistenza e/o inefficacia del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero del provvedimento di sospensione a tempo indeterminato dal servizio e dalla retribuzione”.
Il motivo è inammissibile.
L’assegnazione del lavoratore a mansioni che egli afferma incompatibili col suo stato di salute può consentirgli di chiedere al datore di lavoro la riconduzione a mansioni compatibili ma non gli permette di rifiutare di sottoporsi a legittimi controlli medici, così esponendo il datore a pericolo di responsabilità ex art.2087 cod. civ. Il rifiuto dà facoltà al datore di sospendere la prestazione retributiva ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., alla condizione della sottoposizione del lavoratore ad accertamento sanitario, onde evitare il licenziamento (cfr. in fattispecie analoga Cass.5 dicembre 2007 n.25313). II lavoratore interessato alla cessazione del periodo di sospensione può o soddisfare detta condizione, così collaborando ai sensi dell’art. 1375 cod. civ per la realizzazione della causa del contratto, oppure recedere dal rapporto.
Nella specie la società datrice di lavoro ha esercitato la detta facoltà di sospensione, onde il dispositivo della sentenza impugnata risulta legittimo. L’inammissibilità della censura deriva dalla mancata, chiara indicazione delle norme asseritamente violate con la sentenza impugnata; anzi, dalla rubrica sopra riportata risulta impugnata non una sentenza bensì un provvedimento della datrice di lavoro, come se in questo giudizio di legittimità proseguisse il processo di merito.
Per il resto il contenuto del motivo di ricorso è esposto in modo confuso, pretendendo il ricorrente di distinguere fra “situazioni di criticità nello svolgimento dell’attività lavorativa” e “impossibilità” di svolgerla, introducendo questioni di fatto nuove, come quella concernente la verità del suo rifiuto di sottoporsi alle visite mediche, oppure l’attendibilità di relativi documenti, o ancora un non meglio precisato trattamento dei suoi dati personali o una temuta lesione del suo diritto alla riservatezza. Non risulta nemmeno chiaro se egli lamenti errori di diritto o vizi di motivazione, cosi rendendosi palese l’inosservanza dell’art.366, n.4, cod. proc. civ.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro cento/00, oltre euro quattromila/O0 per compensi professionali, più accessori di legge.

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